Si gira a Mestre un documentario sulle lavoratrici ucraine

Mestre laboratorio di analisi e documentazione di un fenomeno sociale. Un documentario ed un concerto al Candiani sulla condizione della lavoratrici ucraine

Mestre laboratorio di analisi e documentazione di un fenomeno sociale. La città infatti è il “set “ che il trentenne regista barese Pierluigi Ferrandini ha scelto per realizzare un documentario sulla condizione delle lavoratrici ucraine. Prodotto dalla OZ Film in collaborazione con il Centro Culturale Candiani, la Venice Film Commission, gli Assessorati comunali alle Politiche Sociali e alla Produzione Culturale, l’Associazione Culturale Ucraina Più e Boscarato Ristorazione, il documentario sarà realizzato nei prossimi giorni a Mestre e avrà per protagoniste le lavoratrici ucraine riunite nel coro Dolya, che si esibirà in concerto all’Auditorium del Candiani domenica 2 aprile.

È proprio l’attività dell’associazione Ucraina Più, che da più di due anni si impegna nell’inserimento dei cittadini ucraini nel territorio con il coro Dolya (Destino) composto da una ventina di badanti e colf, la squadra di calcio Olimp, la scuola ucraina Persha Lastivka e una biblioteca, a spiegare il motivo per cui Ferrandini ha scelto Mestre come location per il suo lavoro.

Il documentario si propone di analizzare due particolari aspetti sociali, conseguenza delle nuove immigrazioni dall’est. Attraverso una serie di interviste, le donne saranno invitate a raccontare le loro storie di solitudine e di emarginazione; il documentario diventerà così un viaggio nel ricordo e nella nostalgia e, allo stesso tempo, vivido ritratto della condizione degli anziani nella nostra società la cui cura è sempre più spesso affidata ad estranei.
Il canto diventa allora, come spiega lo stesso Ferrandini un “ricordo comune e una maniera di avvicinarsi di più alla terra che hanno lasciato”. Il coro folkloristico costituisce un’occasione di ritrovo tra persone che condividono l’esperienza dell’emigrazione e strumento di integrazione nella nuova realtà sociale attraverso la diffusione dei canti popolari ucraini. “Il documentario avrà modo così” continua il regista “di mettere in risalto l’idea che l’arte, intesa come canto, possa essere un veicolo, un collante di solidarietà fra persone che condividono la stessa condizione di subalternità e di stranieri in una terra che non è la loro, storie di mogli e madri che abbandonano i propri cari e si trasferiscono a migliaia di chilometri dal focolare domestico. Un’arte che ha una validità terapeutica e che forse permette di tenere ancora sveglio l’amore e l’attaccamento alla loro patria che hanno dovuto lasciare ma alla quale tutte sperano di ritornare".

(25/03/2006)


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