People I Know

E' note fonda a Manhattan. Eli (Al Pacino), PR a fine carriera, viene chiamato dal suo ultimo cliente (un Ryan O'Neal tornato in piena forma dopo la leucemia che l'aveva ridotto in fin di vita) che gli chiede di pagare per lui la cauzione di una starlette (Téa Leoni) con cui si è divertito durante un festino poco legale, evitando di comprometterlo. Da quel momento, per Eli, inizia un viaggio nella corruzione, nelle piaghe del successo, in un turbine di degrado e squallore, fino a diventare testimone di un omicidio. Al Pacino, sguardo allucinato e andatura sofferente, porta in scena la lenta discesa all'inferno di un PR, nella presa di coscienza che quell'inferno è la sua vita, fatta di astuzie e falsità, favori concessi con ricevuta di ritorno, carriere da costruire e carriere da difendere. Un mondo di feste di beneficenza in cui la raccolta di fondi serve alla politica per fare il suo gioco. Un gioco in cui tutti sono pedine del potere, mosse dalla corruzione e dallo star system. Nonostante un'esistenza tenuta sui binari dell'integrità e dei valori umani, incarnati dalla figura di Vichy (una Kim Basinger bellissima, quasi angelica, immagine salvifica di purezza e sincerità) nella sua vita Eli ha visto e "conosciuto troppo" e quel troppo è un fardello pesate da portare, consuma lentamente ogni illusione. "L'ingenuità" è difficile da conservare quando si inizia a percorrere la strada del successo e della perdizione, dice il protagonista ad un ragazzo disincantato all'inizio della carriera che crede ancora nell'attore-mito. Si arriva a non riconoscersi più, a spegnere le luci di fronte ad uno specchio, riflettori accecanti e spietati sul palcoscenico della propria vita/esibizione. Quando Eli comprende l'artificiosità di questa realtà e decide di uscire di scena è ormai troppo tardi...
"People I Know" di Dan Algrant è un film silenzioso, quasi sussurrato, senza grandi rivolgimenti che sottilmente esplora gli abissi della corruzione morale di un mondo mai così squallido.
Non c'è glamour o polvere di stelle fra i ricatti morali del mondo del cinema, un mondo sotterraneo, notturno, che si nasconde a Wall Street, in orge e sniffate fra i lussuosi uffici delle Twin Towers, in Hotel extra lusso, extra vizio. La sceneggiatura di Jon Robin Baitz a tratti latita, sembra perdersi in momenti di stanchezza e situazioni fin troppo sospese che rallentano ancor di più il ritmo dilatato imposto già dall'interpretazione impeccabile di Al Pacino. E' lui a tenere le redini del film, fra le sue rughe e i suoi sguardi stanchissimi si legge la disillusione di una vita spesa ad alimentare un mostro, a "parare il culo" all'attore del momento, a "spalare merda dietro l'elefante" di turno. La consapevolezza emerge graduale e cresce in climax di espressioni e silenzi nel suo volto intenso e perennemente rassegnato, nella camminata stanca, piegata dal peso di compromessi e ipocrisie.
Un'interpretazione monumentale rovinata da un doppiaggio forzato, da una voce lagnosa che tenta di imitare l'intensità di Giancarlo Giannini e finisce per far rimpiangere l'originale con sottotitoli. Irritante. Se si riesce a sostenere un tale scempio, si riuscirà ad apprezzare un film interessante, un'analisi spietata e lucida di un mondo e dei suoi fantasmi, in una Manhattan fredda e desolata che riporta ad una realtà precedente al crollo delle Torri Gemelle che, per la prima volta dopo il fatidico 11 settembre, vengono mostrate come luogo di perdizione e piaceri proibiti. Sarà per questo che il film non ha trovato distribuzione in Usa ed è caduto nel limbo dei film newyorkes posticipati, o forse perché, come è stato detto, molte star si sono riconosciute nel ritratto impietoso del bel mondo dorato. Sta di fatto che, come per Insider, sempre con Al Pacino, la Verità difficilmente trova spazio, tanto meno distribuzione cinematografica...


Ottavia Da Re

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