65. MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA

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(19-07-2008) - 65. MOSTRA: I GIURATI DELLA SEZIONE ORIZZONTI

Chantal Akerman (Presidente), Nicole Brenez, Barbara Cupisti, José Luis Guerin e Veiko Õunpuu nella Giuria Internazionale Orizzonti.

Definiti i componenti della Giuria Internazionale della sezione Orizzonti della 65. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (27 agosto – 6 settembre 2008), diretta da Marco Müller e organizzata dalla Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta.
Il Presidente della Giuria Internazionale Orizzonti, la sezione che da quattro anni fa il punto sulle nuove linee di tendenza di un cinema in bilico tra fiction e documento, sarà la cineasta e artista belga Chantal Akerman, realizzatrice di alcuni tra i lavori più difficilmente classificabili degli ultimi decenni, a cavallo tra documento, sperimentazione, videoarte. Scoprendo ed esplorando territori cinematografici al confine tra realtà e finzione sempre nuovi e trasversali, Chantal Akerman si è infatti distinta per la acuta analisi dei comportamenti umani attraverso uno sguardo indagatore su fatti apparentemente insignificanti, portando alle estreme conseguenze il realismo e l’astrattismo della ripresa.
Gli altri componenti della giuria sono: il critico cinematografico francese Nicole Brenez, fra i più autorevoli nel panorama internazionale; l’attrice e documentarista italiana Barbara Cupisti, vincitrice quest’anno del David di Donatello per il miglior documentario con "Madri" (presentato nel 2007 alla Mostra nella sezione Orizzonti); il regista spagnolo, Jose Luis Guerin, attento da sempre all’aspetto sperimentale e documentario del cinema, come ha confermato con "En la ciudad de Sylvia", presentato lo scorso anno in concorso; il giovane regista estone, Veiko Õunpuu, vincitore lo scorso anno alla Mostra proprio del premio Orizzonti con il suo lungometraggio d’esordio, "Ballo dʹautunno" (Sügisball).
La Giuria assegnerà il Premio Orizzonti e il Premio Orizzonti Doc tra i lungometraggi selezionati per la sezione Orizzonti. I film vincitori di questa sezione sono stati sino ad oggi: "Les Petits Fils" di Ilan Duran Cohen (Premio Orizzonti 2004), "Vento di Terra" di Vincenzo Marra (Menzione Speciale Orizzonti 2004), "East Of Paradise" di Lech Kowalski (Premio Orizzonti 2005), "Pervye na lune" di Aleksey Fedortchenko (Premio Orizzonti Doc 2005), "Mabei shang de fating" di Liu Jie (Premio Orizzonti 2006), "When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts" di Spike Lee (Premio Orizzonti Doc 2006), "Ballo dʹautunno" (Sügisball) di Veiko Õunpuu (Premio Orizzonti 2007), "Wuyong" ("Useless") di Jia Zhang‐ke (Premio Orizzonti Doc 2007), "Kagadanan sa banwaan ning mga engkanto" ("Death in the Land of Encantos") di Lav Diaz (Menzione Speciale Orizzonti 2007).

Note biografiche:
Chantal Akerman – Presidente della Giuria
– (Bruxelles, Belgio, 1950), regista e artista, si è distinta per uno sguardo indagatore e capace di far scaturire dall’osservazione acuta e prolungata della realtà il dramma dell’esistenza. Conosciuta per il suo stile sperimentale (assenza d’azione, sospensione del movimento, astrazioni temporali) e per il suo umorismo disincantato, affronta tematiche complesse quali l’identità, la sessualità, la memoria e la politica. Dopo aver frequentato la scuola ebraica, si iscrive all’INSAS (Institut National Supérieur des Arts du Spectacle) di Bruxelles.
Grande influenza ha sulla Akerman quindicenne "Pierrot le fou" (1965) di Jean‐Luc Godard, così come, in seguito, il cinema di Robert Bresson, Friedrich Wilhelm Murnau e Yasujirō Ozu, per le inquadrature fisse, i tempi dilatati, i dialoghi scarni, gli spazi deserti, la simmetria nella composizione dell’immagine. Il suo primo cortometraggio, "Saute ma ville" (1968), è una tragedia burlesca dai toni chapliniani, in cui la protagonista (la stessa Akerman), facendo esplodere il forno di casa, finisce per far saltare in aria l’intera città. Nel 1971, dopo aver girato il suo secondo cortometraggio "L’enfant aimè ou je joue à être une femme mariée", si trasferisce a New York al seguito di Samy Szlingerbaum. Nella Grande Mela inizia a frequentare gli Anthology Film Archives, entra in contatto con il New American Cinema di New York e si interessa soprattutto ai lavori di Michael Snow, Andy Warhol, Stan Brakhage e Jonas Mekas. Qui realizza altri due cortometraggi sperimentali e il suo primo lungometraggio, "Hotel Monterey" (1972), sulle vicissitudini di uno squallido albergo della 94 Strada. Tornata a Parigi, nel 1974 realizza un secondo lungometraggio introspettivo e autobiografico, "Je, tu, il, elle", in cui la difficoltà di comunicazione e l’ambiguità dell’intima essenza dell’essere umano diventano preminenti. La fissità e la dilatazione temporale assumono un risvolto drammatico nel film che la consacra internazionalmente "Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce 1080 Bruxelles" (1975), sconvolgente e disilluso ritratto della ripetitiva quotidianità della vita di una casalinga in crisi, occasionalmente dedita alla prostituzione. Lo stesso anno Venezia ne sancisce il percorso artistico dedicandole una Personale durante la quale vengono proiettati "Hotel Monterey" (1972), "Le 15/8" (1973), "Jeanne Dielman" (1974), "Je, tu, il, elle" (1974). Due anni più tardi, con "Les rendez‐vous dʹAnna" (1978) ripropone, attraverso il percorso della protagonista, i suoi temi più tipici: il rapporto con la madre, i legami con la cultura ebraica, la solidarietà tra donne. Negli anni ‘80 gira, tra gli altri, "Dis‐moi" (1980), "Tutta una notte" ("Toute une nuit", 1982), il documentario sulla coreografa Pina Bausch: "Un jour Pina m’a demandé" (1983) e, successivamente, "Jʹai faim, jʹai froid" (1984), "Golden Eighties" (1986), "Histoires dʹAmerique" (1988). Nel 1991 presenta in concorso alla Mostra "Notte e giorno" ("Nuit et jour"), triangolo amoroso dalla narrazione antilineare. Nel 1993 espone al fiorentino Festival dei Popoli il documentario "DʹEst" e, nel 1996, realizza "Un divano a New York" ("Un divan à New York"), sua produzione più impegnativa, con Juliette Binoche e William Hurt. Nel 2000 è la volta di "La Captive", liberamente tratto dal romanzo di Marcel Proust La prisonnière. Altro film‐installazione "De lʹautre côté" (2002), al di là del pretesto narrativo dell’emigrazione messicana clandestina, ripropone una riflessione connaturata all’intera opera dell’autrice: l’idea di confine. I suoi lavori più recenti sono "Demain, on déménage" (2004) e "Là‐bas" (2006).

Nicole Brenez (Strasburgo, Francia), critico cinematografico fra i più autorevoli nel panorama internazionale, formatasi all’École Normale Supérieure, è oggi “Maître de Conférences” in studi cinematografici all’Università Paris 1‐ Sorbonne Panthéon. Dal 1996 è curatrice del programma delle proiezioni dell’avanguardia della Cinémathèque française, oltre ad aver organizzato molte manifestazioni e retrospettive cinematografiche in tutto il mondo, presso le istituzioni culturali più prestigiose (Auditorium du Louvre ‐ Parigi, Anthology Film Archives ‐ New York, Filmmuseum ‐ Vienna, Musée du Cinéma ‐ Rio de Janeiro, Uplink ‐ Tokyo, Tate Modern ‐ Londra, Institut français ‐ Madrid). Autrice di numerosi volumi di critica e storia del cinema sui più svariati film e registi, da Buster Keaton al cinema horror sino ad autori come Jean‐Luc Godard, nel suo percorso di ricerca si è concentrata con il suo lavoro sulla figurazione filmica, rintracciata in autori fra loro molto diversi, come Abel Ferrara, Rainer Werner Fassbinder, Philippe Garrel e John Cassavetes. Fra i volumi che portano la sua firma, ci sono, infatti, "Shadows de John Cassavetes" (Nathan, 1995), "De la Figure en général et du Corps en particulier. Lʹinvention figurative au cinéma" (De Boeck Université, 1998), "Une Passion critique. Abel Ferrara, le mal mais sans fleurs" (Illinois University Press, à paraître, 2007) in cui Brenez racconta il regista come uno degli autori più originali del panorama cinematografico contemporaneo, "Cinémas d’avant‐garde" (2007), Traitement du Lumpenprolétariat par le cinéma dʹavantgarde (2006). Influenzata dal lavoro di grandi critici come Raymond Bellour, Alain Bergala e Charles Tesson, tratteggia proprio in un articolo apparso nel 1993 l’esperienza della visione e della critica iniziata negli anni Ottanta, includendo momenti di rivelazione di nuovi linguaggi (come la serie Histoire(s) du cinéma, realizzata da Godard agli inizi del 1989) come pure la riscoperta di opere del passato come "Freaks" di Tod Browning (1932), le bizzarre opere di Sacha Guitry o il sempre presente Rossellini, di cui scrive in “Le project télévisuel de Roberto Rossellini” apparso su CinémAction nel 1990. Nicole Brenez ha anche curato numerosi volumi collettivi: "Poétique de la couleur" (Auditorium du Louvre, 1998), "La Vie nouvelle/nouvelle Vision" (Léo Scheer, 2004), Cinéma/Politique (Labor, 2005), "Jean‐Luc Godard: Documents" (Centre Pompidou, 2006) e "Jeune, dure et pure. Une histoire du cinéma d’avant‐garde et expérimental en France" (Cinémathèque française/Mazzotta, 2001), da cui nasce anche la retrospettiva che da dodici anni viene organizzata alla Cinémathèque Française. Portano la sua firma anche diversi articoli apparsi su Trafic, Cinémathèque, Simulacres.

Barbara Cupisti (Viareggio, Italia, 1962) attrice e documentarista, dopo l’esperienza di danzatrice nella compagnia di Louis Falco con cui debutta nel 1980, si trasferisce a Roma per studiare recitazione e si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” sotto la direzione di Aldo Trionfo. Inizia la carriera in teatro con Giuseppe Patroni Griffi, mentre debutta al cinema con "La Chiave" (1983) di Tinto Brass. Vive da protagonista la stagione del noir italiano ‐ periodo a cui resta particolarmente legata ‐ recitando in film di Dario Argento ("Opera", 1987), Michele Soavi ("Deliria", 1987), Lucio Fulci ("Lo squartatore di New York", 1983), Umberto Lenzi ("Le porte dellʹinferno", 1988), Lamberto Bava ("Testimone oculare", 1990). In seguito si divide tra Italia, Francia e Stati Uniti lavorando, tra gli altri, con Paul Planchon ("Chateauvallon", 1985), Antonio Pedro Vasconcelos ("Formule 1", 1990), John Lofve ("Le salle de bain", 1989), Norman Jewison ("Only you", 1996), Gabriele Salvatores ("Denti", 1998), Angelo Orlando ("L’anno prossimo vado a letto alle dieci", 1998), Carlo Verdone ("Il bambino e il poliziotto", 1989), Franco Bernini ("Le mani forti", 1997) e, nel 2002, in "Total Koeps" di Alain Bévérini con Marie Trintignant e Richard Boheringer. Importante è poi la conduzione di programmi televisivi di ambito storico, sociologico, culturale e di viaggio. Nel 1999 approda infatti alla conduzione televisiva con Giovanni Minoli. Grazie a questa esperienza scopre l’amore per le interviste e riconosce la sua passione per la regia nella quale aveva già debuttato nel 1987 con un mediometraggio di produzione francese. Sempre interessata a raccontare storie di uomini e donne, a cercare di leggere e di far leggere la verità e le emozioni, trova il modo ideale di scrivere per immagini, nel documentario. Cercando di far tesoro della grande scuola documentaristica italiana, ama misurarsi con “storie di persone” e non con “fatti”, tralasciando, per scelta, la spiegazione storica, sociale e politica delle realtà che racconta. Si impone sulla scena internazionale nel 2007 presentando nella sezione Orizzonti Doc alla 64. Mostra del Cinema il documentario "Madri" premiato nel 2008 con un David di Donatello come Miglior Documentario. In questo lavoro, la regista attraverso le testimonianze di 15 donne, i cui figli sono stati uccisi nel conflitto israelo‐palestinese, costruisce un percorso segnato dai lutti e dal desiderio di pace. Ha appena terminato un secondo film sempre ambientato tra Israele e i territori occupati dal titolo "Forbidden Childhood Forbidden Dreams".

Jose Luis Guerin (Barcellona, Spagna, 1960) costituisce uno degli esempi più originali del cinema spagnolo degli ultimi decenni, Si muove costantemente a cavallo tra fiction e documentario, portando avanti una personale riflessione sulle articolazioni del tempo e del linguaggio filmico fin dai suoi esordi. Autore di film sperimentali tra il 1975 e il 1983, realizza nel 1985 il suo primo lungometraggio, "Los Motivos de Berta", che ottiene un riconoscimento speciale a Berlino. Nel 1990 firma l’episodio spagnolo di "City Life" (a cui partecipano anche Reichenbach, Kieslowski, Agresti, Tarr, Sen et Rijneke), premiato ai festival di Berlino, Rotterdam e Montréal. Nello stesso anno con Innisfree (viaggio nell’Irlanda trasognata del John Ford di "The Quiet Man") è in competizione a Cannes, dove più tardi verrà presentato nella Quinzaine des Réalisateurs anche lo sperimentale "Tren de Sombras" (1997), omaggio alle origini del cinema. Con il documentario "En construcción" (2001), resoconto della costruzione di un nuovo edificio nell’ambito della pianificazione edilizia di Barcellona per raccontare la come un vivace quartiere popolare industriale, la cui storia è strettamente legata a quella del ventesimo secolo, soccombe alla radicale trasformazione del paesaggio urbano. Il lavoro si aggiudica nel 2002 un Premio Goya nonché il Premio Speciale della Giuria, il CEC Award per il miglior film e il FIPRESCI a San Sebastian. Alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica arriva per la prima volta nel 2007, presentando in concorso "En la ciudad de Sylvia", di cui cura la regia e scrive la sceneggiatura. La pellicola racconta il vagabondaggio di un giovane straniero lungo le strade di Strasburgo, osservando e disegnando la gestualità e le espressioni delle donne che incontra mentre va alla ricerca di una figura femminile assente. Il film è stato definito una sorta di carosello in cui i vari pezzi sembrano disegnati da Murnau, Ozu, Hitchcock o Eduard Manet e il cui motore “suona”come Chaplin, Tati e Godard.

Veiko Õunpuu (Saaremaa, Estonia, 1972), esordisce con successo alla regia nel 2006 con il corto "Vuoto" ("Tühirand") che si aggiudica tutti i premi cinematografici estoni. Il cortometraggio conquista i cuori del pubblico e dei critici grazie a quell’equilibrio di intelligente ironia e marcata forma poetica che costituisce il segno caratteristico dello stile personale di Õunpuu. Il suo umorismo è paragonato dai critici a quello di Jim Jarmush e Aki Kaurismäki. I temi e i personaggi del film di Õunpuu sono quelli tratteggiati dalla penna di un opinionista socialmente impegnato, mentre il mondo che li circonda è ricreato con l’abilità del pittore. Prima di diventare regista cinematografico, infatti, Õunpuu dipinge e scrive articoli di critica sociale sul settimanale “Eesti Ekspress”. Sempre nel 2006 fonda la compagnia di produzione Homeless Bob Production, mentre l’anno seguente debutta sul panorama internazionale presentando in anteprima mondiale alla 64. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica il suo lungometraggio d’esordio, "Ballo dʹautunno" ("Sügisball"), che si aggiudica il Premio Orizzonti. Dopo aver raccolto il consenso della critica in occasione della prima mondiale alla Mostra, "Ballo dʹautunno" ha ottenuto anche svariati riconoscimenti importanti nei festival di tutto il mondo: il premio speciale della giuria allo European Film Festival dell’Estoril, il premio come miglior regista al festival di Tessalonico e al festival di Bratislava, il Grand Prix al Marrakech International Film Festival. E’ stato incoronato “Talento europeo dell’anno” in occasione dell’ultimo Festival di Cannes, durante il quale gli è stato conferito il premio “MEDIA New Talent 2008”.

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