Foto @ Ottavia Da Re
| (21-08-2008) - 65. MOSTRA: NEL BLU DIPINTO DI BLU... Celentano che presenta la versione restaurata di “Yuppi Du”, Renato Zero e Loredana Bertè in un documentario fuori concorso, un Piccini inedito svelato in un film di Paolo Benvenuti e l’indimenticabile Domenico Modugno che canta “Volare”. A leggere il programma alquanto insolito della 65. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica sembra di essere stati catapultati ad un Sanremo di tanti anni fa e, guardando il numero di film italiani in cartellone (20 titoli di cui 4 in concorso), il Leone d’Oro al maestro Ermanno Olmi e gli omaggi al nostro cinema con la rassegna “Questi fantasmi: cinema italiano ritrovato (1946-1975)”, appare evidente come la Mostra del 2008 sia votata all’Azzurro di un’Italia mai così protagonista, nell’autocelebrazione della propria storia cinematografica, nell’incoraggiare i nuovi fermenti già emersi sulla Croisette e nella contaminazione con altri linguaggi, in primis quello musicale. Un cinema molto italiano quello presentato alla 65. Mostra ma altrettanto “nomade” e indie come lo ha definito Marco Muller.
CONCORSO VENEZIA 65
Il Concorso vede ben quattro pellicole tricolore in gara per il Leone d’Oro. Da “Il papa di Giovanna” di Pupi Avati ambientato nella Bologna del 1938 con un formidabile Silvio Orlando nei panni di un padre disperato che tenta di difendere la figlia (la bravissima rivelazione Alba Rohrwacher), coinvolta nell’omicidio di una compagna di scuola, al film più atteso della compagine nostrana “Un giorno perfetto” di Ferzan Ozpetek (tratto dal romanzo di Melania G. Mazzucco) con Isabella Ferrari e Valerio Mastandrea (possibili candidati per una Coppa) pronto a bissare la performance dello scorso anno di “Non pensarci” protagonista di una storia d’amore e di un intreccio di destini al limite della tragedia, sullo sfondo di una Roma frenetica e inquietante.
Completano la presenza italiana la commedia “Il seme della discordia” che segna il ritorno dopo 7 anni da “Chimera” dello stralunato Pappi Corsicato stavolta acuto analizzatore dell’istituzione femminile, ispirato a “La marchesa von O” di Heinrich Von Kleist (già soggetto del film di Rohmer) e “BirdWatchers – La terra degli uomini rossi” che vede il ritorno di Marco Bechis a Venezia (dopo “Figli – Hijos” del 2001) per raccontare la ribellione degli indio del Mato Grosso do Sul nei confronti dei fazendeiro, per la riconquista delle terre perdute. La storia di un conflitto di civiltà descritto con grande realismo e molti silenzi, interpretato da attori indigeni e alcuni professionisti come Claudio Santamaria e Chiara Caselli.
Il poker italiano dovrà fronteggiare avversari di grande caratura. A partire da Jonathan Demme, da sempre una garanzia alla Mostra, che dopo “The Manchurian Candidate” del 2006, torna a Venezia con l’atteso “Rachel Getting Married” storia di un ex modella dal passato burrascoso (la bravissima Anne Hathaway) che rientra in famiglia per il matrimonio della sorella. Un altro ritorno importante è quello della regista Kathryn Bigelow che sbarca nuovamente al Lido dopo “K-19: The Widowmaker” del 2002, con Guy Pearce e Ralph Fiennes (già protagonista del suo “Strange Days”) per raccontare il dramma della guerra in Iraq in “The Hurt Locker”.
Da tenere d’occhio l’esordio alla regia di Guillermo Arriaga, fedele collaboratore di Alejandro Gonzales Inarritu, che ha già impressionato Venezia con la sceneggiatura di “21 grammi”, e che quest’anno si mette in gioco con “The Burning Plain”, una storia di due donne (Charlize Theron e Kim Basinger) che si intreccia con altri destini, raccontata con scarti spazio-temporali memori di “Babel” e dello stesso “21 grammi”.
Ci riprova invece Darren Aronofsky, dopo l’incompreso “The Fountain” presentato nel 2006, con una storia più scarna che vede protagonista il redivivo Mickey Rourke, nel ruolo di un lottatore in cerca il riscatto dopo una vita difficile in "The Wrestler”. Un film che speriamo possa rappresentare un rilancio anche per la carriera dell’attore che dopo aver accantonato le velleità pugilistiche ha trovato negli ultimi anni anche interpretazioni superlative in piccoli ruoli (vedi “La promessa” di Sean Penn).
Da temere, sul fronte orientale, il solito “beat” Takeshi Kitano con “Akires to kame” (Achilles and the Tortoise), conclusione della trilogia formata da “Takeshis’” e “Glory to the Filmmaker!” ovvero storia di un artista privo di talento che cerca il successo (curiosa la metafora tratta dal celebre paradosso di Zenone) e l’ultimo gioiello d’animazione realizzato dal Leone d’Oro alla carriera del 2006 Hayao Miyazaki “Gake no ue no Ponyo” (Ponyo on Cliff by the Sea), cui fa da contraltare l’altro film d’animazione giapponense in gara di Mamoru Oshii “The Sky Crawlers”.
ORIZZONTI
Si rivolge al passato e alla realtà italiana anche la sezione Orizzonti, che perdendo un po’ di vocazione sperimentale e acquistando una connotazione maggiormente documentaria, quest’anno sembra perdersi nella selva di corto e doc, oscillando fra la volontà di omaggiare la tradizione italiana con pellicole come “Valentino: The Last Imperor” del regista Matt Tyrnauer sul grande stilista Valentino, la necessità di ricordare la storia cinematografica del nostro paese con “Antonioni su Antonioni” di Carlo Di Carlo e i suoi artefici, spesso dimenticati come lo sceneggiatore Ugo Pirro, ricordato nel doc di Daniele Di Biasio “Soltanto un nome nei titoli di testa” ma anche l’esigenza di fotografare il contesto sociale attraverso il quale è nata, con “Venezia ‘68” di Antonello Sarno fino ad arrivare al drammatico presente alla realtà contemporanea con una sensibilità particolare per il dramma delle morti sul lavoro che emerge da ”Thyssenkrupp Blues” di Pietro Balla e Monica Repetto e “La fabbrica dei tedeschi” di Mimmo Calopresti.
Uno sguardo fuori dalla nostra realtà è quello di Marco Pontecorvo con “Pa-Ra-Da”, esempio di cinema nomade sulla storia di amicizia tra dei ragazzini di strada di Bucarest e un giovane clown algerino nel dopo Ceausescu, e quello di di Laura Angiulli, “Verso Est” rivolto al dramma passato e futuro della Bosnia.
Autentico outsider invece Gianfranco Rosi che sembra incarnare la vera spinta innovativa della sezione Orizzonti con il documentario “Below Sea Level” in cui si immerge nella vita reale di una comunità americana che vive da anni isolata in condizioni estreme a 250 km da Los Angeles. Un doc italo-americano che fa buona compagnia all’unico film targato Usa della sezione il “road movie” “Goodbye Solo” di Ramin Bahrani, interessante storia di un’amicizia fra un tassista senegalese nel North Carolina ingaggiato da un ottantenne del sud che vuole farsi condurre su una montagna per farla finita.
Mentre è forte la presenza del cinema sudamericano con i messicani “Voy a Explotar” di Gerardo Naranjo e “Los Herederos” di Eugenio Polgovsky e il brasiliano “A Erva do rato” l’ultima opera di Julio Bressane, esponente del “cinema novo” brasiliano che racconta (assieme a Rosa Dias) il suo incontro con uno dei più grandi scrittori brasiliani Machado de Assis. A chiudere la sezione un film di ben sette ore e mezza, autentica provocazione di questa 65. Mostra che arriva dalle Filippine “Melancholia” di Lav Diaz, in attesa dei due film “a sorpresa” tutti da svelare.
FUORI CONCORSO
Il fuori concorso perde la connotazione spettacolare, americana (pagando anche lo sciopero degli sceneggiatori) e di vetrina per le grandi anteprime internazionali trasformandosi in una sezione rivolta al passato con qualche rara espressione di novità. A parte l’imperdibile apertura, affidata ai detentori del Premio Oscar, i Coen con “Burn After Reading”, commedia grottesca che sembra appartenere al filone coeniano tracciato da “Il grande Lebowski”, si segnalano il ritorno di Abbas Kiarostami con “Shirin”, protagonista Juliette Binoche e degli irriducibili Manoel De Oliveira con il corto “Do visivel ao invisivel” e Agnés Varda con “Les Plages d'Agnés” un viaggio fra le spiagge più amate dalla regista francese.
Da tenere d’occhio “Vinyan”, un film a metà tra tra ghost story e thriller psicologico, la seconda opera (dopo “Calvaire”) di Fabrice Du Welz, regista molto amato dagli appassionati di horror che vede la bella Emanuelle Béart nel ruolo di una madre alla ricerca del figlio scomparso durante lo tsunami thailandese del 2004. Stranamente fuori gara il corto cinese del Leone d’Oro 2006 (con “Still Life”) Jia Zhang-Ke che torna al Lido con “Heshang aiqing” (Cry me a river).
Ma la cornice del fuori concorso è ancora una volta italiana, con l’evento “Yuppi Du” (molleggiato come il suo regista, viste le alterne vicende che lo hanno portato alla Mostra) e contributi che vedono protagonista un grande lavoro d’archivio che ha riportato alla luce alcune rarità tra cui la versione inedita de “La rabbia di Pasolini” di Giuseppe Bertolucci, e “Orfeo 9” trasgressivo e censuratissimo film sperimentale scritto, diretto e interpretato da Tito Shipa Jr. nel 1973 e considerato la “prima opera rock italiana” sottoposto a censura all’epoca della sua uscita nel 1973 e distribuito successivamente in sordina in alcuni circuiti d’Essai, che chiuderà la Mostra il 6 settembre.
Non mancano i ricordi di Mario Monicelli trasposti nel corto “Vicino al Colosseo…c’è Monti”, e gli omaggi a Domenico Modugno con il suo “Tutto è musica” (1963) e “Nel blu dipinto di blu” di Piero Tellini (del 1959) . Ancora nel segno della musica il fim senza dialoghi di Paolo Benvenuti “Puccini e la fanciulla” realizzato a 150 anni dalla nascita del compositore, un film che svela alcuni misteri sul rapporto tra Puccini e l’amante che lo ispirò ne “La fanciulla del West”. La proiezione del 30 agosto sarà preceduta da "Un Giorno con Puccini – Torre del Lago, 1915", filmato inedito scovato dal regista, accompagnato da un’esecuzione dal vivo al piano. Qualcuno forse sentirà la mancanza di vip e red carpet, ma in questa 65. Mostra nomade e “molleggiata”, come direbbe Mr. Volare, “tutto è musica”.
…I Hear the music that comes from the water, That rises from bowels of the earth
Yuppi du yuppi du yuppi du…Yuppi du-i-du yuppi du…
Ottavia Da Re
(21/08/2008)
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