21 Grammi
Tre esistenze, tre umanità combattute, tre anime come tante. Un unico destino. Atroce, sconvolgente, che cambierà per sempre le loro fragili vite, che segnerà in modo indelebile le loro
esistenze sfregiate, marcate più volte da un fato meschino che ritorna e non sembra dar tregua, ma che illude e infonde speranza per ferire meglio, di più. Per uccidere dentro.
Le vite sono quelle di Paul (Sean Penn), professore di matematica, malato di cuore in attesa di trapianto, di Cristina (Naomi Watts), un passato di tossicodipendenza e un presente felice con due splendide bambine e un marito adorabile e Jack (Benicio Del Toro), ex galeotto che si è rifatto una vita e una famiglia grazie ad una ritrovata fede in Dio.
Il destino è quello di un tragico incidente che legherà per sempre, intrecciandole, le loro esistenze.
Che li renderà dannati e li accompagnerà come anime in pena di dantesca memoria, attraverso i gironi maledetti della propria inaccettabile vita, in un inferno senza fine, nella disperazione pura, quella che diventa progressivamente eutanasia, autolesionismo, annullamento fisico e interiore.
E il peso di quei 21 grammi, che non sono che un soffio, il peso di cinque centesimi, di un colibrì, di una barretta di cioccolato, ma che diventano un macigno quando devi sopravvivere a te stesso.
Progressivamente il massacro interiore diventa disfacimento fisico (l'incisione del braccio di Jack, la tossicodipendenza di Cristina, la malattia di Paul) che innesca un processo di autodistruzione apparentemente irreversibile…
Con 21 Grammi il regista Alejandro Gonzàlez Inarritu, dopo il bellissimo esordio di Amores Perros e il toccante contributo a 11 settembre 2001 (evento della 59. Mostra di Venezia), si cimenta in uno struggente e disperato film sulla tragica complessità, sull'impalpabile essenza, sulla massacrante evanescenza dell'animo umano.
21 grammi è il peso che un corpo perde nel momento del trapasso, pochi grammi inconsistenti sulla bilancia del destino che determina la differenza tra la vita o la morte.
Concetti difficili da definire, impossibili da descrivere, se non attraverso un processo di negazione, di sottrazione che il regista conduce con l'ausilio di una forza visiva scarnificante, logorante, che inquadratura dopo inquadratura scava nei corpi, negli sguardi dolenti, nelle mani tremanti senza pudori chiamando in causa lo spettatore, prima testimone, poi coinvolto in prima persona nel dolore e nella tragedia che talvolta il "caso", la "fatalità" scatenano improvvisamente su vite indifese, fragili e ignare.
Tre storie speculari, lineari ma anche opposte tra loro che Inarritu assieme al grande sceneggiatore Guillermo Arriaga sceglie di raccontare attraverso un uso combinato, quanto mai originale e creativo (che deve molto al montaggio di Stephen Mirrione) , di flashback e flash forward, alternando fin dalla prima immagine spaccati di vita passata, presente e futura, a squarci sull'esistenza dei tre protagonisti, con continui scarti spazio-temporali, inizialmente spiazzanti ma, dopo pochi minuti, chiari frammenti di un mosaico la cui composizione viene affidata allo spettatore che, ricostruendo i drammi dei personaggi, diventa complice della loro disperazione, del loro sbigottimento di fronte alla quasi insostenibile crudeltà che li travolge.
Un procedimento narrativo che rompe le coordinate spazio-temporali e la sequenzialità della narrazione, offrendo una molteplicità di punti di vista che, pur mantenendo un certo distacco dal singolo fatto drammatico, rendono la sua percezione, proprio per questo, terrificante (basti ricordare come viene presagito e descritto, senza essere direttamente mostrato, il tragico incidente che cambierà la vita dei protagonisti), perché costruita per sottrazione, togliendo una benda dopo l'altra dagli occhi dello spettatore e lasciandolo impotente di fronte alla dura realtà.
Dura e volutamente "sporca", come la magnifica fotografia di Rodrigo Prieto che riprende il realismo di 8 Mile per garantire ancor più veridicità e "normalità" alla storia. Un impatto visivo costituito da improvvisi e accecanti bagliori nell'oscurità (già sperimentati in La 25° ora) in cui ogni storia viene raccontata per dominanti cromatiche (colori freddi come il verde e il blu per Paul, caldi aranciati per Jack, bianchi e neutri per Cristina) che finiscono per combinarsi tra loro parallelamente alle vicende descritte, costruendo la storia come una sceneggiatura visiva, suggerendo le relazioni tra i protagonisti, l'alchimia delle loro tensioni, diventando espressione di un'interiorità soffocata e apparentemente annullata.
Un'architettura luminosa complessa ma densa di significati cui fa da contraltare un sottofondo di silenzi, a tratti stranianti, che vengono squarciati improvvisamente da urla disperate (quando Cristina scopre la verità su Paul), amplessi soffocati e divoranti (il rapporti fra Cristina e Paul e quello fra Jack e la moglie).
Grida d'aiuto nella solitudine assordante di tre vite allo sbando che tragicamente si scontrano e disperatamente si ritrovano, proprio quando ormai tutto sembra irrimediabilmente perduto per sempre. In tutto questo la musica di Gustavo Santaolalla (che nel bellissimo brano conclusivo, When Our Wings Are Cut, Can We Still Fly? riprende le atmosfere stranianti e strazianti di "Iguazu" scritta ed eseguita magnificamente in The Insider) svolge, almeno quanto la fotografia, un ruolo di "collante", come una melodia che nasce dai moti più delicati e struggenti pizzicando le corde di una chitarra e quelle dell'anima, in un flusso armonico di note e sentimenti.
Ma a rendere 21 Grammi un film indimenticabile sono soprattutto le prove dei protagonisti, artefici di performance davvero memorabili, che non ha lasciato indifferente il pubblico della 60. Mostra del Cinema di Venezia che ha premiato con il Leone del Pubblico - Audience Award per la miglior interpretazione maschile e femminile, Benicio Del Toro e Naomi Watts, un premio che va ad aggiungersi alla Coppa Volpi attribuita invece a Sean Penn.
Una sinfonia di talenti capace di intonare in simbiosi con le note di Santaoalla la più drammatica delle melodie, quella all'animo umano.
La voce più sommessa e sussurrata è quella di Sean Penn, qui nella sua interpretazione più matura, capace di modulare il dramma del proprio personaggio, la sofferenza che lo consuma e lo logora, attraverso un'inedita dolcezza, in una misurata e toccante lacerazione interiore. Una performances ben supportata dalla bella prova di semplicità e determinazione di Charlotte Gainsbourg (nel ruolo di Mary, la moglie di Paul), che nel difficile quanto antipatico ruolo della moglie insofferente e frustrata, riesce a dare forza e personalità al proprio egoismo e al proprio desiderio di maternità.
L'acuto più straziante nasce dalla dolce e disperata forza di Naomi Watts che, dopo Mulholland Drive, ci regala un'altra interpretazione durissima ed estrema, sostenendo e sublimando in una prova vibrante l'immane disperazione di una giovane madre distrutta dalla morte e divorata dall'agonia.
La voce più profonda di questo coro, spesso strozzata e soffocata nel petto dal dramma indicibile della colpa, appartiene invece a Benicio Del Toro, capace ancora una volta, (dopo le incredibili interpretazioni e metamorfosi di Fratelli, Paura e delirio a Las Vegas e Traffic) grazie ad un'incredibile interazione di fisicità e introspezione, di distruggersi e annullarsi nel personaggio per contenere e trattenere una forza emotiva di violenza inaudita che, ad ogni sguardo, trasuda dolore, furia, devozione e tormento. E' lui a portare la fiaccola della redenzione di 21 Grammi, un fuoco sacro che squarcerà le tenebre nelle vite dei tre protagonisti.
Tre interpreti in grado di infrangere gli schemi dell'espressività convenzionale, tre magnifici outsiders per una complessa quanto mai straziante storia di dolore e redenzione, amore e morte, Eros e Thanatos. Un'assordante discesa nell'Ade, troppo reale e travolgente per viverla senza sprofondare nell'abisso dei suoi protagonisti, senza morire del loro dolore per poi rinascere con la consapevolezza del perdono, e di una vita ancora possibile.
Una "catarsi" quasi inverosimile che può compiersi solo nella disperazione più assoluta, accecante, estrema. Che varca i limiti della ragione, della religione, della logica e dell'amore, che scardina la morale, abbatte le convenzioni, scava nell'animo umano per logorarlo, consumarlo, finché non restano che i frammenti di un'esistenza svuotata, schegge di vita divorata, ossi di seppia alla deriva.
Pochi grammi. Un respiro, un soffio. Quello che ancora tiene in vita Paul, perpetuerà in Cristina e rinascerà in Jack.
Quei 21 Grammi che separano la speranza dalla rassegnazione, il coraggio dalla paura, la vita dalla morte. Il peso della coscienza, della speranza, del riscatto.
L'insostenibile leggerezza dell'anima, la sua più struggente elegia.
Ottavia Da Re
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