Riders

Da un regista come Gérard Pirès, reduce dal successo di Taxi nel 1998, c'era da aspettarsi un ritorno al grande schermo con un film a base d'azione e d'adrenalina… ma possono bastare queste due componenti a dar corpo e spina dorsale ad un film? Non credo sia il caso di scomodare i posteri per sentenziare uno stentoreo no, visto che Riders oscilla per tutti i suoi 83 minuti tra la parodia involontaria e la pubblicità in stile "No limits".
La storia a base di aitanti truffatori o ladri che nonostante tutto e tutti se la cavano sempre, che si nutrono d'adrenalina e testosterone, e che fin dall'inizio sono più simpatici di quelli che dovrebbero essere i buoni, non è proprio nuovissima, è vero, ma con alcuni acuti accorgimenti può sempre rivelarsi un buon soggetto… Ed in effetti, qualche elemento elettrizzante ed innovativo sembra esserci, nei primi quindici, venti minuti, che ben presto si rivelano i migliori dell'intera pellicola. La rapina e la successiva fuga sui pattini in linea sono scene davvero belle, cariche di tensione, ottimamente girate ed impreziosite da straordinarie performance atletiche di veri professionisti ma purtroppo, ahimè, illudono lo spettatore sul tono del film, che praticamente frana appena dopo, soprattutto a causa di una sceneggiatura lacunosa e banale in maniera imbarazzante. I dialoghi rasentano il delirio e, piuttosto spesso direi, sorge il dubbio di come facciamo gli attori a prendersi sul serio, a credere in quel che dicono o che tocca loro fare, una scena per tutte: il confronto iniziale fra la biondissima Natasha Henstridge, Karen, ed il capo delle operazioni di polizia Jake MacGruder, interpretato da Bruce Payne, uno scambio di battute tra i peggiori degli ultimi anni, senza dubbio!
Come accennato prima, anche sotto altri aspetti la sceneggiatura di Mark Ezra non convince affatto, fra i quali, in particolare, emerge uno studio poco approfondito sui personaggi, accompagnato da una scarsa cura nel realizzare un quadro d'insieme organico, credibile o almeno un po' più sensato. I quattro protagonisti, capeggiati da un convincente Stephen Dorff che non riesce, però, a salvare il film nonostante l'impegno ed il suo bel visino, formano il gruppo più eterogeneo e stereotipato che si sia mai visto: il sexy cervello della cricca, la top model maschiaccio ed ex amante del numero uno, il super sportivo di colore sempre pronto all'azione ed il bruttarello confusionario ma dal cuore tenero. Ma probabilmente sono anche i migliori del cast, dato che la statuaria poliziotta, altra top model con preoccupanti dosi di testosterone nel sangue, non riesce a bucare lo schermo né a scrollarsi di dosso il cliché che caratterizza il suo personaggio. Assolutamente stonati i due supercattivi del film: il sadico poliziotto Mac Gruder e il sicario Surtayne, una specie di predicatore interessato solo ai soldi e dall'improponibile look. Probabilmente l'intenzione originaria, nel delineare questi personaggi, era quella di ironizzare sulle classiche figure da heist movie attraverso l'uso esasperato di tutti gli stereotipi del genere, ma l'esito è decisamente differente da quello sperato, dato che il film non decolla e finisce spesso per sconfinare nel ridicolo.
Infine, mi è sembrata molto bella ed intrigante l'idea dei differenti sport estremi o presunti tali grazie ai quali i quattro patinatissimi amici riescono sempre a farla franca: alcune sequenze son davvero belle, ma la regia è talmente poco convincente, che, alla fine, sembrano solo inframmezzi pubblicitari di qualche megastore di articoli sportivi.


Marta Ravasio

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