Non pensarci

La vita, come una canzone

“Non pensarci” non è il solito film italiano che parla di disagio adolescenziale e famiglie allo sbando. E’ alternativo, come un certo tipo di musica. E’ ironico come non siamo (più) abituati a considerare il nostro cinema. E’ leggero e acuto, lontano anni luce dai soliti film da “mocciosi” che ormai sforniamo come i “cinepanettoni” ogni Natale.
“Non pensarci” è un film “indie” rock. Indipendente come la musica che serpeggia nei locali di provincia e vero, “underground”, come il contesto su cui è costruito il film e l’universo di Stefano, un chitarrista trentacinquenne in crisi che, dopo aver lasciato il gruppo e aver rotto con la fidanzata, decide di tornare “dai suoi”, per distrarsi un po’, ritrovare se stesso e quella serenità che la “città” e i suoi meccanismi sembrano avergli portato via. Ma il ritorno a casa non è esattamente un ritorno alla normalità e il “nido” familiare si rivelerà una baraonda di problemi, sogni infranti, dissesti economici a cui l’ancor più disastrato protagonista è chiamato a porre rimedio. La faccia sbattuta e costantemente stupita di Valerio Mastandrea diventa lo sguardo attraverso cui il regista fotografa la realtà di provincia, i suoi cambiamenti sociali, il sovvertimento dell’idea di “famiglia” che non è più il rifugio idilliaco di tanti quadretti, ma un bel “covo” di nevrosi, chiuse in una laccata cornice d’argento e di convenzioni.
La piatta realtà di un paesotto in cui sembra non succedere nulla ma dove quel nulla fa molto rumore e parecchi danni, fra le frustrazioni di piccoli imprenditori e grandi fabbrichette, la noia di un bar, il falso perbenismo dilagante. Senza perdersi in ambizioni cinefile e pretese autoriali, Gianni Zanasi riesce a raccontare uno spaccato di società con ironia e sincerità, affidandosi ad un cast straordinario, guidato dall’incontenibile Valerio Mastandrea (attore sottovalutato dal cinema italiano ma in grado di offrire delle sfaccettature comiche e drammatiche uniche) che trova una grande spalla in Giuseppe Battiston (esilaranti le scene tra i due) e una coralità di interpreti sensibili quali Anita Caprioli (la sorella), Teco Celio e Gisella Burinato (i genitori), Natalino Balasso (grande cammeo nel ruolo del sindacalista), Dino Abbrescia (il vigilante), Paolo Briguglia (il giovane politico), capaci di mettere in scena un microcosmo di provincia “autentico”, vero.
Ma il grande pregio di “Non pensarci” sta soprattutto nella capacità di inquadrare la realtà con leggerezza, scavando a fondo, nelle pieghe della società, senza mai drammatizzarla, descrivendola con semplicità e intelligenza, attraverso una battuta, un vezzo, una risata spontanea, e quei sorrisi che ti entrano sotto la pelle e finiscono in gola, in una morsa di commozione, malinconia e pungente ironia. Una realtà spesso “incasinata”, troppo difficile da affrontare senza perdersi, impossibile da aggiustare senza chiedere troppo a se stessi. In cui a volte è più semplice e doveroso “non pensarci”. Fare un salto nel vuoto e lasciarsi alle spalle problemi e paranoie, farli scorrere fra le corde di una chitarra e buttarli fuori da un amplificatore, attraverso le note distorte della “tua” musica.
Non pensarci, suonala e basta.


Ottavia Da Re

Non pensarci

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