Van Helsing

Van Helsing, il principe dei 'mostri'

Van Helsing. Nome altisonante del più grande paladino acchiappamostri della storia del genere fantasy, nato dalla mente di Bram Stoker che inventò per il suo Dracula un antagonista affascinante e al tempo stesso cupo, come il male che Van Helsing incarna e combatte.
Un'ombra che evoca morte e redenzione, terrore fra le creature più infime, orrore tra gli umani che vedono in lui, nonostante tutto, un'anima nera. Caratteristiche che avrebbero fatto la gioia di qualsiasi personaggio cinematografico (e di qualsiasi regista…), ma che in questo film diventano solo un pretesto, presto accantonato, per poter raccogliere in un unico calderone, i personaggi più classici della letteratura horror, depurarli d'ogni aspetto terrificante e mettere a punto una carnevalata malriuscita in cui le uniche mostruosità risiedono nella facilità e nella leggerezza con cui regia e sceneggiatura si fanno da parte per lasciare spazio ad uno scontato quanto frivolo spettacolo pirotecnico di effetti speciali, fracassoni e noiosi.
Non c'è nulla di minimamente misterioso, né inquietante in Van Helsing.
Dalle atmosfere pseudo-gotiche, ai lampi ad intermittenza che costellano il film, passando per le insopportabili creature svolazzanti sul cielo costantemente plumbeo della Transilvania, tutto odora in modo insopportabile d'artificio e falsità, caratteristiche che registi del calibro di Tim Burton o Sam Raimi avrebbero tradotto in arte, fascino e spettacolarità, e che invece Stephen Sommers sovraccarica fino all'esasperazione, accumulando e ammassando maschere ed effetti speciali propinati allo spettatore in quantità industriali, mutuati da altri contesti (un Mr. Hyde che sembra creato dagli scarti di Hulk) ed assemblati con la stessa incoerenza con cui il Dr. Frankenstein profanava tombe e cadaveri per dar vita alla sua creatura.
Il risultato è altrettanto mostruoso, perché da vita ad un film senz'anima, da encefalogramma piatto, in cui il regista sembra interessarsi più alle tenuta dei boccoli e dei corsetti (una nota di merito alla sempre bravissima costumista Gabriella Pescucci) della bella ma sprecata Kate Backinsale (da dimenticare) che a qualsivoglia effetto drammatico, fregandosene dei dialoghi (a dir poco imbarazzanti), e delle incredibili potenziali suggestioni che un soggetto come Van Helsing avrebbe potuto liberare sullo schermo.
Ben presto il baraccone di effetti speciali prende il sopravvento, tentando inutilmente di mascherare la povertà di fondo con un nauseabondo, prevedibile esasperante carrellata di personaggi scontati e a dir poco convenzionali (da far rimpiangere Carletto il principe dei mostri), dal Conte Dracula del cattivo di Moulin Rouge!, Richard Roxburgh) al povero frate aiutante di Van Helsing, l'incolpevole David Wenham (un bel salto rispetto al Faramir de Il Signore degli anelli...) senza dimenticare il patetico Mostro di Frankenstein ( Shuler Hensley ), che finisce per annoiare ed appesantire a dismisura la visione fin troppo lunga (145' minuti interminabili) di un film forse più indicato ad un pubblico di giovanissimi, che ad una platea di appassionati del genere.
In una tale piattezza neppure il carisma di Hugh Jackman riesce a risollevare le sorti del film e il povero Volverine, pur mantenendo gli artigli (nella metamorfosi in licantropo) che lo hanno consacrato protagonista e idolo di X-Men, perde d'un colpo solo fascino (cappellaccio e chioma fluente da dimenticare) e personalità, diventando schiavo di un personaggio monocorde, tagliato con l'accetta, che Hugh Jackman non riesce a caratterizzare minimamente, imbalsamato quanto una statua di cera in un museo degli orrori.
In tutto ciò non sorprende, anzi, va apprezzata (in quanto prevedibile e, per questo, evitabile...) la coerenza del regista, che da La mummia a La mummia - Il ritorno fino ad oggi, rimane fedele alle proprie caratteristiche, depredando e centrifugando mostri e leggende per continuare a propinarci lo stesso, irritante, quanto inutile, spettacolo dei balocchi.


Ottavia Da Re

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