La sposa cadavere
Finalmente Tim Burton e Mike Johnson tornano a unire le forze della loro vitale e straripante creatività. Dopo un
capolavoro come Nightmare Before Christmas (che Burton si limitò a produrre per affidarne a Johnson la regia), i due
cineasti ripropongono il felice binomio dirigendo la trasposizione cinematografica di una leggenda russa. Nuovamente in
stop-motion, la tecnica che utilizza pupazzi fotografati ad ogni minimo cambio di mossa e unisce poi i fotogrammi per
simularne il movimento.
Nervosissimo e insicuro, Victor Van Dort è promesso a Victoria Everglot: l'erede di una famiglia ricca borghese deve
sposare la rampolla di nobili decaduti. Mentre, solo soletto, vaga per un bosco ripassando la formula nuziale, Victor infila
la fede ad un ramoscello che si rivela essere il dito dello scheletro di una ragazza defunta. La sposa cadavere, così, si
rianima portandolo con sè nell'aldilà e rivendicando lo status di sua coniuge. Ma Victor altro non desidera se non tornare
sulla terra e unirsi all'amata Victoria.
L'universo dark, ma pieno di malinconica poesia, si anima con fantasia infinita nelle mani di Johnson e Burton, che
creano una squadra di personaggi dalla presenza memorabile. Attraverso un divertimento che non cerca scorciatoie per ottenere
surplus di raffinatezza, La sposa cadavere riesce a proporre una visione della morte serena non perchè filosofica, ma in
quanto fantastico regno di un universo parallelo.
Può un cuore soffrire anche se ha smesso di battere? E' una domanda cui il film di Johnson e Burton tenta di
rispondere attraverso una visione della vita nell'aldilà incredibilmente colorata. Le riprese della realtà terrena, ambientate
in una tetra e rigida città vittoriana, sono dominate da un grigiore che accentua per contrasto la vitalità di un mondo dopo
la morte luminoso e in festa perenne. Scheletri vocalist e irriverenti bruchi che abitano i cadaveri popolano una parodia
dell'horror mai troppo corretta, dotata di fertilità impressionante nell'ottenere un equilibrio perfetto senza dosare gli
elementi, lasciando invece che giochino la loro parte compensandosi a vicenda.
Qual è allora il mondo dei vivi, l'universo in cui i sentimenti trovano espressione? E' davvero la mortifera
atmosfera terrestre dove le unioni sono celebrate da un altissimo e spigoloso pastore che sembra uscito da una catacomba?
La risposta del film di Burton e Johnson non arriva con la presunzione di una sentenza, ma trasuda nella gioiosa vividezza
della Terra dei Morti, nel suo fascino venato di macabro come la sensualità della livida sposa, blu e qua e là decomposta.
Se Nightmare Before Christmas sfruttava la portata evocativa e la fascinazione radicata in secoli di storia
appartenente a due feste tradizionali - e radicalmente diverse - come Halloween e il Natale, La sposa cadavere può
risentire dell'inevitabile confronto per la mancanza di un background storico universalmente noto, e soprattutto ancorato
nella coscienza condivisa. Ma il romanticismo dell'opera è sentito e ben distillato, l'incanto mixa cuore e cervello, la
commozione accompagna la consapevolezza di una perfezione cinefila che ispira qualcosa in più del rispetto. In un cinema
popolato da sintetici personaggi animati frutto del digitale, i protagonisti di questo film paiono risultato di un'arte
priva di tratti vincolati dal tempo; il velo della sposa è mosso dalla computer graphics e il girato è in digitale, ma
anche le fattezze - oltre allo spirito - sono quelle di un capolavoro che non sembra possa passare di moda.
Ma di snob e di criptico c'è ben poco. Il divertimento è assicurato da trovate esilaranti che s'ispirano direttamente
alla tradizione del musical (da antologia il numero al pianoforte con Victor e la Sposa) e da irresistibili citazioni
cinefile. Scraps, il cane che in vita era di Victor e che il protagonista ritrova nell'aldilà sotto forma di scheletro, sembra
strizzare l'occhio al fedele Zero che accompagnava il Jack di Nightmare Before Christmas. Ma l'omaggio più clamoroso, che
s'imprime indelebilmente nella memoria, è quello a Via col vento di Fleming, quando uno scheletro con i baffetti pronuncia
l'intramontabile "Frankly, my dear, I don't give a damn" ("Francamente me ne infischio") alla Clark Gable.
Johnson e Burton hanno ingaggiato una squadra d'interpreti di prim'ordine per ispirare il sembiante e prestare la
voce ai protagonisti. In testa, languida e spiritosa, Helena Bonham Carter, britannica doc che formatasi - come attrice - a
pane e accenti, una che con la voce sa dire tutto con qualsiasi parola. Con lei, ancora e sempre Johnny Depp, versatilissimo
attore feticcio di Burton, che col regista ha realizzato in contemporanea La fabbrica di cioccolato dopo una serie di
collaborazioni di cui s'è quasi perso il conto. Pregevolissimo in contributo di Emily Watson nei panni della dolce e compita
Victoria. Ma oltre a loro, lo schieramento include nomi quali Albert Finney (il signor Everglot) e Christopher
Lee (il pastore Galswells). Un contributo - com'è ovvio soprattutto vocale - che la versione doppiata impedisce di apprezzare
a pieno titolo.
Romantica e a sprazzi tragica, la favola si modella sul rapporto fra due incompresi. Un'atipica storia d'amore
(impossibile, ma quanto?), quel sentimento eterno, ora più che mai capace di redimere.
Alessandro Bizzotto
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