La ragazza con l'orecchino di perla

Per il suo debutto alla regia, Peter Webber ha scelto e dimostrato di essere un grande esteta prima che un grande narratore. Ha adattato il romanzo di Tracy Chevalier, che prova ad immaginare un'origine per il dipinto di Vermeer La ragazza con l'orecchino di perla. Secondo la storia, il pittore olandese (nel film Colin Firth) avrebbe tratto ispirazione dall'enigmatico volto della serva Griet (Scarlett Johansson), nella sua ignoranza molto piu atta a comprendere l'arte della moglie Catharina (Essie Davis), della suocera Maria Thins (Judy Parfitt) o del rozzo mecenate van Ruijven (Tom Wilkinson). Fra il maestro e la ragazza, un rapporto complice che accende in entrambi una passione che all'arte accompagnerà la sensualità.
L'attenzione, nel film, è immediatamente catalizzata dall'apprezzabile adesione al modello della pittura fiamminga. La straordinaria fotografia di Eduardo Serra (Le ali dell'amore) usa la luce per far brillare i colori, la spegne in una serie di chiaroscuri che scavano sui visi dei personaggi, ora attraversati dalle ombre mobili generate dalle candele, ora sferzati dall'aria più bianca della neve che cade.
La stessa ricostruzione scenica è magistrale. Non solo nella resa ambientale, ma soprattutto nella verosimiglianza dello studio di Vermeer con le coordinate storiche che ci forniscono i suoi dipinti. Fonti luminose, pareti e mobilio sono riconoscibili in diversi quadri dell'autore, resi sullo schermo con precisione puntigliosa.
Tuttavia, nella ricerca di una perfezione formale che si coniughi nel migliore dei modi a vicende caratterizzate non solo da un alone storico, ma anche da una patina psicologica anomala e insinuante, La ragazza con l'orecchino di perla si perde in riflessioni contemplative che strozzano gli eventi. Se l'occhio è appagato, la mente fatica a trovare una direzione nel modo in cui Webber tesse il suo racconto.
I dialoghi, che stentano a cogliere lo spirito dei personaggi, soffrono di una certa vuotezza, e finiscono per avere la stessa importanza delle inquadrature sulle verdure affettate, sulle polveri dei colori, sui vestiti che Griet stende davanti a casa.
Così, la maggior parte dei ritratti cade in una certa ambiguità nelle tipizzazioni dei personaggi, nonostante un cast pieno di buona volontà in cui, più di una Scarlett Johansson tutta occhi, si segnala la brava Essie Davis nel ruolo della moglie torturata da desiderio e gelosia.
L'eleganza, il piacere estetizzante, rende il film piacevole da osservare, e la cura di Webber restituisce un effetto di consapevole amore per tutto il lavoro; si veda il fermo immagine su cui appare il titolo del film, una pausa appena percettibile con la cuffia bianca di Griet immobilizzata un momento prima che esca dall'inquadratura. Mirabili, fra le altre cose, le scenografie di Ben Van Os. Eppure, il tutto non basta a sopperire all'inerzia con cui La ragazza con l'orecchino di perla procede in molti passaggi. La maturazione sentimentale di Griet è abbozzata con una sintesi che giustamente evita ridondanze inutili, ma talvolta inceppa nell'effetto exemplum con il pericolo di gettare una luce sbagliata sul personaggio (ad esempio, dopo che la vicinanza di Vermeer ne ha svegliato il desiderio fisico, Griet corre a cercare il giovane garzone cui si era sempre negata).
E, in definitiva, l'intero film resta imbrigliato nella cura della forma, faticando a scavare in essa per trovarsi spesso a rifletterla, impeccabile e esanime.


Alessandro Bizzotto

La ragazza con l'orecchino di perla

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