Oscar che passione

La notte delle stelle vista da e con quelliche…il cinema


La nostra lunga notte inizia attorno a un tavolo, carta e penna alla mano, davanti al televisore acceso da ore. Noi redattori di Quelliche…ilcinema ci siamo riuniti per vivere e condividere l’evento cinematografico più glamour dell’annata, la notte degli Oscar. Assente (fisicamente, non certo col cuore) la nostra beneamata direttrice, trattenuta da impegni di lavoro, ma collegata grazie alle risorse del progresso tecnologico.
Innaffiata da caffè, ginger e coca cola, accompagnata da patatine, pop-corn e biscotti di pasticceria, l’attesa si unisce al gioco, al pronostico, al commento. I nostri cuori battono all’unisono per il superlativo e premiatissimo I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee fra i film (già a Venezia avevamo applaudito il suo scintillante Leone d’oro), ma la cerimonia è un’occasione che spesso trascende podio e medagliere esaltando anche la passione più irrazionale e spontanea. Dunque via col valzer divistico: eccoci con più di un’ora d’anticipo sull’inizio della cerimonia (partita alle 2:00 del mattino, ora italiana) a sezionare con occhio vigile stelle e stelline chiamate a calpestare il red carpet del Kodak Theatre di Los Angeles.
Per poco non cado dalla sedia quando una panoramica verticale risale il corpo di Nicole Kidman che riempie un lungo tubino bianco avorio: decido in partenza che una delle più belle della serata sarà senz’altro lei. Le colleghe e la direttrice si scambiano pareri sull’avvenenza di Jake Gyllenhaal e sul fascino di George Clooney. Sollevano ilarità i panneggi che coprono Charlize Theron e Reese Witherspoon.
Alle due meno dieci le nostre tazze si riempiono di caffè, alle due la cerimonia comincia. Nel vedere il presentatore Jon Stewart catapultato nell’universo parallelo di uno schermo popolato di divi (e i suoi predecessori in situazioni ispirate ad alcune delle pellicole nominate) ci tornano in mente le gag di Billy Cristal – che in modo simile nel 1997 affrontò il deserto del Paziente inglese e nel 1998 affondò con il Titanic –. Il monologo dell’anchorman passa sgranocchiando lingue di gatto. Poi pupille incollate allo schermo mentre l’incedere regale della Kidman porta l’evento nel vivo per la consegna dell’Oscar al migliore attore non protagonista. Cate Blanchett, vincitrice del premio come attrice non protagonista nel 2005, è evidentemente impegnata; ma la connazionale Nicole la sostituisce degnamente. Mette la statuetta nelle mani del plurinominato George Clooney, che grazie a Syriana sconfigge il Paul Giamatti di Cinderella Man. Sornione, esclama: “Questo significa che non ho vinto per la regia!”, e qualcuno ne paragona l’espressione divertita e divertente a quella dello Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie.
La prima delusione arriva con la sconfitta de La sposa cadavere di Tim Burton nella categoria del film d’animazione; il premio va a Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro. Il tifo per la costumista italiana Gabriella Pescucci, candidata per La fabbrica di cioccolato, è spento da una tirata Jennifer Aniston che annuncia la vittoria di Colleen Atwood per gli abiti di Memorie di una geisha. È inevitabile, quando il film di Rob Marshall si aggiudica anche gli Oscar per scenografie e fotografia, esclamare: “Ma basta geishe!”.
Lo show, in definitiva, non è male: belle le scenografie nei colori del ghiaccio sul palco, veloce e sincronizzata la tempistica, gradito il ritrovato schema tradizionale (che evita le atroci opzioni di schierare in scena i candidati o consegnare le statuette in platea, scelte per alcuni premi lo scorso anno.)
Non ci stupisce la vittoria di Rachel Weisz come migliore attrice non protagonista per The Constant Gardener, anche se fra le sorprese qualcuno di noi pensava alla Michelle Williams di Brokeback Mountain, qualcun altro alla Amy Adams di Junebug. Promuoviamo comunque la Weisz che ringrazia subito il co-protagonista nel film Ralph Fiennes (di cui tutti a questi Oscar abbiamo sentito la mancanza). Essendo la nostra al sesto mese di gravidanza, non può non tornarci in mente Catherine Zeta-Jones, che nel 2003 ottenne lo stesso premio all’ottavo mese… ma notiamo concordi come quest’ultima fosse ovunque debordante, e come la Weisz, invece, sia composta quanto un’educanda.
Se poco ci erano piaciuti i papillon con cui i premiati per Wallace e Gromit hanno decorato le loro statuette, sorridiamo di fronte ai pinguini di peluche di cui fanno bella mostra gli autori di La marcia dei pinguini, miglior documentario.
Nuovi biscotti, ancora coca. Stavolta si brinda: I segreti di Brokeback Mountain si aggiudica il premio per la struggente colonna sonora, firmata da Gustavo Santaolalla. Ci lascia dubbiosi, invece, il premio a Crash per il montaggio: ci guardiamo e in coro ci diciamo che avremmo preferito The Constant Gardener.
Quando sul palco compaiono Meryl Streep e Lily Tomlin, capiamo che è arrivato il momento di onorare alla carriera Robert Altman. Tutti in piedi (ma notiamo con disappunto che la standing ovation è stranamente breve) ad applaudire il maestro mai onorato in passato con la statuetta. La Streep e la Tomlin duettano in un dialogo degno del premio Tony per introdurre il regista, con tanto di abbraccio finale. Noi ci perdiamo nel menzionare le numerose opere di Altman che abbiamo amato, da Nashville ad America oggi, fino a La fortuna di Cookie e Gosford Park.
Quando viene proclamata migliore canzone It's Hard Out Here For a Pimp, da Hustle & Flow, a qualcuno vanno di traverso i pop corn. C’è anche chi si lamenta per la vittoria del sudafricano Tsotsi come film straniero, difendendo non tanto il nostro La bestia nel cuore, quanto Paradise Now e il tedesco Sophie Scholl.
Ma la lingua batte dove il dente duole. Sappiamo tutti che il grande favorito per l’Oscar al migliore attore è Philip Seymour Hoffman, interprete di Capote. Ma i cuori delle colleghe qui sono divisi: c’è chi tifa Heath Ledger per Brokeback Mountain, chi invece ama Joaquin Phoenix in Quando l’amore brucia l’anima. Poiché fino a quel momento ho indovinato tutte le vittorie, la padrona di casa mi chiede di pronosticare come miglior attore David Strathairn per Good Night, and Good Luck, nella speranza che sia di buon auspicio. Ma non c’è niente da fare: Hoffman (comunque meritevole) strappa la statuetta. Con vero spirito cinefilo, porgo un fazzoletto a Ilaria, che vuole versare calde lacrime sulla sconfitta di Phoenix.
Ma le tragedie non sono certo queste. Può sempre andare peggio (alla notte degli Oscar). Quando vediamo entrare in scena Jamie Foxx - migliore attore dell’anno scorso - intuiamo che è arrivato il momento della migliore attrice. Reese Witherspoon è già pronta ad alzarsi e ricevere il premio per Quando l’amore brucia l’anima, lo sappiamo. Ma la speranza di veder trionfare l’assai brava Felicity Huffman, che da casalinga disperata s’è trasformata in trans per Transamerica, è l’ultima a morire. Ma muore comunque. Jamie Foxx declama “Reese Witherspoon”, quella storce la bocca in una smorfia di sorpresa compiaciuta e corre su per i gradini. “Non avrei mai pensato di arrivare fin qui dal Tennesee” cinguetta. Fra i nostri sospiri prendono forma le parole “Falsa” e “Finta”.
E qui la nostra cinefila passione ha ormai assunto significato evangelico. Crash si porta a casa la statuetta per la sceneggiatura originale. I segreti di Brokeback Mountain quella per l’adattamento; quando sentiamo i nomi dei suoi sceneggiatori (Larry McMurtry, Diana Ossana) tiriamo un sospiro di sollievo.
Arriva Tom Hanks, e ci chiediamo come mai da undici anni a questa parte l’Academy gli riservi sempre lo stesso motivetto da Forrest Gump. L’attore consegna il premio per la migliore regia ad Ang Lee.
Fuori manca poco all’aurora quando vediamo Jack Nicholson gigioneggiare davanti al microfono menzionando le pellicole candidate come miglior film dell’anno. Siamo ormai certi che Brokeback Mountain vincerà, ma Marta previdente ci ammonisce: “Attenti alla fregatura che può essere dietro l’angolo!”. Così, quando Nicholson dice “Crash”, io non m’ero nemmeno accorto avesse già aperto la busta: all’ultimo istante il film di Paul Haggis ha strappato il pareggio. Mentre ci guardiamo in faccia non sappiamo cosa dire; qualcuno prende atto e aggiunge un punto alla “lista degli scandali”. Jon Stewart dà la buona notte, e noi ci rifiutiamo di pensare che l’Academy possa davvero essere omofoba come si sentirà dire. Ripensando al ghigno di Jack Nicholson, ci interroghiamo: e se avesse solo voluto scherzare?



Alessandro Bizzotto

(7/3/2006)
Foto © A.M.P.A.S.



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