Era mio padre - Road to Perdition

La "bellezza americana" qui non sembra centrare più niente, ma Sam Mendes, pur cambiando epoca e ambientazione, mantiene inalterati quel cinismo e quella ambiguità che avevano caratterizzato American Beauty. Perfino l'eternamente "buono" Tom Hanks ha perso la sua integrità per vestire i panni dello spietato Michael Sullivan, autentico killer senza alibi o giustificazioni morali, sicario alle dipendenze del capo della potente gang irlandese John Rooney (Paul Newman). I cattivi esistono e i buoni sono difficili da distinguere nella Chicago del 1931, durante la Grande Depressione, nell'era dei gangster. "l'Angelo della morte" Michael Sullivan, braccio destro del padrino John Rooney, vive tra spietate esecuzioni e l'affetto di una famiglia che adora. Ma gli incerti ed esili equilibri della sua esistenza si spezzano quando assiste al massacro della moglie (Jennifer Jason Leigh) e del figlio più piccolo. Viene Abbandonato da Rooney, che lo ama come un figlio, più del proprio figlio, ma che giunto al bivio della perdizione, sceglie il sangue del suo sangue, condannando Michael che decide di vendicarsi aiutato dall'unico figlio superstite Michael Jr. (Tyler Hocklin). La ferocia di Sullivan deve lottare con la speranza di un destino diverso per Michael, mentre sulle loro tracce si mette un killer ghignante e sdentato (Jude Law). La tragedia greca sembra mescolarsi alla grande letteratura russa (Padri e figli di Turgenev) in questo monumentale dramma tratto da una serie a fumetti di Max Allan Collins e Richard Piers Rayner, che trova la sua centralità nel rapporto tra padri e figli: Rooney e il proprio figlio naturale e degenerato (Daniel Craig), Sullivan e il figlio undicenne ma soprattutto Rooney e Sullivan, legami che si spezzano e si trattengono, si rifiutano e si massacrano. Conflitti maestosi, terribili interrogativi che assalgono lo spettatore avvolto nella cupa e densa oscurità di animi e scenari, accecato dalla potente luce del bianco e dei pastelli, ormai marchio di fabbrica della raffinata fotografia di Conrad Hall (America Beauty). Ci si sente fradici come i protagonisti del film, inzuppati quanto l'immenso l'impermeabile del protagonista nella pioggia infernale del dramma. Un film costruito da Sam Mendes con grande abilità e ricercatezza, ereditata da tanto teatro e già messa in pratica da American Beauty, senza sbavature, con intensità e compostezza in un climax che porta fino all'intenso e commovente finale. Splendida la ricostruzione del Midwest anni '30 nelle scenografie di Dennis Gassner. Protagonisti assolutamente impeccabili, con un Tom Hanks mai così imbruttito e ingrassato nell'ormai collaudato trasformismo con cui è riuscito ad esorcizzare Forrest Gump passando con disinvoltura da angelo custode del Soldato Ryan ad "Angelo della morte". Paul Newman regala una interpretazione magistrale, nel suo personale "padrino", mentre Jude Law, anch'egli killer imbruttito da stempiatura e denti marci, si conferma grande talento e carismatica presenza. In tutto tre generazioni di magnifici attori, in un'eccezionale prova di fuoriclasse, per un film che raccoglie ben 6 premi oscar (2 Hanks, 3 Newman, 1 Mendes). Un bilancio che, probabilmente, dovremo aggiornare presto...

Ottavia



"A MASTER OF MOOD" di Ray Zone - American Cinematographer - Vol. 83, N.8.
Tradotto liberamente da Fabio Pirovano

Il regista Sam Mendes ha trovato nei dipinti di Edward Hopper una grande fonte d'Ispirazione. Come il pittore il regista si sforza di creare un Tableau in quale lo spazio circondi il protagonista in una chiave visiva per dare un significato emozionale alla scena.
Luci e ombre fanno di più per creare uno stato d'animo, nascondono o scoprono i pensieri e le emozioni dei protagonisti rappresentati.
"Se guardiamo un dipinto di Edward Hopper si possono studiare le fonti di luce" dice Mendes "Spesso la chiave per la comprensione dei suoi dipinti sta nel capire dove egli ha posizionato le fonti di luce".
Mendes s'ispira particolarmente ad un dipinto di Hopper del 1939 chiamato New York Movie, un'evocazione di azioni e emozioni che non sono mai scoperte.
L'interno di un cinema, lacerato a metà dall'oscurità sembra dare casa ad un'isolata introspezione dell'animo umano. In New York Movie , che mostra una maschera del cinema in piedi all'ingresso della sala, la luce della scena è assolutamente la sua poesia. Il volto della maschera è parzialmente oscurato e crea un senso di solitudine e desolazione. Si può iniziare a inventare la propria storia dall'immaginazione (dipinta) nel mondo della pittura.
Infatti gli osservatori del dipinto sono portati ad immaginare cosa la maschera stia pensando o più comunemente provando mentre gli spettatori visibili nella sala buia del cinema sono attratti da un'astratta immagine in bianco e nero proiettata sullo schermo.
Lo stile di Hopper assicura che il nostro occhio immaginario è guidato fuori del dipinto.
Mendes aggiunge "S'inizia ad immaginare cosa c'è nell'altra parte della struttura pittorica, in poche parole, ciò che è importante è fuori campo..." A tal punto che gli istinti modernisti di Hopper portano Mendes alla raffigurazione cinematografica del silenzio e del muto.
"Questo è qualcosa che sento che Conrad Hall ha fatto brillantemente. Solo grandi pittori usano la luce in un particolare modo lavorando in maniera istintiva e Conrad è un istintivo. Se gli mostri una scena lui sentirà l'atmosfera in un corridoio e darà luce su cosa sente che sia d'atmosfera nell' ostilità con ciò che dovrebbe essere illuminato in maniera più razionale o logica".
La struttura modernista si applica equamente sia nel cinema sia nella pittura; celare informazioni è spesso una strategia molto efficace per generare impatti emotivi.
"Qualche volta si carpisce molto di più di uno stato emozionale di un protagonista se non puoi veder i suoi occhi" suggerisce Mendes. "Questa è una cosa abbastanza pericolosa da dire, quando si ha a che fare con attori che parlano tutto il tempo, ma la gente può sottovalutare l'articolazione emozionale di una ripresa che non è un primo piano".

Fabio Pirovano

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