The Door in the Floor

Il dolore e l'amore possono convivere, arrivando a confondersi senza essere antitetici, ma in continuo confronto che può divenire via di crescita e di scoperta. Il dolore ha annientato Marion Cole (Kim Basinger) dopo la perdita dei due figli ormai quasi uomini in un tragico incidente d'auto; il matrimonio con Ted (Jeff Bridges), famoso autore di libri per bambini, è sempre meno solido, raffreddato dalla distanza che la sofferenza ha messo fra i coniugi. Solo la presenza della piccola figlia Ruth (Elle Fanning) li tiene insieme. Durante l'estate in cui Marion e Ted decidono di tentare una separazione temporanea, lui assume come assistente Eddie O'Hare (Jon Foster), studente figlio di un amico docente. Il ragazzo ha velleità letterarie, vuole fare lo scrittore; Ted, più che di un praticante, ha bisogno di un autista. Soprattutto, Eddie somiglia ad uno dei due figli scomparsi; ha l'età che il ragazzo aveva all'epoca dell'incidente, studia nello stesso storico college. Le ripetute infedeltà di Ted non sembrano scalfire la fredda indifferenza di Marion, per cui l'arrivo di Eddie rappresenterà uno scossone (inaspettatamente?) forte: il legame sentimentale che unirà la donna al ragazzo mostrerà una via d'uscita alla prima e segnerà indelebilmente il secondo.
Partendo dal romanzo Vedova per un anno di John Irving (uno degli scrittori contemporanei più amati dal cinema, cui ha consegnato sia Il mondo secondo Garp che Le regole della casa del sidro), Tod Williams si cimenta con una storia dura e difficile nelle doppie vesti di regista e sceneggiatore. Focalizzandosi sulla prima parte del libro di Irving, Williams ne taglia il plot prima della metà concentrandosi sulla vicenda che - nell'originale letterario - costituisce la premessa per il racconto della vita di Ruth, vera protagonista di Vedova per un anno. E privando gli eventi del loro vero finale (in cui Marion Cole riappare ormai settantenne) suggerisce a The Door in the Floor uno sguardo più amaro sui fatti.
La porta nel pavimento è il titolo di uno dei lavori più blasonati di Ted Cole, e costituisce l'accesso ad un regno di mostruosità ignote che per la mente infantile rappresentano una delle suggestioni più grandi e spaventose; e la metafora, concretizzandosi nel finale con la botola che fa accedere al campo di squash sopraelevato, rinvia ad uno stato mentale e alla necessità (non tanto alla curiosità) di affrontarne le conseguenze vivendo.
La forte immediatezza della prosa di Irving avrebbe rischiato di risultare eccessiva per l'immagine cinematografica. Il cinema, attraverso la visione, amplifica l'impatto della narrazione, elimina la necessità di costruire riflessi mentali, impedendo (da un certo punto di vista) l'attività cognitiva dello spettatore che modella il contenuto linguistico attraverso l'immaginazione. L'operazione compiuta da Williams è divenuta in quest'ottica ancor più ardua, e il suo risultato apprezzabile, nel mirare a restituire sullo schermo la verità cruda e tragica di una condizione estrema, dipinta senza sconti. Dosando la visione e curando anche attraverso le inquadrature le scelte di stile, il regista non tralascia le componenti più imbarazzanti, ma le affronta senza scusarsi, riuscendo a non appannarne il lato drammatico, ma soprattutto sentimentale.
Coadiuvato dalla validissima prova di Jeff Bridges, che incarna Ted Cole in bilico fra padre tormentato e antipatico don Giovanni, Williams esplora la fine di un matrimonio (con le sue cause e i suoi effetti) con l'occhio di chi non ha chiesto permessi, ma osserva senza essere invasivo. L'ottica sui fatti, in questo modo, non viene ad essere quella di uno dei personaggi, ma si mantiene esterna, e il suo distacco rischia talvolta di farsi asettico. Tuttavia una scelta simile mette The Door in the Floor al riparo dal patetismo e dall'enfasi stagnante, preservando modalità narrative che, a dispetto della materia ostica, non sono mai sopra le righe; o quasi mai, se si prendono come eccezione le conseguenze che investono Ted quando prova a scaricare l'amante di turno. Ma sono momenti estremi che giocano in favore di un'ironia salata, ora crudele e caustica, ora dolorosa, chiamata a rendere la riflessione più tonda, completa.
A portare sensibilità è chiamata in primis l'interpretazione di Kim Basinger, bella e sofferente senza essere pietosa, oggi al suo meglio alle prese con uno dei personaggi più tragici e ostici della propria filmografia.
E se la sceneggiatura corre in qualche punto il pericolo di forzare la naturalezza del dialogo (quello cinematografico dev'essere sempre meno ampio e ampolloso di quello letterario), l'impatto istantaneo delle immagini fa da contropeso, ben uscendo dal montaggio di Affonso Gonçalves e accompagnato con sottile sensibilità dalla poco sfruttata (ma ricca di pathos) colonna sonora di Marcelo Zarvos, che correttamente supporta l'esplorazione degli anfratti reconditi della psiche, di cui la mdp riflette le forme.


Alessandro Bizzotto

The Door in the Floor

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