Intervista a Enrico Lo Verso: «Nessun film è perfetto»

Abbiamo incontrato Lo Verso nella splendida cornice del Castello Aragonese in occasione dell’undicesima edizione dell’Ischia Film Festival.

È stupito e un po’ imbarazzato Enrico Lo Verso quando gli chiedo di parlarmi del film “Atto di dolore” di Pasquale Squitieri, nel quale recitava, giovanissimo, accanto a Claudia Cardinale. «È stata la mia peggior prova d’attore e mi vergogno di come recitassi. Ero all’inizio della mia carriera e quello era il mio secondo film con Squitieri. Nel primo film che avevo fatto con lui, “Il colore dell’odio”, inizialmente avevo un personaggio piccolissimo, poi gli piacqui e decise di ampliarlo. Finite le riprese mi disse: ”tu lavorerai tanto. Fidati perché lavorerai tanto”. L’anno successivo Squitieri fece “Atto di dolore” e mi chiamò come coprotagonista. Era previsto il mio nome nei titoli di testa dopo quello di Claudia Cardinale, io ero confusissimo, imbarazzatissimo e felicissimo. In quel periodo però frequentavo una scuola di recitazione che mi costringeva a recitare in un modo che a me sembrava totalmente falso. Mi vergognavo quando recitavo e Squitieri si rese conto che non ero più quello che aveva conosciuto. Non ero l’Enrico, l’attore, che aveva conosciuto sul set di “Il colore dell’odio” perché nel frattempo avevo intrapreso quella scuola. Purtroppo mi ci è voluto un po’ per capire che mi imbarazzava recitare perché in quella scuola mi insegnavano a farlo proprio “da cani”, come si dice. Ogni giorno arrivavo sul set e speravo che Squitieri mi mandasse via, è stato un incubo. Lui mi incoraggiava e diceva che ce l’avrei fatta, mentre io gli chiedevo di mandarmi via perché non mi ritenevo all’altezza. Lui diceva che mi avrebbe aggiustato in seguito con il montaggio e con il doppiaggio, in effetti devo dire che l’ha fatto. Però ha dovuto tagliare parecchio, nel film c’è un quinto di quello che avevo girato. Io ero inguardabile e lui è stato veramente un signore facendo di tutto per tenermi nel film. Da quell’esperienza ho capito cosa non funzionasse e ho cambiato modo di recitare, ho lasciato la scuola e sono tornato a farlo come lo facevo prima. Da quel punto in poi ho cominciato a lavorare».

Una decina di anni dopo ha lavorato nuovamente con Squitieri e la Cardinale in “Li chiamarono… briganti!”. Com’è stato ritrovarsi sul set?
Bellissimo! Pasquale è un regista di una grandissima cultura e competenza. La cosa piacevolissima dopo le riprese era rimanere li ad ascoltarlo parlare, sentirlo raccontare la storia d’Italia vista dal suo punto di vista, la visione di una persona che conosce tantissimo. Per me è stato veramente una guida. Sul set avevo la consapevolezza di fare una cosa importante con un regista di grande valore. “Li chiamarono… briganti!” è un film cult nel sud Italia, racconta l’Italia del 1860 e di quello che veniva chiamato brigantaggio quando in realtà era una forma di resistenza all’invasione dei Savoia e alle rappresaglie.

Com’è stato il rapporto con Claudia Cardinale?
Sul set lei mi considerava allo stesso modo sia nel ’90 quando abbiamo fatto “Atto di dolore” sia quando abbiamo fatto “Li chiamarono… briganti”, con la differenza che eravamo diventati più amici. Già dal primo film, nonostante io fossi agli inizi e assolutamente impreparato ad affrontare un set, lei mi trattava come fossi stato Burt Lancaster. Perché lei sul set tratta ogni attore come fosse Burt Lancaster e questa è la sua grandezza. È una persona generosissima, non si limita, si da completamente al regista, ai colleghi di lavoro e alla storia.

Anche con Gianni Amelio ha stretto un sodalizio artistico importante che ha prodotto, fra gli altri, “Lamerica”. Un film duro, ambientato in Albania, di grande attualità, nonostante i vent’anni trascorsi. Come ha vissuto quell’esperienza?
È stata un’esperienza bellissima. Fu una sorpresa per me, sono arrivato in Albania senza nemmeno avere un’idea del film che avremmo girato. Gianni me l’ha detto dopo una settimana che stavo in Albania e dopo un’altra settimana abbiamo iniziato le riprese. Il film, Gianni l’ha costruito piano piano, sapeva quali emozioni voleva trasmettere prima di conoscere lo svolgimento della storia. La storia l’ha sviluppata strada facendo, dando delle zampate da vero animale di scena, con cambi repentini alla sceneggiatura. Per me è stato straordinario lavorare una seconda volta con Amelio e scoprire un altro Amelio. Anche lui come noi attori cambia a seconda del film che fa. Questa è una cosa bellissima perché è la novità a rendere bello questo mestiere. È stato durissimo ritornare in Italia dopo l’Albania perché abbiamo avuto tutti, non solo io, il mal d’Albania, la voglia di restare li in quel paese straordinario. La gente è ospitale, meravigliosa, ti potevi fidare ciecamente. Gente vera, autentica.

Un terzo sodalizio artistico è quello con Gian Paolo Cugno con il quale ha girato “Salvatore – Questa è la vita” e “La bella società”. Come vi siete incontrati?
In realtà ci siamo conosciuti il giorno prima di iniziare “Salvatore”. Nel senso che mi avevano mandato la sceneggiatura, andavo bene sia a lui che alla produzione quindi li ho raggiunti direttamente sul set e ho iniziato a girare poche ore dopo. La cosa bella con Gian Paolo è che siamo cresciuti a cinquanta chilometri di distanza, abbiamo interessi comuni, abbiamo più o meno la stessa età e quindi parliamo la stessa lingua. Non avevamo granché bisogno di parlarci sul set, era più una battuta a farci entrare nella direzione giusta della scena. Il film è stato, devo dire immodestamente, una delle mie prove d’attore migliori. L’abbiamo fatto in poco più di tre settimane e alcune volte ho recitato senza avere gli attori davanti. Gli attori venivano, facevano le loro scene, partivano e il giorno dopo io facevo le scene di risposta facendo finta di averli davanti. L’ho potuto fare perché c’era una serenità sul set che lo permetteva. La grande soddisfazione è stata che quel piccolo film, ha vinto la sezione Alice al Festival di Roma, è stato in quaranta festival in giro per il mondo ed è stato venduto in molti paesi, è riuscito con poco a dare tanto.

Poi è venuto “La bella società”.
Nel momento in cui mi ha proposto “La bella società”, ho accettato senza neanche discutere. Quando hai un rapporto tale con un regista non chiedi nemmeno la sceneggiatura perché sai che comunque la modifichi mentre stai sul set. È stata un’esperienza molto interessante, purtroppo volendo raccontare un arco di tempo cosi lungo abbiamo avuto qualche problema e sullo schermo si è visto. D’altronde, nessun film è perfetto.

10/07/2013

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