La recensione: BILLY LYNN - UN GIORNO DA EROE a cura di Ilaria Serina

“Distruggere un Paese è facile, opporsi al proprio, quello sì che richiederebbe un eroe”
– Kathryn Lynn al fratello Billy


Ang Lee si dimostra nuovamente un autore capace di sorprendere e stupire. Il pluripremiato regista taiwanese ci ha in effetti abituati, in ben venticinque anni di onorata carriera, ad un cinema di rara sensibilità e grande versatilità. Dagli scenari in costume adattando Jane Austen, alla crisi coniugale di due coppie nel Connecticut agli inizi degli anni settanta; per passare dal fantasy cavalleresco di ambientazione orientale, all’action movie fumettistico prepotentemente americano; sino a giungere alle passioni proibite che coinvolgono e consumano l’animo di due mandriani del Wyoming, piuttosto che di una studentessa divenuta una spia nella Shanghai degli anni quaranta; per approdare infine all’allegoria di un naufragio, evocativa trasposizione cinematografica sull’importanza dei ricordi ed il potere del racconto.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte all’adattamento di un romanzo: “E’ il tuo giorno, Billy Lynn!” edito in Italia da Minimum Fax ( titolo originale “Billy Lynn’s Long Halftime Walk” ) dell’autore americano Ben Fountain che, grazie a questa fortunata opera, ha ulteriormente arricchito il suo già cospicuo carnet di prestigiosi riconoscimenti letterari.
La storia è per l’appunto quella del giovanissimo soldato Billy Lynn, facente parte della squadra Bravo del corpo dei Marines ed insignito della Stella d’Argento, la terza più alta decorazione al valor militare che possa mai esser conferita ad una persona dalle forze armate statunitensi, per un atto d'eroismo in azione, contro un nemico del proprio Paese. Siamo agli inizi del nuovo millennio e la guerra che l’America sta combattendo è quella in Iraq, contro Saddam Hussein: “l’alibi” nei confronti del resto del mondo, per quella che diverrà di fatto un’invasione armata durata ben otto anni, in quello che allora si riteneva fosse territorio nemico, fu il sospetto infondato della detenzione illegale di armi di distruzione di massa ( mai trovate ), il presunto appoggio al terrorismo di matrice islamista e l'oppressione dei cittadini iracheni mediante una dittatura sanguinaria. Per essersi distinto sul campo Billy è divenuto in men che non si dica un nuovo eroe americano, da celebrare e valorizzare a suo di marce e fanfare in un “Victory Tour” di due settimane in giro per l’America, insieme a tutta la sua squadra, che prevede: interviste in tv, visita alla Casa Bianca, comizi pubblici aperti dal sermone di un predicatore, per culminare nell'apparizione come ospiti d'onore durante l’halftime show alla tradizionale, popolarissima partita di football del Giorno del Ringraziamento. Il film di Lee si concentra esattamente sulla narrazione di tutti gli eventi e gli incontri che scandiranno quella giornata in particolare - per Lynn e tutti i suoi commilitoni - vissuta dagli occhi del ragazzo, quasi si trattasse di una soggettiva, per lo meno emotiva. Alla celebrazione della squadra Bravo nel corso di quella fondamentale festa comandata americana, si alternerà per noi sullo schermo il campo di battaglia iracheno e ciò che realmente accadde in quel fatidico attacco. L’attenzione mediatica, il fragore dei festeggiamenti e l’elaborazione del lutto per la perdita del sergente Shroom ( Vin Diesel ) proveranno non poco i nervi del giovane soldato, il quale faticherà a riconoscere e ritrovarsi in una realtà - quella del suo Paese - che sembra non solo non appartenergli più, ma in qualche modo a respingerlo addirittura.
Ang Lee confeziona un film dall’apparenza innocua ma che, mano a mano che procede, si rivela sottilmente, ma insistentemente disturbante; ed è proprio questa dicotomia tra la violenza fisica e psicologica della dura e cruda realtà della guerra irachena, a raffronto con la violenza ideologica delle celebrazioni americane in cerca di sponsor, per mercificare il valore di un patriottismo a buon mercato, che il film di Lee trova il suo aspetto più riuscito ed interessante. Ciò che ci viene raccontato in “Billy Lynn – un giorno da eroe” non brilla certo per originalità; molti illustri film del passato, anche di genere, hanno raccontato la medesima incapacità di un Paese di metabolizzare gli orrori di una guerra sostenuta militarmente in nome della democrazia, ma poi disconosciuta dalla gente perché incapace di farci i conti, forse anche perché troppo lontana da tutto ciò che per loro risulta essere reale. Significativa infatti a tal proposito è l’infatuazione che la cheerleader conosciuta da Billy, tra una celebrazione e l’altra nel corso di quella fatidica giornata, prova nei confronti di questo giovane e promettente eroe, poiché ben si presta all’immaginario ideale quanto fittizio della ragazza, corrispondendo a quanto le è stato insegnato e a quanto lei si possa mai auspicare per il futuro: vi è un’ottusa, ma disarmante ingenuità in questo. D’altro canto c’è chi in questa storia intravede la possibilità di produrre un film; chi nell’arruolarsi si auspica l’assistenza sanitaria garantita per i propri famigliari, visto che entro i confini nazionali o comunque fuori dall’esercito, il lavoro, quando è garantito è comunque mal retribuito. Ben presto diviene sin troppo evidente anche ai nostri occhi, non solo a quelli del protagonista, quanto disinteresse ed incuranza vi sia per ciò che accade dall’altra parte del mondo e quanta disaffezione ci sia nei confronti di chi vi è coinvolto, se si esclude l’interesse mediatico.
Billy viene dunque celebrato per quello che lui ricorda come il giorno peggiore della sua vita e, quel che è peggio, è l’usurpazione e manipolazione che viene ripetutamente fatta di quell’evento, quasi a volerlo privare del proprio vissuto, poiché oramai, essendo un evento di pubblico dominio, è divenuto patrimonio nazionale!
Insieme all’esordiente Joe Alwyn che dà il volto al protagonista; ritroviamo nei panni della sorella Kathryn, antimilitarista convinta, Kristen Stewart e Garrett Hedlund in quelli del sergente Dime, severo, ma altrettanto protettivo.
Qui Ang Lee cela abilmente una critica feroce e senza sconti dietro il sorriso, il viso pulito e gli occhi sgranati di una generazione di nuove leve che va combattendo qualcosa che non comprende, per motivi che non conosce se non addirittura sbagliati, sulla base di un’ideologia che gli è stata venduta da qualcun altro, a cui qualche d’un altro l’aveva rivenduta prima ancora; passandosela così come un triste testimone di generazione in generazione. L’America è forse un Paese che dovrebbe rivedere se non altro con maggiore coerenza e rinnovata maturità il valore di quello in cui crede e specialmente, ridimensionare l’arroganza con la quale lo si promulga e sostiene, a discapito, prima di tutto, della propria gente e quindi, del futuro di un’intera nazione.

Ilaria Serina




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