UNA MOORE IDEALE

Affascinante. Atipica. Dotata di un talento smisurato. E soprattutto
autentica. In due parole, Julianne Moore.

Ritratto dell'attrice che ha stregato il festival di Venezia.

  2 settembre 2002: Julianne Moore è al Lido di Venezia in occasione della 59^ Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica per presentare la sua ultima fatica, Far From Heaven (Lontano dal paradiso), uno splendido melodramma sul razzismo e l'ipocrisia dell'America degli anni '50 diretto da Todd Haynes.
  Vestito color vinaccia, il sorriso luminoso, i celebri capelli rossi sciolti, sorprende in simpatia e disponibilità. La sua gentilezza è quella di un'attrice che, nonostante il successo, non si è montata la testa. Perché Julianne Moore non gioca a fare la diva, e in conferenza stampa lo dimostra a tutti con le sue risposte serie, pertinenti, meditate.
   Per lei un profluvio di complimenti.
   "Grazie per aver salvato il Festival di Venezia" esordisce un giornalista.
   "Non crede che il merito della riuscita del film sia soprattutto della sua attrice, la signora Moore?"
domanda qualcuno a Haynes.
   "Lei ha sempre interpretato personaggi straordinari, e questo non fa eccezione" le dico io.
E lei, divina, sorride e ringrazia tutti; ma non perde di vista il motivo della sua presenza al Lido.
   "Dietro il mio personaggio c'è la verità della sofferenza e il crollare di tutte le certezze" afferma sicura. "Il ruolo di Cathy è stato un regalo, come attrice e come donna. Vorrei che desse altrettanto a voi".
   Cinque minuti di applausi al termine della proiezione ufficiale di Lontano dal paradiso sanciscono il suo trionfo a Venezia. E da quel giorno un solo nome inizia a circolare con insistenza per quanto riguarda la Coppa Volpi alla migliore interpretazione femminile: il suo. Fino a che, l'8 settembre, la conferma arriva, e Julianne Moore vince.
   Scoperta da Hollywood dopo i trent'anni, Julianne è ormai abituata ai successi. Ha costruito la sua carriera alternando con disinvoltura disarmante ruoli molto diversi, passando da qualche blockbuster ad alto budget (Il mondo perduto - Jurassic Park di Spielberg, Il fuggitivo di Andrew Davis) a più modeste produzioni intellettuali (Il grande Lebowski dei Coen, Vanya sulla 42a strada di Malle).
   Del resto ai cambiamenti è abituata fin da bambina. Suo padre era giudice militare alla base americana di Francoforte; per seguirlo ha girato ventitré paesi insieme alla sua famiglia. Ma la prima esperienza d'attrice capita a scuola. Il suo insegnante d'inglese faceva anche teatro, e le affidò il ruolo di Doreen, la cameriera, nella rappresentazione del Tartufo di Molière. Da allora Julianne non ha mai smesso di recitare.
   Un successo che la Moore porta avanti a suon di grandi film e di interpretazioni magnifiche, e un talento che non può lasciare indifferenti. È il 1997 quando accetta di prendere parte a Boogie Nights di Paul Thomas Anderson, l'interpretazione su cui piove la prima grande valanga di riconoscimenti: al plauso unanime della stampa si aggiungono diversi premi della critica e le nomination al Golden Globe, allo Screen Actors Guild Award e all'Oscar come miglior attrice non protagonista. E quanto a "dorature", il suo è un bottino di tutto rispetto. Nel 1999, dopo aver girato ben cinque film (La fortuna di Cookie di Robert Altman, Un marito ideale di Oliver Parker, La mappa del mondo di Scott Elliot, Fine di una storia di Neil Jordan e Magnolia di Paul Thomas Anderson), Julianne riceve numerosi premi della critica, il National Board of Review per La fortuna di Cookie, La mappa del mondo, Un marito ideale e Magnolia, due nomination ai Golden Globe (come miglior attrice di commedia per Un marito ideale e come miglior attrice drammatica per Fine di una storia), la nomination al BAFTA (detto anche l'Oscar inglese) per Fine di una storia, due nomination agli Screen Actors Giuld Award (come attrice per Fine di una storia e come attrice non protagonista per Magnolia) e la seconda nomination all'Oscar, questa volta come miglior attrice, per Fine di una storia.
   Non male per la ragazzina nata nel North Carolina il 3 dicembre 1961, timida sì ("A scuola mi prendevano in giro tanto ero impacciata" ha detto), ma che nella vita ha mostrato una determinazione e un carattere d'acciaio.
   Dopo la fine del suo primo matrimonio con l'attore teatrale John Gould Rubin, la Moore ha incontrato il regista Bart Freundlich sul set di I segreti del cuore, nel 1997. Oggi hanno due figli, Caleb, di quattro anni, e Liv, nata lo scorso aprile. Una famiglia che non ha lasciato per venire a Venezia: è arrivata accompagnata da Liv e dalla baby-sitter alla conferenza stampa, da Bart in passerella.
   Una moglie e una madre, insomma, e non solo un'attrice. Perché Julianne non insegue il successo facile, il trionfo al botteghino, la gloria a tutti i costi; concilia lavoro e vita privata, non ama il presenzialismo, non ha casa a Hollywood. E ha imparato a giocare con la sua immagine, con il suo lavoro, con il cinema. Alle remunerate fatiche del '99 seguono, infatti, due film molto diversi:Hannibal di Ridley Scott, il chiacchierato seguito de Il silenzio degli innocenti, e la commedia Evolution di Ivan Reitman. Nel primo la Moore eredita il personaggio di Clarice Starling, corre, spara, insegue; nel secondo interpreta una scienziata goffa e maldestra, ma nonostante tutto sexy. Niente di più lontano dai suoi ultimi ruoli.
   Per approdare a The Shipping News di Lasse Hallström, poetico dramma ambientato fra i ghiacci dell'isola di Terranova. In cui trova, forse, il personaggio che più le assomiglia: dolce, romantico, intenso.
   La fama che circonda non solo l'attrice, ma anche la donna Julianne, è quella di una persona intelligente e colta. E certo non può che esserlo una che, dopo la laurea alla School of Performing Arts all'Università di Boston, ha raggiunto la fama con un curriculum che comprende titoli come America oggi di Robert Altman e Safe di Todd Haynes.
   Ma oltre a questo, la Moore è un'attrice decisa, che si è affacciata alla ribalta internazionale rivendicando il suo status di artista: in un mondo accusato spesso di maschilismo come quello hollywoodiano, non ha esitato a incarnare figure di donne autentiche, vere, carismatiche.
   Ora illumina di nuovo i nostri schermi con The Hours di Stephen Daldry (già artefice del successo di Billy Elliot), al fianco di Nicole Kidman e di Meryl Streep. Dove è di nuovo una casalinga, qui profondamente insoddisfatta. Muta lo sguardo con la rapidità di un fulmine, concentrando nei suoi occhi l'intero dramma di Laura Brown.
   Due nomination all'Oscar sono arrivate, nello stesso anno. Come miglior attrice per Lontano dal paradiso e come miglior attrice non protagonista per The Hours. È la settima attrice nella storia, Julianne, a ottenere la doppietta.
   Nel suo futuro, Raveling, diretto da suo marito e basato sul romanzo di suo fratello Peter Moore Smith, Without Apparent Motive di Bille August e il remake di Va' e uccidi, nel ruolo che fu di Angela Lansbury.
   Pronta a un nuovo successo.
   "In una Hollywood al maschile, noi attrici vinceremo molte scommesse" ha dichiarato al Festival di Toronto, dove Lontano dal paradiso è stato accolto calorosamente - e dove ha vinto il premio come miglior attrice - "Come me, Michelle Pfeiffer, Susan Sarandon, Meryl Streep porteranno sugli schermi donne che sanno amare, lottare, insegnando qualcosa agli uomini".

Alessandro Bizzotto




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