The Bourne Supremacy

Dopo aver lasciato i servizi segreti, Jason Bourne (Matt Damon) si rifugia in una spiaggia sperduta sulle coste dell'India con Marie (Franka Potente) per cercare di ricostruire la propria vita e di ricomporre, attraverso pochi frammenti di ricordi, la propria identità.
Sono passati due anni dall'incidente in mare che lo aveva portato a perdere la memoria e a compromettere l'ultima missione svolta per la propria agenzia nell'ambito dell'operazione Treadstone. Eppure i tasselli da ricomporre sono ancora molti e la febbre che accompagna ogni incubo porta con sé nuovi enigmatici dettagli, tracce un passato ancora tutto da svelare.
Fino al giorno in cui due uomini in missione vengono uccisi a Berlino e si scopre che l'unica impronta digitale rinvenuta sul luogo del delitto appartiene a Jason Bourne. Nello stesso momento un killer russo assoldato per eliminarlo, scopre il suo nascondiglio ma, per errore, uccide Marie.
Da questo momento Jason Bourne è di nuovo un uomo in fuga, un uomo solo con i suoi fantasmi, braccato dall'agenzia e dai responsabili dell'operazione Treadstone (smantellata dopo la sua presunta morte) che cercheranno di sbarazzarsi un uomo che sembra diventato una scheggia impazzita, ritornata da un passato scomodo che tutti vogliono dimenticare, insabbiare, sopprimere.
E che proprio per questo si fa ancora più complesso, enigmatico e indistricabile.
Ripartono così le avventure del protagonista di The Bourne Identity e del personaggio uscito dalla penna di Robert Ludlum, in un sequel che si caratterizza per impianto e struttura, molto più coinvolgente e teso del primo film, improntato soprattutto sulla spettacolarità dell'azione e su una complessiva "leggerezza" che, fra colpi bassi e battute più o meno ironiche, conferiva al film una certa "facilità", rendendolo godibile ma, a tratti, scontato e banale.
A differenza del film diretto da Doug Liman (che in questo film si ritaglia il ruolo di produttore), The Bourne Supremacy dimostra fin da subito una maggiore attenzione nei confronti dell'intreccio, complice una vicenda forse più complessa ma soprattutto più oscura e spietata che rende la storia molto più accattivante. Il Jason Bourne che ritorna dall'oblio, mina vagante senza un obiettivo apparente, animale ferito e braccato, senza più una ragione per vivere se non quella di ritrovare una memoria che lo renderà consapevole di un passato sciagurato e di un destino irrevocabile, è sicuramente un antieroe solitario molto più sfacettato e complesso del giovane e spavaldo smemorato che è stato nel precedente film. Una maturazione, quella del personaggio Jason Bourne, a cui corrisponde una trasposizione cinematografica in grado di valorizzarne la complessità e la densità emotiva.
Fondamentale lo svolgimento del plot, tessuto dallo sceneggiatore Tony Gilroy (The Bourne Identity; L'avvocato del diavolo) in maniera impeccabile, e la resa di una tensione che gravita sempre altissima e ben calibrata per tutto il film in un climax crescente che sa sfruttare l'adrenalina pura delle scene d'azione senza spezzare il ritmo e la logica della trama, in un amalgama di emozioni davvero riuscito che spazia dal thriller al giallo all'action movie.
Il cambio di regia, rispetto al primo film è radicale e le scelte stilistiche operate da Paul Greengrass (Bloody Sunday) conferiscono alla storia (tratta dall'omonimo romanzo di Ludlum) e ai suoi protagonisti maggiore credibilità, coinvolgimento e calamitando l'attenzione dello spettatore grazie ad una direzione solida, concreta ma anche originale, grazie ad inquadrature sporche, tagliate e ad una mdp sempre dinamica, febbricitante, nel complesso 'gioco strategico' che va a descrivere, ma anche attenta a cogliere l'intensità di uno spietato quanto umano 'gioco delle parti', indugiando su primi piani tesi e silenziosi (come quelli di Matt Damon o di Franka Potente), su lacrime innocenti (la figlia di Neski), o sulle pieghe dolenti del volto di Brian Cox, capo corrotto dell'operazione Treadstone.
Un approccio che si fa motivo e fisico allo stesso tempo, per lo spettatore, che si troverà impegnato a seguire con la stessa attenzione tanto i rivolgimenti narrativi quanto gli inseguimenti che scatenano il protagonista ad una parte all'altra del mondo.
Napoli, Berlino, Mosca. Scenari inconsueti ma, proprio per questo, originali contrappunti per le imprese del protagonista, resi ancor più affascinanti dalla stupefacente fotografia di Oliver Wood, già in The Bourne Identity, che grazie all'ambientazione più realistica e "cruda" voluta per questo sequel (grazie anche alle scenografie di Dominic Watkins) acquista maggiore livore, stile e suggestione. Da incorniciare le riprese in azione sul Ponte Friedrichstrasse, sopra il fiume Spree, gli inseguimenti in auto a Mosca (con l'ottima prova di illuminazione nella corsa galleria) e, nel finale, la suggestiva e bellissima inquadratura del protagonista che avanza di spalle sulla neve, sormontato dalla trama regolare e spietata delle finestre illuminate di un malinconico edificio popolare nella periferia della città.
Ma ad assicurare garantire la giusta commistione tra tensione mentale e l'adreanlina pura che rendono The Bourne Supremacy un ottimo thriller ad alta tensione, è anche e soprattutto l'acrobatico lavoro di montaggio di Christopher Rouse (che aveva già dimostrato grande competenza in The Italian Job) e Richard Pearson: tanto sottile e minuzioso nel delineare la fitta rete di rapporti che lega il protagonista al suo passato, descritto con sapiente uso di flash back non troppo invasivi e ben calibrati, quanto nel caricare sprigionando energia e ritmo nelle sequenze e negli inseguimenti più spericolati che possono ricordare, per l'autenticità e l'approccio realistico, le peripezie di The Italian Job, ma che qui si fanno molto più complesse ed estreme raggiungendo livelli di altissima concitazione, come quelli che caratterizzano la scena finale a Mosca, davvero esemplare nei movimenti di macchina (mai scontati) e nella capacità di mantenere l'azione sempre al limite, senza forzare, né annoiare, per molti minuti. Evoluzioni davvero notevoli, accompagnate dai contrappunti musicali di John Powell (Shrek) con contrabbassi, violini e percussioni a scandire con efficacia le evoluzioni del protagonista e della mdp.
Sequenze che si reggono su una padronanza tecnica notevole da parte dle regista e dei suoi collaboratori, che tuttavia non penalizza mai, come spesso accade in questo genere di pellicole (e come è accaduto in The Bourne Identity), gli interpreti, che rispetto al primo film vengono caricati di maggiore intensità, a partire dallo stesso protagonista, Matt Damon, che tiene il personaggio volutamente sottotono, lavorando per sottrazione (in un'intepretazione che sembra richiamare i silenzi rabbiosi di Will Hunting - Genio ribelle) e conferendo al suo Jason Bourne credibilità e spessore.
Da manuale le interpretazioni del sempre giagantesco Brian Cox, dura e dolente al tempo stesso, e della lady di ferro Pamela Landy/Joan Allen, capaci di dar vita a delle 'schermaglie' di grande scuola. Ma non lasciano indifferenti neppure le prove dei comprimari, da Karl Urban, capace di riscattarsi dopo il lugubre Chronicles of Riddick, con un convincente, solitario, killer russo, alla giovane russa Oksana Akinshina, enfant prodige in patria (protagonista di Syostry di Sergei Bodrov Jr. e di Lilja 4-ever di Lukas Moodysson, presentati rispettivamente alla Mostra del Cinema del 2001 e del 2002) che debutta sulla scena americana in un piccolo ma prezioso cameo, nel ruolo della figlia di Neski, la prima vittima di Jason Bourne, la sua prima missione, che rivive nello sguardo attonito e lacerante di un'innocenza nuovamente, irrimediabilmente, perduta.


Ottavia Da Re

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