The Aviator

Già con Gangs of New York due anni fa Martin Scorsese ha confermato la virata della sua creatività artistica verso uno stato autoriale più solido e consapevole. Per quanto idealmente accostabile - e accostato - a L'età dell'innocenza (il capolavoro del 1993) per similitudini di carattere contenutistico e sociologico, Gangs of New York é stato il segnale definitivo dell'abbandono del manierismo che aveva contaminato la magnifica produzione scorsesiana degli anni Novanta. La cura per un'immagine satura, ridondante a tratti, che trasudava piacere narrativo nel codificare le pulsioni emotive nei tratti stilistici, s'era imposta con Cape Fear (1991), prova generale - sul piano visivo - per L'età dell'innocenza, diverso quanto a intenzione, ma simile nell'espressione: complessi movimenti di macchina, ripetute figure della sintassi filmica per una lunga paratassi di significanti che caricava il racconto di senso simbolico. Una scelta portata avanti anche con Casinò (1995), che non a caso ha in comune con Cape Fear e L'età dell'innocenza un'elaboratissima sequenza dei titoli di testa e i suoi creatori, Elaine e Saul Bass.
The Aviator, così come Gangs of New York, non ha titoli di testa, eccezion fatta per la mezione del titolo. E con Gangs of New York condivide anche la forma dell'incipit. Nel film del 2002 un padre insegnava a un figlio a non pulire un rasoio dal sangue, qui una madre insegna al figlio a usare bene la saponetta per lavarsi. Identiche o quasi le inquadrature in dettaglio, sul rasoio o sul sapone; identica la situazione di intimità fra genitore e figlio. Indetica la forza dell'insegnamento che ne deriverà (qui un'incontrollata ossessione per l'igiene).
In The Aviator il bambino é Howard Hughes, produttore cinematografico di successo nella Hollywood degli anni Trenta, poi fortunato industriale dell'aviazione statunitense durante e dopo la guerra (é Leonardo DiCaprio a interpretarlo, così come aveva interpretato Amsterdam in Gangs). Una biografia più complessa e dettagliata, sia per la maggior vicinanza temporale degli eventi - che rifiuta uno sguardo mitico o artificioso - sia per la fama dei soggetti chiamati in causa. Hughes a parte, The Aviator é popolato di figure celebri. Per prima Katharine Hepburn (interpretata da Cate Blanchett), stella leggendaria del firmamento cinematografico che fu l'amore più importante dell'aviatore. Poi Ava Gardner (Kate Beckinsale nel film), altro amore meno complice ma più burrascoso; divi come Errol Flynn (Jude Law) e stelline come Jean Harlow (Gwen Stefani), personalità politiche come il senatore Owen Brewster (Alan Alda) che ostacolò i progetti industriali di Howard Hughes appoggiando il monopolio nell'aviazione nazionale.
Lungo e denso, il film si snoda attraverso 169' senza sbavare nei ritratti, con una spettacolarità poderosissima - soprattutto nelle sequenze in volo - e una sceneggiatura, scritta da John Logan (Il gladiatore), lineare e mai sfuocata. Governato dalle leggi di quell'autorialità nuova, in costante evoluzione, che abbiamo visto aver attraversato la parte più recente della filmografia di Scorsese, The Aviator si costruisce come un'opera complessa nonostante le sue fondamenta contenutistiche siano tutt'altro che ingombranti; la storia é biografica, gli eventi personali, e il regista ha qui rinunciato all'analisi sociale e di gruppo già presente in Quei bravi ragazzi o L'età dell'innocenza.
La complessità del film risiede nella sua evoluzione meccanica, che nei momenti meno intimi - quelli dedicati agli sviluppi dell'impresa di Hughes in campo industriale - rigetta la fluidità del racconto appassionato con un preciso intrecciarsi della storia, importante ma poco empatica, il cui protagonista si presenta troppo spocchioso per suscitare simpatia genuina.
Ormai Martin Scorsese non costruisce più un teatro della crudeltà, non lascia il compito di mostrare alla mdp, ma la muove con determinazione meno autoreferenziale, proiettata in avanti a un risultato le cui forme si ammirano a lavoro compiuto (ma anche a film finito?).
La componente migliore diventa così quella legata al mondo della Hollywood che fu, il quadro in equilibrio fra documentarismo e rievocazione che il regista costruisce perché faccia da sfondo alla storia, ma che acquista vita propria in un letterale tracimare, apprezzabile in sé, al di là della funzione che ricopre. E sono, su tutti, i momenti legati alla figura di Katharine Hepburn a colpire davvero. Cate Blanchett interpreta quella che é stata definita "la più grande attrice di tutti i tempi" andando oltre il mimetismo, comunque impressionante. Il make-up aiuta la somiglianza somatica, ma la Blanchett non si appoggia al trucco per caratterizzare. Non imita; vive. Nella scena del primo approccio con Hughes, sui campi da golf (la Hepburn fu sempre una sportiva accanita), Cate Blanchett lascia che sia il corpo a parlare, con la gestualità decisa e anticonvenzionale del suo personaggio. Poi l'adesione si fa completa esplorando il lato più intimo, per un'interpretazione sorprendentemente attenta e appassionata. The Aviator non ricrea fedelmente solo il look della Hepburn, ma é disseminato di dotti riferimenti: il suicidio del fratello o la polemica che definì l'attrice "veleno al botteghino" (a causa degli incassi disastrosi di alcune delle sue prime pellicole), rievocati dalla stessa Katharine, fino all'incontro sul set con il compagno di una vita, Spencer Tracy. Ed é preziosa fino ad essere emozionante l'immagine che ritrae la Hepburn/Blanchett in pausa sul set di George Cuckor (uno dei registi con cui lavorerà di più).
Eppure Scorsese non si é lasciato prendere la mano da facili melasse di nostalgia canaglia. Sa bene quello che sta facendo anche quando ritrae gli Hepburn come una famiglia di spigolosi intolleranti, in occasione di un pranzo a casa di Katharine. La stessa Ava Gardner, che Kate Beckinsale ben rende anche se fra eccessi stucchevoli, non é certo dipinta a tinte tenui: brusca e troppo schietta, proprio alla maniera della definizione che ne diede Clark Gable ("Quel tipo che beve e bestemmia come un marinaio intrappolato nel corpo della donna più bella del mondo").
Scorsese di é addolcito? Gli affreschi anticelebrativi che ritraevano le fenditure anziché la coesione sono acqua passata? No. Ma il regista unisce con The Aviator ingredienti fra loro diversi, con un risultato meno simile a quello della sua filmografia più nota. La mano, invece, é sempre quella, sicura e impavida, pronta ad andare oltre l'intonaco dell'apparenza senza scrostarlo. Ne é segnale l'affollata passerella-incubo che Hughes percorre fra flash narcotizzanti, in occasione dell'anteprima della sua faraonica produzione Angeli dell'inferno, camminando sui vetri rotti degli obiettivi saltati.
Così il regista, oltre a omaggiare l'industria hollywoodiana del passato, può fare lo stesso anche con il suo cinema in modo più distaccato. Il rito del cibo si consuma fra inquadrature simmetriche, costruito così com'era ne L'età dell'innocenza, attorno a tavole piene d'elementi decorativi; non solo durante il pranzo con gli Hepburn, ma anche e soprattutto in occasione di quello con il senatore Brewster, in cui di nuovo la simmetria dell'arredo accentua la teatralità (DiCaprio/Hughes inquadrato fra due porcellane, Alda/Brewster fra le tende di due finestre).
Illustre lo stuolo di comparse, dal paparazzo Willem Dafoe da cui Hughes comprerà gli scandalosi scatti sulla coppia Hepburn-Tracey (Spencer, cattolico, non volle mai divorziare dalla prima moglie) fino all'esilarante Jude Law, un Flynn vulcanico e sfacciato. Al cast stellare s'accompagna un team di prim'ordine. Soprattutto il direttore della fotografia Robert Richardson, che imita l'originale Technicolor integrando luce e art deco in sintonia alle situazioni, con giochi di colori antichi e fiammeggianti. Curatissima é anche la ricostruzione scenografica di Dante Ferretti, mentre il compositore Howard Shore ha orchestrato una compilation sonora che mescola Gershwin e Benny Goodman fino a Tchaikovsky (la Sesta Sinfonia) e Bach (Toccata e fuga in re minore).
E alla fine, fra abbondanza e complessità, Scorsese può permettersi sottigliezze di regia accuratamente ricamate sull'impianto ferreo - per quanto schematico a scatti -. Per il dialogo attraverso una porta fra Hughes e Juan Trippe (Alec Baldwin), proprietario della rivale Pan American, é usata la vecchia tecnica dello split-screen, in cui plongée e contre-plongée esprimono la supremazia e la sudditanza psicologica. Ma (che caso) uno dei momenti migliori del film arriva fra silenzio e intimità: la scena dell'addio attraverso una porta chiusa fra Howard Hughes e, ancora una volta, il grande amore della sua vita. Ancora una volta, Katharine Hepburn.


Alessandro Bizzotto

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