Imagining Argentina

Pensando al dramma dei desaparecidos argentini mentre ci si trova di fronte a questo film, viene da chiedersi come Christopher Hampton sia arrivato ad una tale banalizzazione di una delle tragedie più terrificanti dell'umanità.
E, di contro, non può non venirci in mente l'acuta profondità con cui, invece, questa stessa tematica era già stata affrontata dal nostro Marco Bechis in Garage Olimpo e Figli (due anni fa a Venezia) con ben altro approccio e grande intensità. Eppure, "Imagining Argentina" (che uscirà nelle sale italiane con il tiolo "Immagini") partiva da premesse davvero interessanti. A cominciare dal romanzo di Lawrence Thornton, basato su una storia realmente accaduta, che a sua volta contiene una dimensione esxtrasensoriale da cui l'idea di legare due tematiche apparentemente contrastanti come la realtà all'immaginazione ed infine due interpreti di intensità e rara bravura a cui affidare i ruoli dei protagonisti.
Ma se la sceneggiatura viene plasmata in maniera grossolana e poi brutalmente affettata da una regia che rasenta l stile-telenovelas con tanto di accompagnamento melodico di chitarra acustica, allora non c'è Emma Thompson che tenga.
Dopo un incipit davvero illusorio che riporta immagini reali dell'epoca mentre il protagonista racconta la tragedia dei desaparecidos rievocando il mito di Orfeo ed Euridice, il film crolla su se stesso infilando una banalità dopo l'altra, rendendo il dramma quasi un pretesto attraverso il quale il protagonista si trasforma in "medium" organizzando sedute nel proprio giardino dove, a turno, rivela alle famiglie di persone scomparse il destino dei propri cari.
Per tutta la durata del film le due componenti principali, la cruda realtà e la dimensione extrasensoriale, non sembrano mai interagire e legarsi fra loro, rimanendo due tematiche distinte, contrastanti, completamente stonate.
Se la prima, a parte qualche riferimento alle torture subite dai prigionieri peraltro affidato alle indubbie e immutate qualità di un'interprete grandiosa come Emma Thompson, non sembra mai emergere nella sua reale drammaticità e devastazione, la seconda dimensione, priva di introspezione, di intensità e di un minimo di sensibilità, diventa addirittura, sia pur involontariamente, comica, arrivando, nella sua superficialità e grossolana rappresentazione, a banalizzare anche la prima, anche a causa di una fotografia alquanto elementare, senza alcuna originalità né particolare pregio.
Il tutto "coordinato" da una regia che fa acqua da tutte le parti, con scarti evidenti e passaggi incomprensibili (come quando Carlos, dopo aver perduto moglie e figlia si mette strimpellare la chitarra in stile Julio Iglesias, o come quando i protagonisti se ne escono con risate completamente fuori luogo davanti ad un gufo...), fino ad un finale stereotipato (incredibile che si possa ancora chiudere un film in questo modo) e convenzionale bagnato di pioggia, lacrime e insulti della critica (alla prima proiezione per la stampa, al Palagalileo) esterrefatta e sbigottita da tanta mediocrità.
Un film di rara bruttezza, insomma che ci lascia increduli, senza "immagini" e senza parole...


Ottavia Da Re

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