La giuria

"I processi sono troppo importanti per essere decisi dalle giurie".
E' l'opinione di Rankin Fitch (Gene Hackman), un avvocato che ha fatto della consulenza per la scelta delle giurie la sua vocazione. Database aggiornatissimi e uno staff di psicologi ed esperti sono le armi: per lui, la selezione dei giurati deve rispondere a determinati criteri, primo fra tutti la disposizione mentale a favorire il verdetto che desidera.
Quando una giovane vedova di New Orleans fa causa a una potente industria che produce armi da fuoco, il procedimento è sempre lo stesso. Ma questa volta della giuria farà parte Nick Easter (John Cusack), che sembra disporre di un forte potere di manipolazione nei confronti dei colleghi e che, all'insaputa di tutti, sarà l'arma con cui una misteriosa donna (Rachel Weisz) tenterà di indirizzare a suo piacere le opinioni dei giurati per vendere il processo al migliore fra due offerenti: Fitch e Wendall Rohr (Dustin Hoffman), l'avvocato idealista dell'accusa.
L'aula di tribunale è la stessa in cui abbiamo visto nascere le numerose storie ispirate a John Grisham. E molti personaggi, a cominciare dagli avvocati, sono le fotocopie di quelli che negli ultimi quindici anni hanno popolato le stesse testimonianze. Ma un film non si giudica solo contando i clichè che contiene.
Trovandosi a disposizione un materiale molto simile a quello già passato per le mani di molti, il regista Gary Fleder (Don't Say A Word) non ha cercato espedienti particolari per raccontare sullo schermo un intreccio piuttosto complesso, scegliendo di seguire la strada della narrazione più tipica.
La mdp si fissa sui volti dei personaggi nei momenti di maggior tensione, come se la pressione psicologica aumentasse, e i movimenti usati sono pochi ed essenzialmente necessari a seguire gli attori lungo i corridoi; ad essi è preferito l'uso di un montaggio utile e molto presente - anche se a prima vista poco importante -, che cucendo le inquadrature singole evita alla macchina sia carrellate che panoramiche.
Questo contribuisce a rendere La giuria un film narrato in maniera sottilmente arguta, eppure d'insolita, efficace pienezza. Intendiamoci, Fleder non si solleva dai livelli del buon film making che non sembra artigianale pur essendolo, portando avanti un racconto che, se non manca di pienezza, non trova poderosità e si limita a imitarla. Ma le scelte, dichiarate con onestà, non falliscono nel raggiungere gli obiettivi prefissati; a dimostrare che, quando si gira un film, è più importante mantenere le promesse che farne di grandiose. Così, un approccio che non brilla per originalità segna il suo goal: non è noioso e spiega gli eventi con chiarezza, evitando di innescare strani giochi di rincorse con lo spettatore e senza una ricerca spasmodica dell'effetto sorpresa.
Anche perchè, dal momento che la regia fa un uso della mdp e del montaggio come quello che abbiamo descritto, l'espressione dell'ansia sotterranea che serpeggia ovunque mentre la causa procede è affidata alla recitazione. Ed essendo costriuto su quattro interpreti senza dubbio all'altezza, La giuria si rivela anche un film molto abile nell'utilizzare al meglio le sue risorse.
Gara a colpi di talento fra i due premi Oscar Gene Hackman e Dustin Hoffman, che si adattano fisicamente ai loro personaggi senza ambizioni presuntuose, e senza smanie di prevaricaricare recitando nei testa a testa, sia quelli che li vedono opposti l'uno all'altro, sia nelle conversazioni con Rachel Weisz. E questa dimostra a sua volta di non avere problemi nell'affrontarli senza soccombere.


Alessandro Bizzotto

La giuria

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