Un viaggio chiamato amore

Michele Placido torna alla regia dopo aver firmato nel 1998 il bel "Del perduto amore" con cui ha dimostrato di saper rappresentare eventi storici e realtà sociali con grande passione e sentimento. Difficile capire come mai non tornino le stesse emozioni in "Un viaggio chiamato amore", la storia della breve e struggente passione che colse l'allora trentunenne poeta Dino Campana e la scrittrice Sibilla Aleramo fra il 1915 e il 1918, tratta dal carteggio che i due si scambiarono in quei giorni di sentimento e delirio. Una vicenda difficile da raccontare, un incontro tra due letterati che si trasformò ben presto in uno scontro di sensi e genialità. Un amore eccezionale, nato tra le campagne del Mugello, quando la musa dei poeti, affascinata dalle parole e dalla fama del giovane poeta, dopo un breve scambio di missive, decide di intraprendere il viaggio che la condurrà ad affacciarsi nell'abisso del poeta, l'uomo dei boschi che vive da solitario fuori dal mondo e dalla ragione, dopo anni passati fra un manicomio e l'altro, considerato pazzo dai più. Sibilla è una donna indipendente, capace di abbandonare il marito che l'aveva violentata e messa incinta giovanissima, di amare liberamente molti artisti e scrittori (Boccioni, Papini, Cascella, Agnoletti...), scrittrice a sua volta di un romanzo,"Una donna" che la rese icona del femminismo. L'incontro sarà fatale, immediato, bruciante. L'idillio iniziale si trasforma ben presto in passione disperata, desiderio di annientamento, minato dal delirio del poeta, e dalla paura del reciproco abbandono. I due si lasciano e riprendono più volte nella speranza di salvarsi a vicenda, ma il viaggio si trasforma in un'odissea, in una discesa negli abissi dell'annientamento. Eros e Thanatos, poesia e vita. Intrecci assoluti e disperati vissuti realmente dai protagonisti, distrutti dalla deflagrazione seguita alla loro profonda unione. Questa la storia raccontata nel carteggio. E Il film risulta sicuramente discreto da un punto di vista formale: bella la fotografia di Luca Bigazzi, ottime le scenografie e i costumi, sicuramente appropriato l'accompagnamento musicale di Carlo Crivelli. Ma se guardiamo al contenuto, notiamo la sterilità e la piattezza della storia, mentre i sentimenti e le emozioni (proprio quelle!) latitano, nonostante tanta "carne" al fuoco...
Michele Placido tenta di affondare lo sguardo nel mistero di questi eterni conflitti, ma si limita ad osservare la storia come se fosse un dramma d'amore qualsiasi, concentrandosi sulla figura della Aleramo e limitandosi ad esaltare l'erotismo della coppia attraverso la fisicità molto esplicita degli attori, Stefano Accorsi e Laura Morante, bravi ma incapaci di esprimere, nonostante le reiterate performance erotiche, vera passione e carnalità. La Morante ricorda l'immagine di una bellezza modiglianesca, sensuale e sofisticata ma non riesce mai ad elevarsi alla dignità letteraria della Aleramo rimanendo una donna qualsiasi in preda a "urlini" poco poetici e molto adolescenziali. E' sicuramente Accorsi a dover compiere la trasformazione più complessa, quella di calarsi negli scomodi panni di un poeta geniale, ma anche di un uomo sempre in lotta con i suoi fantasmi, le sue paure, la follia distruttiva. Ci riesce solo in parte, rimanendo anch'egli al di sotto dell'elevazione poetica e dell'intensità necessarie alla rivelazione del poeta e dei suoi canti, senza riuscire a far trasparire fra barba e disperazione quel nomade errante che fu Dino Campana...


Ottavia Da Re

Un viaggio chiamato amore

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