La città incantata - Spirited Away

La disputa fra il classico film d'animazione made in U.S.A. e il cartone animato in stile giapponese sembra giungere a una tregua con La città incantata (Spirited Away). I riconoscimenti attribuiti alla pellicola dall'America (l'Oscar come miglior film d'animazione) e dall'Europa (l'Orso d'oro al Festival di Berlino 2002, il primo assegnato a un cartoon, ex-aequo con Bloody Sunday) ne sono forse il segnale più chiaro. A raggiungere il traguardo è Hayao Miyazaki, pioniere e autore più illustre dell'animazione Japan. Dopo aver dato vita a Remì, Heidi e ad alcuni episodi della serie Lupin III, Miyazaki è approdato al lungometraggio nel 1979 con Il castello di Cagliostro. La città incantata è il suo ottavo film d'animazione. E rappresenta il suo maggiore successo.
Una sfida questo ultimo lavoro da diciannove milioni di dollari per il regista, produttore, autore e scenografo, che l'ha voluto colorato e masterizzato in formato digitale (è il primo dei suoi film ad esserlo). La storia di Chihiro, un'annoiata bambina di dieci anni che, durante il viaggio verso la sua nuova casa, s'imbatte nell'ingresso a una città in apparenza deserta, ma che si rivelerà popolata da spiriti e creature non terrene. Vedrà i suoi genitori cadere vittime di un incantesimo e, adattandosi al nuovo ambiente, dovrà trovare una soluzione alla spinosa situazione.
La città incantataLa città incantata è indubbiamente un prodotto che prende le mosse dalla migliore tradizione fantasy, senza rinunciare agli elementi cari al costume orientale (sia nei tratti che negli elementi); ma si evolve in maniera nuova, spiazzante. Il film rovescia in qualche modo l'impostazione canonica di cui si sono nutriti tutti i prodotti Disney, persino i più innovativi: anzichè procedere lungo una traccia e seguire un filo conduttore, colorando la vicenda di elementi sovrannaturali, trasferisce il connotato collaterale al plot, rivoltando completamente la struttura gerarchica della narrazione. Non ci sono nessi e punti chiave, ne La città incantata, solo una rutilante sequenza di episodi magistralmente orchestrati; manca una struttura portante, la vicenda procede in una dimensione atemporale snodandosi in completa libertà, partorita lì, come se la fantasia operasse in diretta.
Per questo il film deve tutto alla forza delle immagini, all'impatto a volte stordente degli eventi. I colori sono sgargianti, le musiche di Joe Hisaishi simpatiche e perfette nel servire l'intreccio ("Alla fine ho fatto la scelta giusta ricorrendo soprattutto al pianoforte e a uno o due strumenti a corda, per mettere in risalto la tranquillità e far risaltare il contrasto con il caos delle emozioni di Chihiro" ha affermato il compositore).
La città incantata satura lo schermo, come per ottundere i sensi, pare non voler lasciare il tempo di riflettere. Humour, magia e una vena malinconica -francamente un po' banale- non concedono tregua, spesso con personaggi paradossali (c'è persino uno Spirito del Ravanello) e brusche evoluzioni nei loro rapporti. Ma la fertilità espressiva di Miyazaki porta in dote meraviglia anzichè noia, e se l'emozione esce compromessa da una messa in scena chiassosa e sgargiante come poche, il divertimento trova in essa una cassa di risonanza (memorabile la scena del bagno al presunto Dio del Cattivo Odore).
Eppure, in tutto questo Miyazaki non sembra aver voluto rinunciare all'aspetto intimo, psicologico. Almeno sulla carta. "In un mondo dove sono iperprotetti, i bambini si stanno consumando" ha dichiarato. "Chihiro soffre della stessa sindrome. La rabbia sul suo volto è quella tipica dei bambini che non hanno più abbastanza tempo per giocare. Ma quando si trova ad affrontare un problema, la combattente che c'è in lei viene in superficie. Non volevo dipingerla come un'eroina perfetta e carina. Il suo fascino doveva scaturire dal suo cuore e dalla profondità della sua anima".


Alessandro Bizzotto

La città incantata - Spirited Away

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