Little Miss Sunshine

In un mondo che ci vuole tutti vincenti, una storia di perdenti, di una famiglia “donchisciottesca” che lascia la Mancia di Albuquerque, nel New Mexico, per raggiungere un piccolo sogno, quello di far partecipare la piccola Olly, al concorso di bellezza per bambine “Little Miss Sunshine” in California. Un viaggio che si trasforma in una baraonda colossale attraverso le illusioni e le disillusioni di un paese ben lontano dall’American Dream sbandierato fin troppe volte dai mass media. Una commedia “on the road” dolce-amara che vede protagonista una famiglia sgangherata e un furgone che perde i pezzi come le loro vite.
In realtà, come dice uno dei protagonisti, “la vita è tutta un fottuto concorso di bellezza dopo l’altro” che diventa una gara di apparenza e di esibizionismo ostentato fin dalla più tenera età, dove la semplicità si perde e non c’è spazio per i deboli. E’ la società che va oltre i confini di Albuquerque e Redondo Beach, per caratterizzare la nostra cinica realtà contemporanea, fondata sull’immagine, sulla competizione e sull’ambizione sfrenata di chi deve “arrivare ad ogni costo”. In tal senso gli Hoover rappresentano i “perdenti”, quelli che si illudono e vengono umiliati dai messaggi sorridenti e fuorvianti di un paese che non perdona la mediocrità di chi non aderisce ai dettami di uno slogan pubblicitario: un padre insopportabilmente conforme (autore del format “Nove passi per raggiungere il successo”), un nonno “freakettone”, drogato e volgare, un fratello nichilista, una mamma stressata e uno zio gay-filosofo-depresso che ha appena tentato il suicidio.
Figurine di umanità che lottano per riuscire a rimanere a galla e ritagliarsi una fetta di sogno, spingendo il vecchio Wolkswagen e la loro “grigia” e mediocre esistenza. Una famiglia di antieroi guidata dall’innocenza della piccola occhialuta Olive (Abigail Breslin, per lei una nomination agli Oscar), un raggio di sole che illumina ogni cosa di autenticità, come il giallo di un furgone, della t-shirt di Dwayne, dei girasoli che sfrecciano via assieme ai chilometri e ai sogni dei protagonisti, andando incontro alla California e ad un’ultima chance.
Dopo aver perso ogni speranza e aver lasciato alle spalle dolori e frustrazioni, gli Hoover corrono tutti verso il grande sogno della piccola Olive, sulle note trash di “Superfreak” di Rick James, in un riscatto corale, travolgente e dissacrante (che ricorda quello di “About a Boy” di fratelli Weitz). La rivincita degli “ultimi”, quelli che hanno il coraggio sfrontato di provarci sempre e di mettere in gioco solo se stessi, smascherando la falsità di un mondo di “Barbie” e di convenzioni, per conquistarsi il diritto alla normalità. Perché alla fine “Il mondo si divide in due categorie: i vincenti e i perdenti...e i vincenti non mollano mai”.


Ottavia Da Re

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