Troy

Nel corso dei secoli gli uomini hanno sempre fatto la guerra. Alcuni per il potere, la gloria, onore, altri per amore. Parafrasando la frase di lancio, possiamo aggiungere che altri ancora hanno fatto la guerra per ambizione. E' il caso di Wolfgang Petersen, regista tedesco che, dopo aver realizzato svariati action movie tipicamente hollywoodiani quali AirForce One, La tempesta perfetta, Nel centro del mirino, s'è lanciato nell'ambizioso quanto rischioso progetto di portare sul grande schermo la più grande storia mai raccontata in tutta la letteratura occidentale: la guerra di Troia.
L'adattamento di un'importante opera letteraria non è cosa nuova per il regista teutonico che nel 1984 aveva scritto e diretto la versione cinematografica de La Storia Infinita di Michael Ende, fantastico racconto fantasy seguita poi da diversi sequel di scarso valore, ma considerare l'Iliade un testo come gli altri da poter rielaborare, frammentare e ricomporre per tradurlo poi in immagini è sicuramente un peccato di hybris che gli Olimpici avrebbero punito con un supplizio memorabile, prima di abbandonare il malcapitato all'oblio. E' improbabile che di tal genere sarà la sorte che toccherà a Troy, monumentale kolossal che si avvale di un cast davvero stellare, sebbene a tratti (piuttosto lunghi…) non brilli affatto, e che si regge sul lavoro di professionisti di prim'ordine, una vera task force composta da Roger Pratt, (Fine di una Storia, Chocolat, L'esercito delle 12 scimmie) curatore di una superba fotografia, Nigel Phelps (Pearl Harbor) responsabile della ricostruzione delle Alte Mura di Ilio e dell'accampamento degli achei sulle sabbie antistanti la città, Bob Ringwood autore dei costumi già per il particolarissimo Excalibur di Boorman, fino a James Horner (Casa di sabbia e nebbia, Titanic, A beautiful mind, Braveheart, Il nome della rosa), pluripremiato autore della bella, avvolgente ed evocativa colonna sonora. Ci sarebbe un altro prestigioso nome da inserire nel novero dei realizzatori, ovvero David Benioff, acuto e devastante scrittore del romanzo e dello script de La 25° Ora, al quale è appunto toccato l'onore, nonché l'onere, di realizzare la sceneggiatura di Troy, un compito che, per la verità, pare realizzato con un esito piuttosto altalenante e talvolta poco convincente e non solo a causa delle innumerevoli licenze poetiche che si è concesso. Il vero problema che affligge lo script di Troy è, in primo luogo, la mancata riuscita di attualizzazione del testo omerico tanto annunciata e la pesante banalità di molti dei dialoghi: come dire non è sufficiente eliminare gli Dei per eliminare l'aulicità della vicenda o confezionare qualche bella battuta ad effetto che sottolinei quanto sia foriera di lutti la guerra, di come essa falcidi le vite dei giovani soldati mentre i vecchi parlano ed elaborano strategie. Spogliata di quasi tutto ciò che è gloria, onore, pathos, e devozione per le divinità, in una parola privata dell'epos, la guerra per la presa della città di Troia resta una spettacolare meraviglia per gli occhi, quasi tre ore durante le quali ci viene raccontata una storia composta in gran parte d'azione, con passioni indomite, amori, ire e vendette che tutto sommato non vanno poi così in profondità nell'animo dello spettatore. Il senso di catarsi legato alla tragicità e alla caducità del vivere umano in questa sede si è decisamente rifatto il trucco ed è mutato in un più moderno senso di entertainment.
Detto questo, va tuttavia riconosciuto che nell'arco del film non mancano sequenze mozzafiato ed emotivamente coinvolgenti, prima su tutte il duello risolutivo tra Ettore e Achille, forse tra le scene più belle , dove i due eroi danno il massimo di loro stessi creando uno scontro fisico teso, drammatico, meravigliosamente girato e montato, dove a ogni colpo di spada il nostro cuore si ferma, dove il destino già segnato dei protagonisti non ruba un attimo di suspance alla lotta. O ancora non mancano momenti di vera drammaticità e pathos, in particolare il momento dell'uccisione di Patroclo, rapida, feroce, inevitabile quanto inaspettata e dolorosissima o il bellissimo confronto tra l'invitto Achille ed il disperato Priamo che richiede le spoglie del proprio figlio Ettore, incontro scandito dalle lacrime e dall'emozione. A questi picchi, però, fanno da contr'altare le melense scene che narrano l'amore fra Paride ed Elena, qui riproposti in modo irritante come Romeo e Giulietta ante litteram, o le enormi scene di massa, molto curate ed elaborate, ma non abbastanza da surclassare quelle viste di recente nella terza parte de Il Signore degli Anelli-Il Ritorno del Re, finendo per sembrare già viste, anche se di notevole impatto e d'indiscutibile qualità.
Anche i protagonisti di questo kolossal tutto muscoli, sangue e sudore convincono solo in parte e se tra i promossi troviamo senza dubbio il valoroso ed integerrimo Ettore dell'australiano Eric Bana, l'energico, possente e sdegnoso Achille del biondissimo Brad Pitt ed il saggio e scaltro Odisseo interpretato dal perfetto Sean Bean, che si sforzano, con esito positivo, di regalare la terza dimensione ai loro personaggi piatti e dall'approfondimento psicologico appena accennato. Buona anche la prova del leggendario Peter O'Toole anche se talvolta pecca d'eccessiva teatralità e dà vita ad un Priamo pericolosamente simile a Macbeth, e delle donne (poche) della pellicola: eterea ma allo stesso tempo passionale l'Elena di Diane Kruger, testarda e coraggiosa la Briseide di Rose Byrne, dolce e sfortunata l'Andromaca di Saffron Burrows, per finire con il pregiato cameo della superba Julie Christie nel ruolo di Teti.
Inappropriate (a volte) fino al ridicolo le interpretazioni di Orlando Bloom che, sebbene fisicamente sia un ottimo Paride, sembra faccia davvero una gran fatica a rendere un minimo espressivo il viso del giovane principe troiano, e di Brian Cox, un Agamennone talmente egocentrico, iroso e cattivo da sembrare il villain di un fumetto della Marvel.

Quale sarà il destino del monumentale e ambizioso Troy è di difficile previsione e l'ultima considerazione che sovviene alla mente è che ancora una volta le megaproduzioni Hollywoodiane si confermano incapaci di cogliere uno spirito e un'ethos differenti dal proprio, finendo per proporre un ritratto che è irrimediabilmente americano della grecità, come dire che schinieri lucenti e scudi istoriati sono sufficienti per ritrarre un soldato, un uomo forse, ma di certo non danno anima ad un eroe, a maggior ragione non bastano a consegnare i più grandi eroi di tutti i tempi alla gloria ed all'immortalità cui aspirano.


Marta Ravasio

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