Intervista a Jean Sorel: «E’ l’autoironia a salvare gli attori»

Abbiamo incontrato Sorel a Ischia, dove è giunto per ritirare il Premio alla Carriera all’undicesimo Ischia Film Festival.

«La mia famiglia ha vissuto molto male la mia scelta di fare l’attore. Uno zio, nonostante non fosse uno stupido, rifiutava di vedermi perché facevo questo lavoro». Non è stato facile per Jean Sorel far accettare alla propria famiglia il suo mestiere d’attore. Sorel, che all’anagrafe si chiama Jean de Combault-Roquebrune, proviene da un’antica e nobile famiglia francese, la quale, mi racconta: «non capiva il cinema. I miei parenti non comprendevano questa forma d’arte come non capivano certi libri e altre cose di questo genere. Queste famiglie, diciamo “per bene”, hanno dei limiti». Poi, invece, continua Sorel, «appena diventi un po’ conosciuto e fai delle cose importanti, allora il discorso cambia. All’inizio è stata una cosa terribile».

Nonostante l’avversione dei suoi famigliari nei confronti di questo lavoro, come è approdato al teatro e poi al cinema?

Studiavo in un college e d’estate si faceva teatro. Questa attività, piano, piano mi è piaciuta sempre di più, molto più degli studi che stavo facendo. Finché mia madre mi disse che se non avessi proseguito seriamente gli studi, sarei finito a fare il servizio militare. E cosi è stato! Sono partito per l’Algeria dove c’era la guerra. Di ritorno dal fronte ho cominciato a fare questo lavoro in Francia. Dopo alcune esperienze nel mio paese c’è stata la scoperta, per me essenziale, dell’Italia. Ho adorato fin da subito questo paese, aveva tutto quello che la Francia non ha.

Uno dei primi film italiani al quale ha lavorato è stato “Una giornata balorda” di Mauro Bolognini.

Si, è stato il mio secondo film italiano. Gli sceneggiatori erano Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Tutti e due venivano sul set e nonostante fossero due personaggi importantissimi, erano molto alla mano, era facile parlare con loro. Se una cosa sembrava non funzionasse nella sceneggiatura, loro erano subito pronti a cambiarla, a fare degli aggiustamenti. Erano stupendi, situazioni impensabili in Francia. La cosa che non hanno i francesi è l’autoironia. I francesi non hanno proprio l’ironia. Sono bravi, fanno delle cose belle ma danno sempre una lezione di vita. Mentre gli italiani no, dietro ogni cosa, in Italia c’è una specie di ironia, che è una cosa formidabile, piacevolissima.

L’Italia le ha regalato, oltre alla fama, anche l’amore: Annamaria Ferrero.

Sì, con la scoperta dell’Italia ho scoperto anche Annamaria, è stato l’amore della mia vita per cinquant’anni. Annamaria era un’attrice bravissima. Quando si è ritirata e non ha più voluto lavorare, nel ’64, io non ne ho capito il motivo, quale sia stata l’origine di questa decisione. Lei diceva che se avesse continuato dopo quattro anni ci saremmo separati. Non si sa perché proprio quattro anni ma per lei era cosi. Nel cinema o nel teatro ci sono due tipi di attori, quelli che hanno talento e quelli che imparano il mestiere. Annamaria apparteneva alla prima categoria, non ha mai studiato niente, e a quattordici anni ha fatto il primo film nel quale si vedeva solo lei. Altri attori sono bravi perché imparano, lei aveva una dote innata. Aveva talento, creatività e non si prendeva sul serio. Era autoironica. È questo che salva chi fa il nostro lavoro.

In seguito è venuto l’incontro con Visconti per “Vaghe stelle dell’orsa”, com’è stato l’incontro con lui che aveva la fama di essere molto duro?

Dunque, la cosa strana è che già durante il film di Bolognini ero stato chiamato dalla produzione da parte di Visconti. Io chiesi a Mauro informazioni su di lui, mi disse di evitarlo, per carità, disse, “è un personaggio insopportabile Visconti, abominevole, tremendo! Di una cattiveria impensabile con gli attori”. Io gli diedi retta, la cosa fini li e la produzione fece un’altra scelta. Molto tempo dopo scoprii perché Mauro reagì in quel modo, Visconti lo chiamava “Bolognetti” e si odiavano profondamente. Dietro a questo odio c’è una storia che non conosco ma di fatto non si sopportavano.

Sul set di “Vaghe stelle dell’orsa” come si è trovato?

Inizialmente ho avuto un momento di panico. Avevano cominciato a girare il film da due o tre giorni ma ancora non toccava a me lavorare, comunque Luchino volle che io andassi sul set. Si girava una scena in cui lavorava Claudia Cardinale. L’azione si svolgeva in un salotto bellissimo, molto grande. Qualcuno bussava alla porta, Claudia doveva andare alla porta, aprire, ricevere un telegramma, girarsi e camminare verso il centro della stanza leggendo questo telegramma. Nel messaggio c’era scritta una cosa molto importante. A quel punto Luchino, si è messo in ginocchio davanti a lei, l’ha presa per le caviglie e l’ha fatta camminare come voleva lui. Per me era assurdo, un regista che fa questo non è pensabile, ti sfinisce! Invece poi mi sono ricreduto e si è creato un rapporto molto sciolto con Luchino.

Luchino Visconti qui a Ischia aveva una villa che è diventata leggendaria, “La Colombaia”, lei la frequentava?

Ci sono stato con Annamaria ma non ci abbiamo mai dormito. Era molto buffo lui, aveva dei rapporti strani con le sue case. Aveva case dappertutto. Accanto al posto dove abbiamo fatto “Vaghe stelle dell’orsa”, lui si era comprato una bellissima villa che si trovava in uno stato pietoso. L’unica cosa che ha fatto restaurare subito era il teatro di questa villa. Non ci si poteva dormire, però si poteva andare in teatro a vedere qualcosa. Aveva dei rapporti molto curiosi con le sue residenze. Aveva delle case splendide, c’erano duemila oggetti di stili diversi, non erano fredde come può esserlo un salotto di un dentista o di un medico. Lui aveva una grande qualità che era quella di indovinare la moda. Io amo molto i bronzi e lui anche li amava molto, qualche volta andavamo a Parigi a comprarne. Luchino ha saputo indovinare molto prima che questi bronzi, questi artisti, sarebbero diventati importantissimi e lo sono diventati!

Prossimamente la vedremo su Rai Uno nella fiction “Una buona stagione”. Le ha fatto piacere tornare a recitare in Italia?

Certo, sono felice di averlo fatto perché il produttore è un mio amico da molto tempo, si chiama De Angelis. Il copione era quello che era ma il regista è bravissimo, si chiama Gianni Lepre, bravissimo davvero. Anche gli attori sono bravi, molto giusti nei loro ruoli.

15/07/2013

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