La virgen de la lujuria

Sebbene l'inizio, pomposo e roboante, prometta tanto, "La virgen de la lujuria" finisce per deludere su tutti (o quasi) i fronti.
Ripstein ammicca a Buñuel nel raccontare l'amore impossibile fra il cameriere frustrato Ignacio e la prostituta Lola, dilata i tempi, procede a sobbalzi, virando bruscamente da un tono all'altro. Ma a sostenere il tutto manca una vera storia, mancano fatti; la vicenda non si evolve, ristagna fra banali discorsi politici (quelli che gli esiliati spagnoli in Messico imbastiscono contro Franco) e dialoghi inutili, spesso poco comprensibili. Il tutto calato in un'improbabile atmosfera onirica: una luce giallastra investe la scena soffocando tutti i colori; il film si svolge pressoché interamente al chiuso, fra il bar Ofelia, dove lavora il protagonista, e piccole stanze; le fantasie dei personaggi finiscono per deformare la realtà.
Il risultato è un pastiche, un succedersi di sequenze a tratti sconnesse, e tutto il film affonda, trascinato da una regia pretenziosa e da una sceneggiatura sfilacciata e confusa.
Danno poco al film anche le prove degli attori: Ariadna Gil (Lola) è costantemente sopra le righe e rende il personaggio poco più che un'isterica, Luis Felipe Tovar (Ignacio) è tanto monocorde da sembrare smarrito. Gli altri sono ridotti a macchiette, spesso stereotipate. E persino quel finale, tanto lieto da appartenere a un film nel film, finisce per non essere altro che la liberazione da 140' di sbadigli. 140' passati ad aspettare qualcosa che non accade mai.


Alessandro Bizzotto

La virgen de la lujuria

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