The Hunted - La preda

The Hunted-La preda inizia con un quarto d'ora terrificante, in quanto mostra gli orrori della guerra in Kosovo nel 1999 con grande realismo, ma anche perché ci fa conoscere il protagonista della pellicola, Aaron Hallam, direttamente facendolo agire, senza dialoghi o digressioni didascaliche. Siamo improvvisamente lì, fra le macerie di un villaggio in fiamme, in atmosfere che fortemente richiamano Apocalypse Now e l'assenza di parlato è quanto mai diretta, comunicativa, da bloccare il fiato. Un attimo dopo l'azione si sposta nei verdissimi boschi dell'Oregon ed ancora le parole sono quasi inesistenti… Poi ecco, nel giro, di un attimo, iniziano inseguimenti ed indagini, l'incanto del silenzio è rotto, ma irrompono i protagonisti...
Il personaggio di Benicio Del Toro merita particolare attenzione per svariate ragioni, prima fra tutte la sua grande attualità, ma anche per il tentativo di riplasmare, con questo soldato, la figura dell'eroe veterano di guerra insignito di onorifiche medaglie, da sempre molto caro al cinema americano. Innanzitutto Aaron Hallam risulta estremamente intriso di attualità poiché la sua follia, originatasi da ciò che ha dovuto vedere ma soprattutto compiere, anche se nel film è portata alle più estreme conseguenze, è una follia che purtroppo si sviluppa in molti giovani uomini che servono il loro paese nell'esercito. Molto spesso, infatti, ci è capitato di sentire orribili fatti di cronaca che avevano per protagonisti militari colti da raptus di pazzia o da gravi problemi mentali, in seguito alle missioni cui avevano preso parte compiendo il loro dovere, anche se, in realtà, si tratta di un fenomeno molto più diffuso di quel che sembra. Inoltre, Aaron incarna la riflessione stessa su cui si basa il film, che è uno sforzo ad interrogarsi sui prodotti umani della società odierna, tentativo che sfocia in una forte critica alla società stessa, vista come grande Madre che vuole vedere sacrificati i suoi figli come segno di totale obbedienza, proprio come Dio sulla Highway 61, nella canzone di Dylan citata in apertura. Nel ruolo, appunto, della macchina da guerra perfetta, finché deficita di qualsiasi lato umano, da eliminare, invece, nel momento in cui viene sovrastata dai sensi di colpa e dagli incubi per ciò che ha fatto, c'è un notevole Benicio Del Toro, che in più di un'inquadratura inchioda lo spettatore con quei suoi grandi occhi verdi colmi di follia, ma anche di estrema tristezza e di profonda solitudine. Lui, il robot ormai in corto circuito, riversa nella ferocia dei suoi gesti tutto il risentimento per non esser stato ascoltato, incolpa il mondo, ma soprattutto il suo istruttore L.T. Bonham, di essere la causa della sua degenerazione. La pazzia di Hallan non è altro che un grido d'aiuto, l'atto ultimo della sua ribellione contro coloro che lo crearono con forti richiami alla figura di Frankenstein, come ama pensare Del Toro, ma anche come il Golem che semina il terrore nel ghetto praghese perché sfuggito al controllo del rabbino Löw, suo artefice ed infine distruttore. Penso che siano molto forti, a tal proposito, le analogie con la popolare leggenda ebraica poiché come il suo protagonista, Aaron Hallam è poco più di un fantoccio d'argilla, modellato sia nella mente che nel fisico al solo scopo di difendere il proprio paese, così come il Golem era preposto alla protezione della sua comunità, e la causa più remota della sua collera è ritrovabile in una dimenticanza accidentale o meno (non è dato saperlo) del suo maestro, che, proprio come nella leggenda, porterà alla totale distruzione della creatura impazzita.
L'ultima analogia con la tradizione praghese, permette di introdurre il secondo perno su cui ruota il film di William Friedkin, L.T.Bonham, colui, appunto, che dà vita al "mostro" ma che non si rende conto della sua pericolosità, del suo disadattamento, delle sue difficoltà. In questo ruolo troviamo un Tommy Lee Jones in una buona prova d'attore, ma alle prese con una sceneggiatura troppo lacunosa nei riguardi del suo personaggio. Sappiamo, o meglio, intuiamo, il suo rimorso per quel che ha fatto, ovvero addestrare giovani ragazzi ad uccidere come automi, ma non riusciamo a capire quanto pesi in lui il non aver aiutato il suo allievo migliore né perché non l'abbia fatto. Nonostante, però, questo retroterra intenso e promettente, anche se solo accennato, L.T. rimane molto vicino al cliché del vecchio istruttore in pensione richiamato al lavoro per cause di forza maggiore, visto in molti film da Rambo in avanti. Il tema dei sensi di colpa, molto caro al regista (vedi Regole d'onore con lo stesso Tommy Lee Jones), si rivela, quindi, non essere sufficiente a salvare il personaggio dall'incappare nello stereotipo, così come la bellissima, ma ahimè abusata, analogia tra cacciatore e preda o i magnifici boschi dell'Oregon non riescono a celare la notevole prevedibilità della storia, che poggia su di una scontata sceneggiatura che sa molto di déjà vù e che appare molto, troppo sbilanciata sull'azione nella seconda parte tanto da annullare l'analisi psicologica, da far scemare molto il coinvolgimento da parte dello spettatore e sorgere un po' di noia nei meno appassionati al genere "action movie".
The Hunted-La preda, comunque, è un film che merita la sufficienza soprattutto per la pregevole prima parte, l'impegno degli attori, in particolare nelle scene di combattimento (di forte realismo), i bei paesaggi, per il tentativo di riflettere su un tema importante come il rapporto uomo-natura, nonché per l'ottima fotografia di Caleb Deschanel e per la buonissima regia di William Friedkin.


Marta Ravasio

The Hunted - La preda

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