Foto © Romina Greggio L'INTERVISTA / Pino Donaggio: Io che non vivo...senza Venezia

Quando arriviamo nel suo studio, Pino Donaggio ci accoglie con un caffè e un’ospitalità davvero spiazzante.
A due passi dalla Chiesa della Salute, mentre nella calle vicina una fisarmonica intona il tema di un noto film, ci troviamo catapultati nello studio delle meraviglie dove nascono i suoi successi e dove lui grande collezionista ha raccolto cimeli, cd introvabili, articoli e David di Donatello.
Per chi vive di cinema e musica uno scrigno di rarità, dove foto di Mina, Brian De Palma, Antonioni, sceneggiature, articoli spuntano tra opere d’arte contemporanea, confondendosi a meraviglia tra i “violini” di Arman e un pianoforte fatto di chewingum rosa che profuma di fragola. Al centro di tutto un piano vero, il fedele Yamaha, un mixer e i pc che fanno scorrere le immagini dell’ultimo film musicato mentre le onde del “cubase” macinano note, grafici e nuove melodie. Lui che non vive più di un’ora senza musica ci ha dedicato un pomeriggio per parlare di “canzonette”, di colonne sonore, di una vita votata alla passione. Vissuta da violinista, cantante rock e compositore per il cinema, sempre da protagonista, sempre con grande umiltà.
Un viaggio nel passato incredibile di un musicista unico, collezionista di opere d’arte e di successi, affabulatore di ricordi invidiabili, tessuti da un destino che dopo averlo traghettato dal Conservatorio a Sanremo, in una nebbiosa alba del 1973 fece la sua apparizione su un vaporetto… A Venezia…un mattino grigio shocking.

Sembra incredibile pensare ai suoi esordi come musicista classico
La mia prima vera vocazione era quella di suonare il violino. Non ero ancora diplomato quando ho iniziato con il gruppo di Abbado e i solisti di Milano (unico non diplomato a suonare con lui), e sono stato primo violino assieme a Toso nei Solisti Veneti. La mia carriera era indirizzata verso quella del solista. Infatti quando poi sono andato a Sanremo il mio insegnante non mi ha più voluto in classe… Dovevo star via una settimana e invece son tornato dopo un mese. Ero l’unico allievo che aveva portato con sé a Milano, pensando che potessi fare molto bene. L’ha visto come un piccolo tradimento…

Cos’è che l'ha portata dall’ambiente classico al rock, dalle opere alle “canzonette”?
Nessuna vera illuminazione. Io son cresciuto in mezzo alla musica leggera perché mio padre aveva un complesso. Ha suonato tutta la vita con una delle orchestre più importanti in Veneto. Non è mai uscito dalla regione perché aveva un altro lavoro, alla Sade, l’Enel di oggi, e non poteva muoversi da Venezia però cantava anche con Sergio Endrigo che all’epoca faceva il portiere, “lift-boy” al Danieli e cantava con lui al Cristallo di Mestre. Poi mio padre l’ha mandato con l’orchestra Rauchi e da lì ha iniziato la sua carriera Io ero più piccolo di Endrigo, ma in quegli anni andavo sempre con mia madre ai veglioni a Mestre e son cresciuto con la musica leggera. Poi ho avuto la possibilità di studiare, quella che mio padre non aveva avuto e ho iniziato a fare il musicista al Benedetto Marcello per poi passare, dopo il quinto anno a Verdi di Milano.

Quindi è cresciuto con un’anima classica e una rock. Quanto l’ha aiutata questa formazione?
Molto. Infatti mi dicono spesso che riesco a passare dalle canzoni alle sinfonie proprio perché ho un bagaglio musicale molto ricco e diversificato

Non ha mai sofferto il fatto di essere criticato per aver privilegiato le canzonette ad una carriera di musicista classico?
No. E sai perché? Dopo il successo, quando sono tornato al conservatorio per continuare a studiare, venivo visto un po’ male dagli altri musicisti e dai direttori del conservatorio. Ma avevo in mente le parole di un professore di violino, Fael, una grande musicologo, che un giorno di disse: “Donaggio no prendertela. Tu avrai scritto – quanto? – tre minuti di musica? Ma è la tua musica. Gli altri suoneranno tutta la vita, magari, la musica di altri. Una grande lezione. Da lì ho capito che non dovevo badare certe critiche.

I ricordi più belli di quel periodo “rock”, a parte i successi…
La cosa che ricordo con più piacere è che eravamo molto più liberi ad oggi, cantavamo quello che volevamo cantare. Io ad esempio passavo dal lento al rock con molta libertà, perché la matrice era rock, però poi è uscita fuori la mia formazione classica. Ad esempio il successo di “Come sinfonia” che suonava così diverso agli orecchi degli italiani era dovuto al fatto che avevo avuto l’idea di arpeggiare le terzine e le duine come avviene nella musica classica. Il risultato era diverso da come si era abituati a sentire nei dischi di allora, così mi sono subito ritagliato uno spazio originale…

Ha attraversato la musica in ogni sua forma, sia come autore, compositore che interprete. Nessuno meglio di lei può parlarci dell’evoluzione della musica in Italia. Com’è cambiata? C’è ancora spazio per l’originalità e per la versatilità?
Il fatto è che ci sono stati tutti i generi, tutti i tipi di musica. E’ stato sperimentato tutto, sia nei testi che nella melodia. Il rap, forse è il genere meno efficace e meno duraturo, perché troppo legato al testo e poco legato alla melodia. Poi è difficile esportare le canzoni italiane all’estero, perché il genere che facciamo oggi è simile all’emericano, all’inglese e quando viene esportato non regge il confronto e non è voluto. Per questo vanno bene Bocelli, Pausini e Ramazzotti, perché sono ancora fedeli alla melodia italiana. Qualche anno fa si riusciva a competere sulla dance arrivando anche ai primi posti delle classifiche inglesi, ma oggi è più difficile… Adesso sta per riuscire in America un brano rap in cui c’è un intro e un rapper che dice di tutto. Ogni tanto si sente il ritornello di “Io che non vivo”…

Un’interpretazione piuttosto audace…come l’ha presa?
E’ troppo divertente…Non me la prenderei mai. Tra l’altro “Io che non vivo senza te” è una canzone che ha fatto talmente tanto che un’interpretazione in più non toglie nulla alla sua grandezza, anzi… Proprio in questi giorni ho saputo che Nicole Kidman ha firmato per un film biopic (sceneggiato dal grande scrittore Michael Cunningham ndr) sulla vita della cantante Dusty Springfield. Il suo più grande successo è stato proprio “Io che non vivo senza te”. E’ stata lei a portare il pezzo al successo mondiale. Elvis l’ha sentito da lei e ne ha fatto la sua versione, come altri.

Quando l’ha conosciuta?
Dusty era a Sanremo quando ho cantato “Io che non vivo”. La prima sera lei è stata scartata e durante la seconda serata del festival era lì, mi ha sentito cantare e si è emozionata molto innamorandosi della mia canzone. Poi ha cercato per un anno un testo adatto che le piacesse finché è riuscita a trovarlo grazie a due autori che scrivevano per il cinema. Pensa che dopo vent’anni, mentre stavo lavorando con De Palma l’ho rivista a New York durante un suo concerto che sono andato a vedere con il mio direttore d’orchestra Massara. Poi sono andato in camerino e quando mi ha visto mi è saltata letteralmente addosso, l’ho dovuta tenere se no…Mi ha detto “Hai scritto la canzone della mia vita”…

La “canzone della vita” di molti…
Da quando l’ho scritta credo abbia venduto 80 milioni di dischi…anche se non li conto più ormai.

Forse l’interpretazione più nota è quella che fatta da Elvis Presley. L’ha mai conosciuto?
No, mi hanno solo chiamato un giorno per dirmi “guarda che l’ha fatta Elvis”. E lì ho avuto i brividi, perché anch’io ero un suo ammiratore, rifacevo i suoi pezzi, con un inglese maccheronico ovviamente, finto, preso dal disco, per fare un po’ di rock, come tanti. Quindi sapere che lui aveva inciso un mio pezzo è stato veramente un onore. Quando sono stato a Graceland, proprio nell’ultima sala della sua villa a Memphis, ho trovato il disco d’oro vinto con “You don’t have to say you love me”...

Anche il cinema ha attinto spesso dalle sue canzoni. Di recente, anche quel collezionista e appassionato di italianità di Tarantino…
Sì, ha usato un pezzo di “Blow Out”, ““Sally e Jack”, per il suo ultimo film “Death Proof”. Oltre ad essere un grande appassionato di B-movies e western all’italiana è anche un affezionato cultore del Festival di Sanremo. Ma i miei pezzi sono stati citati in molti film: “Come sinfonia” (pezzo inciso da Mina con grande successo ndr) nel film “L’assassino” di Elio Petri, “Motivo d’amore” in un film spagnolo “Delitto d’amore” di Juan de Orduña…

Qual è stato il regista musicalmente più preparato con cui ha lavorato?
Brian De Palma è preparatissimo. Ma anche Sergio Rubini. Ha una collezione infinita di dischi. Oppure Claudio Fragasso. Diciamo che anch’io ormai so cosa vogliono e cosa non vogliono. Giuseppe Ferrara ad esempio non voleva troppi violini nei suoi film d’impegno civile perché diceva che gli ricordavano troppo il buonismo della democrazia. Insomma ognuno ha le sue idee e manie. Quelli con cui ho lavorato sono tutti abbastanza preparati musicalmente e hanno le loro preferenze. Solo un regista mi ha lasciato carta bianca… Lucio Fulci con cui ho fatto “Il gatto nero”. Dovevo far le musiche anche de “La maschera di cera” ma poi lui è venuto a mancare.

Una grande fiducia nel suo lavoro…
Ma anche Joe Dante con cui ho fatto “Piranha” non ascoltava la musica prima, la sentiva solo quando gliela mandavo finita. Voleva lavorare con me e voleva la mia musica, ma i film erano talmente piccoli e a basso budget che non era possibile fare grandi viaggi. Io la registravo qui in Italia e poi gliela mandavo. Però prima di iniziare a comporre, lui mi spiegava cosa voleva, quali erano i punti del film in cui marcare certe musiche, dandomi le indicazioni più importanti.

Come ha iniziato a lavorare con Brian De Palma?
E’ una storia che comincia dal compositore storico di Hitchcock, Bernard Herrmann che con De Palma aveva già fatto due film, “Sister” e “Complesso di colpa”. Herrmann è venuto a mancare mentre stava lavorando a “Taxi Driver” di Scorsese. Era il 1975. In quel momento De Palma stava finendo “Carrie” che pensava di affidare proprio ad Herrmann. Un amico di De Palma, passando per l’aeroporto di Londra, ha comprato il mio disco “Don’t Look Now” (“A Venezia…un dicembre rosso shocking”) ed è stata la mia fortuna. Quando Brian gli ha confidato di non voler usare i soliti compositori hollywoodiani, lui gli ha fatto sentire il disco e ha trovato che avevo una certa affinità, un modo di scrivere simile a quello di Herrmann, forse perché era violinista anche lui - cosa che ho saputo dopo – e usavamo gli archi in modo simile. Così mi ha cercato e grazie al montatore che parlava bene l’italiano, Paul Hirsch, Oscar per “Star Wars”, ho iniziato a collaborare con De Palma e ho scritto le musiche di ”Carrie – Lo sguardo di satana”.

Fra i progetti che avete insieme, si parla spesso di “Toyer” film sulla storia di un killer che si aggira per Venezia durante il Carnevale. E ancora in piedi?
“Toyer” è un progetto rimasto in sospeso e non so bene la ragione. Abbiamo fatto i sopralluoghi a Venezia con Mestiere Cinema. Sembrava che si potesse concretizzare il settimo film insieme, e invece poi Brian ha si è dedicato ad altri progetti, come “Black Dahlia”. Sembrava tutto pronto, avevano trovato anche la produzione americana. L’idea era di ambientare il film durante il Carnevale, mentre per i ruoli dei protagonisti erano stati scelti Juliette Binoche e Colin Firth. Un film che ero molto curioso di fare perché è tratto da una commedia e siccome i personaggi nei film di De Palma non parlano molto, qui avrei avuto la possibilità di confrontarmi con molti dialoghi e soggetto interessante, quello di un killer che gioca con la mente delle donne…

Quindi al momento non ci sono progetti insieme…
Mai dire mai.

Ha girato in molte occasioni a Venezia. E’ una difficile da musicare almeno quanto è difficile da fotografare?
Io credo di no. Ad esempio ricordo che quando feci “Don’t Look Now” , il film all’epoca non era molto amato dalle istituzioni locali perché faceva vedere una Venezia notturna, oscura, che impauriva, ma era una Venezia insolita e, per una volta, diversa da quella dei turisti. Io poi ho scritto le musiche per “Nero veneziano” di Ugo Liberatore, per “Così fan tutte” di Brass, sempre film con una Venezia non convenzionale. L’unico film che ho seguito in cui appare per poco la Venezia turistica è “Appointment with Death” (“Appuntamento con la morte”) di Michael Winner, con Peter Ustinov, tratto da un giallo di Agatha Christie. Per il resto ho sempre avuto la possibilità di lavorare con una Venezia originale. La mia fortuna è stata quella di poter fare il primo film, “Don’t Look Now” con una Venezia nebbiosa, oscura, per cui lavoravo di assonanze con gli strumenti, con i violini, per cercare quell’atmosfera un po’ angosciosa di cui aveva bisogno il film. Quindi sono stato avvantaggiato perché ho iniziato con un film su Venezia, che conoscevo bene e sapevo come affrontare. E’ stato grazie a questo che ho deciso di scrivere per il cinema. Il film poi è stato premiato per miglior colonna sonora dell’anno dalla rivista inglese “Films & Filming”

Si parla di un leggendario incontro in vaporetto all’alba di un giorno spettrale…
Più che un incontro è stata quasi una visione! Un produttore romano, che si chiamava Ugo Mariotti, una mattina presto, mi ha visto passare in vaporetto sul Canal Grande. Io tornavo da una delle mie serate ed ero in piedi sulla parte scoperta dei vaporetti (quelli vecchi erano aperti). Ero solo, anche perché erano le 6 del mattino e siccome il film era legato alla parapsicologia, si è convinto che io dovevo fare le musiche del film, Poi tra l’altro ha deciso di prendere Massimo Serato per la parte del prete perché una mattina l’aveva trovato che camminava solo in Piazza Navona. Erano le manie di Mariotti che vedeva in ogni incontro strano qualcosa di soprannaturale… Fatto sta che quella mattina alle 11.00 mi sveglia presentandosi come produttore (in realtà era produttore associato per l’Italia) e mi parla del film facendomi i nomi di Donald Sutherland e Julie Christie. Io ero incredulo, poi ho parlato con il regista Nicholas Roeg, che mi ha spiegato la sua idea del film dandomi una settimana per trovare la musica adatta. Così mi sono messo al lavoro e sette giorni dopo gli ho fatto sentire alcuni temi al piano, accompagnandoli con la voce per mimare la melodia e altri strumenti. E’ rimasto entusiasta. Ma il produttore inglese non mi voleva, perché ero giovane e non avevo mai fatto film. Però il regista aveva già montato sulla scena d’amore la mia musica. Fortunatamente il produttore americano vede il film con la moglie e dice “Il film è bellissimo ma quella musica che c’era sotto cos’è?”. Allora il regista gli spiega quello che avevo fatto e il produttore gli dice: “se uno scrive una musica come questa, che problemi abbiamo?”

Lei è stato in America ma poi ha deciso di tornare a Venezia
In realtà ho iniziato ad andare meno in America dopo “Blow Out” e un piccolo incidente aereo durante il quale si è incendiato un motore. La paura è stata grande e da lì ho cominciato a diminuire i viaggi, peraltro lunghi e stressanti. Anche perché oggi con la tecnologia posso benissimo lavorare e inviare file anche da qui. E’ il caso del film olandese che sto facendo. Tra l’altro i produttori sono venuti a trovarmi spesso perché gli piace Venezia, quindi meglio di così… Le musiche di “Il figlio di Chucky” di Don Mancini le ho fatte a Londra, registrando con la London Symphony Orchestra in formazione ridotta, ma è stata una grandissima esperienza. Dovrebbe esserci presto anche un seguito del film…

“Don’t Look Now”, ”Carrie”, “Piranha”, “Trauma”…Vanta più di 160 colonne sonore, molte di queste horror, un genere che l'ha particolarmente ispirata. C’è una motivazione artistica alla base di questo?
Nussuna scelta, in realtà. E’ sempre il destino che decide per me, e mi porta di qua e di là. - sorride - E’ vero anche che poi o mi sono un po’ tolto dal genere. Cominciava ad essere un’etichetta un po’ pesante, perché mi chiamavano per fare solo quello. Mentre facevo “Dressed to kill”, mi hanno chiamato per fare “The Fan”, poi ho fatto diversi piccoli horror come “Tourist Trap” di David Schmoeller, regista in cui credevo molto, pieno di creatività. E ho deciso di cambiare un po’ rotta. Facendo “Cin Cin” con Mastroianni, “Sette chili in sette giorni” con Verdone, e i film d’impegno civile con Ferrara, proprio per cercare di allontanarmi da quello che poteva diventare un cliché e fare in modo che anche la mia musica potesse esprimersi con altri generi.

Lei negli ultimi anni ha lavorato moltissimo con la tv
Sì, sto lavorando molto con fiction e serie tv, soprattutto con la RAI. Diciamo che l’hobby è diventato il cinema.

Ma la televisione non tende a semplificare troppo le cose, anche a livello musicale?
Secondo me no. Paradossalmente proprio questa semplificazione ha un aspetto positivo, almeno a livello musicale. La tv mi permette di essere più creativo e di scrivere con maggiore libertà. Il cinema è più complesso e poi a seconda del regista devi seguire determinate indicazioni, adattarti alla complessità e alla varietà delle scene.Tra l’altro io non scrivo mai i temi e le musiche basandomi solo sul copione, prima di aver visto il film. Avere le immagini davanti per me è essenziale. Perché l’immagine mi ispira… Ci sono quelli che scrivono la musica senza aver visto il film e poi la montano così com’è…non faccio nomi.

Ci sono dei registi che apprezza maggiormente per l’uso che fanno della musica nei film?
E’ una questione di prospettive e tecniche. Ad esempio durante “Don’t Look Now” di Nicholas Roeg, c’è una scena in cui Donald Sutherland corre tra le barche inseguendo la bambina che lui crede sua figlia. Il regista mi diceva che potevo tralasciare alcune parti di musica con violini ed archi perché c’era già il protagonista che correva e dettava l’azione. Quindi dovevo limitarmi alle percussioni. In altre scene mi chiedeva una musica che doveva “camminare” per riempire una scena in cui l’azione era limitata.

La funzione narrativa della musica…
Invece De Palma, nel finale di “Carrie” in cui la protagonista scende le scale e c’è un piano che marca la drammaticità della scena con dei violini sopra, mi chiedeva di enfatizzare e caricare ancora di più la musica con dei violoncelli e dei bassi.

Chi lavora per addizione e chi per sottrazione…
E’ sempre valido, a seconda dei gusti anche se io personalmente sarei più per lo stile di Roeg

L’importante è riuscire ad ottenere l’effetto voluto. E’ vero che durante una proiezione di “Carrie” fece sobbalzare George Lucas dalla sedia?
Lui è molto amico di De Palma, di Spielberg, quindi era con noi durante una proiezione. L’ho spiazzato durante la scena in cui Carrie avanza, con dei fiori e improvvisamente appare una mano che la afferra. Ad un certo punto del film, durante il tema base che è molto largo, al ralenti, in una seconda colonna, avevamo inserito un canone un po’ “herrmanniano” e quando entra questa dissonanza, il colpo che dà in mezzo alla musica soave è terrificante, più della mano della scena, tanto è messo bene, così ho visto Lucas sobbalzare improvvisamente durante il film. Finito il film ha guardato De Palma ridendo, un po’ imbarazzato. Non se l’aspettava…

Tra poco inizia la Mostra del Cinema. Uno dei protagonisti sarà Celentano e il suo “Yuppi Du” con cui ha condiviso qualche Sanremo e gli anni d’oro del rock.
“Yuppi Du” l’ho apprezzato molto quando è uscito. Aveva delle idee molto originali. Con Celentano abbiamo fatto anche una tournée in passato, il Festival del Rock con il Clan, poi ci trovavamo spesso in sala di registrazione a Milano. Avevamo in comune anche lo stesso arrangiatore, Natale Massara, grande compositore e sassofonista dei Ribelli.

Avevate in comune anche lo stesso paroliere, ovvero un grande poeta della musica come Vito Pallavicini.
L’autore di “Io che non vivo” e di “Azzurro” di Celentano, scomparso un anno fa. Un grandissimo autore. Lui e Mogol hanno scritto i più grandi successi di quegli anni. Tra l’altro Mogol traduceva le canzoni inglesi e Pallavicini quelle francesi.

Prossimi progetti per il cinema e la tv?
Oggi mi ha chiamato Pappi Corsicato per il suo prossimo film (“Il seme della discordia” ndr) che vedrò presto. Anche se in questo momento sono molti impegnato con un film olandese molto bello intitolato “Oorlogswinter” del regista Martin Koolhoven. Per la tv dovrei fare “Provaci ancora prof”, che è arrivata a quota 3, poi ho seguito le musiche di “Fidati di me” con Virna Lisi che uscirà ad ottobre. Farò le musiche di “Don Matteo 7” e della serie che sarà dedicata alla Principessa Sissi con Cristiana Capotondi…

C'è un regista con cui vorrebbe lavorare?
Nessuno in particolare. Ho lavorato con tanti bravi registi...Magari farei un film con Tarantino, visto che ha già incluso un mio brano nella sua ultima pellicola.

Un regista cult, cinefilo e collezionista, come lui. Con cui condividere il gusto per il cinema horror e un bel po' di ironia "pulp".
Prima di salutarci ci mostra orgoglioso i vinili dei suoi primi album ritrovati su E-bay grazie ad una fan giapponese e delle soundtracks rarissime. Accanto, ci indica la camera degli ospiti dove a volte si fermano a dormire registi e personaggi come Terence Hill e dove invece Dario Argento non ha mai voluto riposare, “per via delle sue fobie e del rumore dell’acqua, così l’ultima volta l’ho portato in un hotel qui vicino dove ha trovato un sacco di fans e si è fatto passare la paura”.

(Intervista pubblicata sul n. di agosto de "Il Gazzettino Illustrato").
Foto © Romina Greggio, Ottavia Da Re, archivio Pino Donaggio. Tutti i diritti sono riservati.

(20/08/2008)

Intervista a cura di: Ottavia Da Re


home news Ciak! Si gira... interviste festival schede film recensioni fotogallery vignette link scrivici ringraziamenti credits

Settimanale di informazione cinematografica - Direttore responsabile: Ottavia Da Re
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Venezia n. 1514/05 del 28 luglio 2005
Copyright © www.quellicheilcinema.com. Tutti i diritti sui testi e sulle immagini sono riservati - All rights reserved.