A proposito di Schmidt

A proposito di Jack

Una cosa è certa. Senza Jack Nicholson non ci sarebbe stato nessun Warren Schmidt.
Senza lo sguardo, il sopracciglio e il sorriso, ironico e tragico allo stesso tempo, dell'attore più versatile ed istrionico del mondo del cinema non ci sarebbe stato nessun anonimo, banale, comune signor Schmidt.
Perché Warren Schmidt è un uomo qualunque, con una vita normale in una città come tante. Ma è soprattutto un uomo che dopo la pensione e l'improvvisa morte della moglie, giunge ad un bivio della propria esistenza e si ritrova a dover fare i conti con se stesso. Un bilancio esistenziale che si concretizza in un viaggio verso Denver, nel tentativo di impedire il matrimonio della figlia con quello che lui ritiene un vero "imbecille"...
La corrispondenza con Ndugu, un bambino tanzanese adottato a distanza, diventa il filo conduttore della vicenda attraverso il quale Warren intraprende un viaggio che lo porta ad attraversare e descrivere i paesaggi e le cittadine desolate di un'America di provincia mai così vera e indifferente (nella "nuda" fotografia di James Glennon), ma anche un percorso interiore attraverso i ricordi irrimediabilmente perduti, i rimorsi e le proprie debolezze. Una presa di coscienza che diventa voglia di riscatto affidata quasi totalmente al monologo essenziale ed immediato del protagonista che si scontra con la realtà, con l'impossibilità di "determinare" dei cambiamenti, di contare qualcosa nell'arido mondo che lo criconda.
Lo sguardo amaro e ironico di Alexander Payne segue il suo protagonista senza filtri o inibizioni, affidandosi completamente al suo immenso interprete, capace di esprimere con brevi e intense sfumature il dramma umano di un'esistenza qualsiasi, di un uomo abbandonato dalla moglie, dalla figlia ma soprattutto da una società indifferente e cinica che ti spreme, ti taglia fuori (emblematica la telefonata a vuoto all'amico) e ti manda al macello (come le mucche del camion che Warren incrocia con lo sguardo sulla strada per Denver).
Lo stridente contrasto che si genera è tutto compreso nel volto dell'attore, che si fa interprete ed eco della realtà e della sua desolazione. Un Jack Nicholson che sfuma il suo celebre sguardo luciferino in intense espressioni dolenti, a tratti ribelli, spesso dolorosamente bloccate e trattenute dall'inevitabile conformità alle regole (nell'incredibile discorso durante il pranzo di nozze) e alle convenzioni sociali. Un'interpretazione struggente, un assolo straziante nel vuoto e nel silenzio di un "fallito" che completa e suggella una "poetica della solitudine" di cui Jack Nicholson è diventato interprete assoluto dopo il burbero scrittore Melville di Qualcosa è cambiato (il suo terzo Oscar) di James L.Brookse lo straziante poliziotto di La promessa di Sean Penn, personaggi complementari a Warren Schmidt nello stesso dramma umano.
Una performance supportata da un ottimo cast, a partire dall'ingombrante e indimenticabile moglie Helen (June Squibb) per passare alla scialba e cinica figlia Jeannie (Hope Davis) e all'"imbecille", quanto orripilante genero Randall (un irriconoscibile Dermot Mulroney, ex oggetto del contenzioso amoroso fra Julia Roberts e Cameron Diaz in Il matrimonio del mio migliore amico di P.J.Hogan). Anche se alla fine è Kathy Bates a regalarci i confronti più belli con il signor Nicholson. Nella parte della consuocera eccentrica e "arrapatissima" (Misery è dietro l'angolo), sfodera tutta la sua bravura e le sue grazie (memorabile la scena del bagno) tratteggiando un personaggio tanto bizzarro quanto cinico e spietato.
Un film ottimamente scritto, girato e interpretato. Un ritratto lucido, diretto, realistico di un uomo, di una società, del significato di un'esistenza qualunque...
Nello strazio più profondo il signor Schmidt ritroverà se stesso a migliaia di chilometri, in un paese lontano, in un disegno di un bambino, in un sole grande ed innocente.
Il significato di un'esistenza qualunque, di un film, di un interprete straordinario, sta tutto lì, in quell'ultima inquadratura, fissa sul volto del signor Nicholson che si piega, si contorce e si scioglie in un pianto silenzioso, lacerante, assoluto.


Ottavia Da Re

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