Ricordati di me

L'ultimo bacio, vent'anni dopo

Carlo e Giulia. Una vita dedicata a costruire una famiglia, poco tempo per ascoltare se stessi. Tante aspirazioni messe da parte che si amplificano su quelle dei figli Paolo e Valentina, il primo adolescente insicuro e ignorato da tutti, la seconda diciassettenne con "tutte le sue cartucce ancora da sparare". Un quadretto da Mulino Bianco che si fonda su un equilibrio apparente, un nido che è un covo di tensioni e frustrazioni pronto a scoppiare. E' Carlo ad accendere la miccia riallacciando il rapporto con il suo primo amore Alessia (Monica Bellucci) innescando un processo di autodistruzione, attraverso il quale ognuno cercherà il proprio "primo piano", l'inquadratura in grado di fargli guadagnare la ribalta in un mondo che mette da parte la sensibilità di Paolo e premia la superficialità di Valentina. Tutti in corsa per il podio ("vi dimostrerò che sono migliore di tutti voi", recitano i personaggi più volte), dopo un'esistenza passata a chiamarsi "falliti".
Carlo () ambisce a finire il "romanzo della sua vita", Giulia () torna sul palscoscenico combattendo la propria eterna insicurezza, Paolo (Silvio Muccino) cerca il consenso e la considerazione degli amici e del mondo, Valentina (Nicoletta Romanoff) si butta anima e corpo nella ricerca del facile successo e della notorietà ("Non sono una brava ragazza perché le brave ragazze vanno in Paradiso ed io voglio arrivare dappertutto" e così sia). Ma tutti sono in corsa per il podio, per un'affermazione di sé sublimata dall'assillante domanda di Paolo " ("Ma tu come mi vedi? Come sono visto da fuori?"), una scalata che non si ferma neppure di fronte alle grandi tragedie...
Eccola la famiglia tipo italiana, finalmente liberata dalle convenzioni e dalle insegne pubblicitarie.
Ed è tutta nella macchina da presa di Gabriele Muccino che agitata, frenetica e furiosa segue i suoi protagonisti (con primi piani strettissimi e piani sequenza), li rincorre fra i corridoi, si muove con loro, respirandone le emozioni e le frustrazioni mentre collassano, esplodono e ci travolgono. Un guerra familiaricida che si combatte a colpi di sgomitate per imporsi in una società mediocre in cui "basta sorridere dalla parte giusta" e trova la sua consacrazione nell'allucinante "ascesa" di Valentina all'inferno, fra provini, audizioni e letti, gradini di un mondo che per la prima volta viene descritto senza falsi pudori in tutto il suo squallido entourage, un bordello di letterine (il riferimento a Passaparola è più che intenzionale...) veline, ...ine, sbattuto in faccia dello spettatore per quello che realmente è: una parata di "vacche al macello".
Quanto è bravo Gabriele Muccino, un regista che, con apparente leggerezza, riesce a cogliere ancora una volta le pesantissime fragilità e debolezze di una realtà contemporanea cinica, mediocre e senza scrupoli. E lo fa con i suoi personaggi (amati e odiati per sua stessa ammissione), pieni di difetti ma finalmente veri. Tutti diretti con un'intensità che diventa la sua firma, uno stile che lo identifica come grande regista dei sentimenti e della loro autodistruzione. Tutti interpretati in modo superlativo a cominciare da Fabrizio Bentivoglio, straordinario nella parte di un padre-bambino, "il romanticone" come lo definisce la figlia, che oscilla fra l'entusiasmo per l'amore e la lacerazione più interiore, immagine speculare di suo figlio Paolo, il più sensibile e maltrattato ("mi fate schifo tutti") portato in scena da Silvio Muccino, fratello (e ispiratore) del regista Gabriele, già adolescente inquieto e sognatore nel suo secondo film Come te nessuno mai.
Laura Morante è straziante, nella parte della madre fragile e coraggiosa allo stesso tempo, nella sua disperata lotta per tenere unita a tutti i costi la famiglia, aggrappata ad essa come ai capelli del marito che tiene stretti tra le mani costantemente tremanti, nelle sue insicurezze. Disperata e bellissima sul palcoscenico in lacrime mentre guarda il regista dello spettacolo taetrale, un carismatico Gabriele Lavia. E poi la fredda determinazione di quel "treno" di Nicoletta Romanoff, spietata e fredda adolescente nella sua rincorsa al successo, fra stacchetti e movenze a suon di "Guardami: non sono bella e maledetta?".
Quant'è bravo Muccino. Così bravo da riuscire a fare recitare anche Monica Bellucci, per la prima volta realmante autentica (con tanto di "rughette" finte), così bravo da potersi permettere uno come Pietro Taricone...
Molti si saranno chiesti il perché...Sicuramente qualsiasi altro attore non sarebbe stato "credibile" ed emblematico quanto lui, che è un prodotto di quel mondo televisivo che incarna e va rappresentare (stesso discorso per Andrea Roncato). Una coralità palpitante, emozionante per un film intenso e bellissimo, senza sbavature, né stanchezza che trova il proprio ritmo (come già ne l'ultimo bacio) nell'abile montaggio di Claudio Di Mauro, la sua intensità nella fotografia di Marcello Montarsi e viene amplificato e reso ancor più coinvolgente dalla bellissima musica di Paolo Buonvino che (come già nell'Ultimo bacio) con i suoi violoncelli, tocca le corde più profonde dell'emozione e ci strazia il cuore in una colona sonora molto ricca e bel assemblata che annovera anche brani di Marina Rei ("La parte migliore di me"), Lina (con la sua splendida "Ange Decu"), Pacifico ("Ricordati di me"), Mina e la sua "Sabor a mi" (ma anche Françoise Hardy, Lucio Dalla, Zoo di Venere, Geri Halliwell...) e che trova (dopo Carmen Consoli) un'altra musa in Elisa, e nella sua toccante interpretazione del difficilissimo successo dell'indimenticabile Mia Martini "Almeno tu nell'universo".
Ma se tutto questo ha trovato una sua coerenza il merito è di un giovane regista, un talento puro, che si candida a diventare l'erede del nostro miglior cinema, raccogliendo lezioni che sembravano irrimediabilmente perdute come quelle di Parenti serpenti di Monicelli, de I mostri di Dino Risi, ma anche quelle di Bellissima di Visconti e de I Vitelloni di Fellini. Quei vitelloni che aveva ritratto magnificamente ne L'ultimo bacio, quegli stessi che non volevano crescere e non sono cresciuti.
Da quell'ultimo bacio che si chiudeva con i sogni di Carlo (Stefano Accorsi) sono passati vent'anni e in Ricordati di me una fredda voce fuori campo (Y tu mamà también docet?) si è sostituita a quella di Carlo (Stefano Accorsi). I protagonisti sono sempre loro, Carlo e Giulia, con i loro figli, la loro bella casa, il labrador che si chiama Max ("il cane che chiamerai Max"), "il frigorifero sempre pieno per non sentirti povero e un tappeto etnico per continuare a sentirti giovane" ma di quei sogni ("Non è questo quello che hai sempre sognato?") e di quelle aspirazioni ("E allora è questa la felicità?"), non è rimasto che un fantasma che aleggia sul volto deforme di Carlo (un impagabile Fabrizio Bentivoglio), in una maschera contorta e struggente che nell'ultima inquadratura cerca, invano, di sorridere all'obiettivo.

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Sito ufficiale de L'ultimo bacio: http://www.lultimobacio.it


Ottavia Da Re

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