The Chronicles of Riddick

Fra i ghiacci di un pianeta dimenticato, cacciatori di taglie inseguono la propria preda, che fra salti acrobatici e colpi letali, sfugge ad ogni cattura, abbattendo astronavi e mercenari d'ogni sorta. Sotto quell'informe figura randagia si celano due occhi abituati al buio delle prigioni nelle quali è cresciuto il "furiano" Richard B. Riddick. Sotto pellicce e capelli rasta in tenuta da grizzly si celano i bicipiti di Vin Diesel, pronti a dare sfoggio di ogni possibile e impossibile acrobazia nelle desolate "terre" interplanetarie.
Prendendo le mosse dal precedente Pitch Black, The Chronicles of Riddick (un titolo a dir poco ambizioso...) narra "le gesta" (ma sarebbe meglio dire "i gesti") del famigerato Riddick, che, cinque anni dopo la sua ultima fuga, si ritroverà nuovamente braccato e ramingo alla ricerca di Kyra (Alexa Davalos), l'unica sopravvissuta alla precedente, catastrofica missione.
Alle sue spalle, scenari stupefacenti, ricreati da hoc da scenografi di prim’ordine per mettere a disposizione del nostro, la più grande varietà di sfondi e ambientazioni nelle quali incorniciare azioni e contrazioni muscolari, incursioni, voli, corse e arrampicate fra le rovine di Helion, il fuoco di Crematoria e chi più ne ha più ne metta...
Un repertorio di mosse e contromosse, che porta inevitabilmente a pensare come il film sia stato concepito, ab origine, dalla volontà del regista (David Twohye) e dei produttori (tra cui lo stesso Vin Diesel) di esibire acrobazie e combattimenti in grande quantità e varietà.
Punto di partenza da cui sembra dipendere tutto il resto, fotografia (Hugh Johnson), montaggio (Martin Hunter), scenografie (Holger Gross), costumi (Ellen Mirojnick), trucco (Ve Neill, tre Oscar per Ed Wood, Mrs Doubtfire, Beetlejuice - spiritello porcello).
A questo punto parlare di sceneggiatura risulta pressoché superfluo perché in questo contesto lo script perde ogni significato, diventando anch’esso un pretesto, creato ad hoc per mettere in fila le performance del protagonista, diventando una specie di "collante" usato a posteriori per cercare di dare un senso ad un elenco caotico di colpi e azioni.
Dal canto suo, il protagonista, un Vin Diesel antieroe "anticarismatico", “non fa una piega”, nel senso che, di tutto il suo possente fisico, gli unici muscoli che non muove sono quelli del volto che, in un carrellata di pose anonime e monocordi, degne di un museo delle cere, il buon Vin sfodera sotto (come se non bastasse il bel faccione paffuto e anonimo dell’attore per mantenere l’inespressività del protagonista) i soliti occhialini "parasole" di dubbio gusto che fanno tanta gola ai suoi avversari (chissà perché…).
Una piattezza interpretativa accompagnata da poche biascicate battute (alla faccia delle cronache del titolo...) che rende vani i tentativi dell’ottimo, ma assolutamente sprecato, cast di contorno. Fa male al cuore infatti vedere lo spirito della povera ed evanescente Judi Dench gravitare da un scena all’altra impotente di fronte alla banalità della missione a cui la sua interpretazione è chiamata a dare intensità. Mentre gli occhi brutalmente cerchiati di Thandie Newton tentano invano di dare un senso al suo personaggio di mefistofelica principessa dei Necromonghi e al concetto di “seduzione del male”, adeguatamente supportata in questo compito da un sempre più corrucciato Karl Urban (l'Eomer de Il Signore degli Anelli...irriconoscibile nelle versione dark di questo film) nel ruolo del losco compagno Vaako.
In mancanza di una storia e di personaggi caratterizzati, il film si perde fin da subito in una noiosissima baraonda di incursioni fini a se stesse, in situazioni senza logica spazio-temporale, con scarti inutili e imbarazzanti, in cui l’assenza di narrazione, la non interpretazione, la non "cronaca", diventano il nucleo centrale, il buco nero, intorno al quale gravitano, come pianeti dispersi, gli sforzi davvero notevoli di scenografi, costumisti e tecnici CGI, i soli protagonisti del film, autori di un'imponente e ammirevole impianto visivo che avrebbe meritato contenuti migliori.


Ottavia Da Re

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