Doom

Mentre i marines della Rapid Response Tactical Squad (RRTS) si preparano ad una sospirata quanto breve vacanza, il generale Serge (The Rock) annuncia ai suoi uomini la revoca di ogni permesso a causa di un misterioso attacco nella stazione di ricerca Olduvai del pianeta Marte, gestita dalla UAC. Missione: contenere la quarantena del livello 5. Una passeggiata per i duri della RRTS ma, raggiunto il laboratorio deserto la squadra rileva la presenza di misteriose creature...
L’ex grande direttore della fotografia Andrzej Bartkowiak (L’avvocato del diavolo) proseguendo nella sua carriera registica tutta action & cazzotti (Romeo deve morire, Ferite mortali e Amici per la morte ), si prende l’incarico di trasporre DOOM, l’ennesimo gioco creato nel 1993 dalla id Software. Un game che rivoluzionò la prospettiva del giocatore introducendo attraverso la visione “in prima persona” un autentico “io giocante” (e “sparante”) nei game per pc.
In quest’ennesima operazione di “trasbordo” video-cinematografico il regista guarda ai risultati più fortunati della serie, come Resident Evil, di cui segue l’impianto e lo stile “splatter” con patina grezzamente sarcastica (ormai logora a dire il vero), pur pescando a piene mani dal serbatoio “romeriano” ormai infinitamente saccheggiato (con o senza motivo) e da quello “carpenteriano” con chiari riferimenti a Fantasmi da Marte, ma senza le valenze sociali, e le immanenti metafore esistenziali che i due grandi maestri dell’horror hanno saputo filtrare attraverso incubi, paure e allucinazioni contemporanee.
Gli attori, a cui non si chiede di recitare, fanno il loro dovere e si dimostrano perfino convincenti nel pronunciare battute, che essendo montate sulla struttura di un “gioco”, quindi innaturali, spesso si dimostrano meccaniche e a dir poco scontate. Accanto all’ormai collaudato protagonista-antagonista Dwayne “The Rock” Johnson (La mummia – Il ritorno, Il Re Scorpione), troviamo quindi la solita squadriglia di "brutti sporchi & cattivi": lo spaccatutto Destroyer/DeObia Oparei, il playboy Duke/Raz Adoti (Resident Evil: Apocalypse), l'infame Portman/Richard Brake (Moulin Rouge!), il timido The Kid/Al Weaver, con la variante del fanatico religioso Goat (interpretato da Ben Daniels…) e, primadonna del film, l’evanescente Rosamund Pike (già vista in Orgoglio e pregiudizio non a caso nel ruolo della sorella dimessa di Elizabeth…) nei panni di Samantha Grimm.
Fa male al cuore, invece, vedere un’interprete di sicuro successo, anche se in attesa di definitiva affermazione, come Karl Urban (già Eomer ne Il Signore degli Anelli, Kirill in The Bourne Supremacy e Lord Vaako in The Chronicles of Riddick) dar fondo a tutta la sua espressività, e giocarsi le sopraciglia migliori per dar volto all’eroe del film, John Grimm detto Reaper più buono del finto buono sergente dei marines Sarge (The Rock) contro cui dovrà affrontare la resa dei conti finale.
Tutti incolpevoli manichini al servizio di un film che nasce da un gioco “sparatutto” come Doom (chi di noi non ha mai passato un paio di “livelli” di Doom, Quake e affini?) quindi già penalizzato cinematograficamente parlando per natura, con l’aggravante e l’handicap di sacrificare anche l’esile trama-collante (la sceneggiatura è di David Callaham e Wesley Strick) appiccicata per dare una sequenza logica agli eventi contenuti negli “schemi” di gioco, per lasciare ancora più spazio alle sequenze di azioni/colpi. In questo senso gli unici a beneficiarne sono soprattutto le “mappe”, le ambientazioni (come già in The Chronicles of Riddick) e con esse gli apparati scenografici (Stephen Scott, i costumi (ottimo il lavoro del nostro Carlo Poggioli) esaltato dalla fotografia scura e tenebrosa, sempre al limite della “visibilità” di Tony Pierce Roberts (Underworld, da cui mutua l’atmosfera) che vanta alle sue spalle capolavori come Camera con vista e Casa Howard.
Resta un film sterile come tutti i film tratti dall’universo “game” che tuttavia non ponendosi ambizioni, assolve esclusivamente al suo fine “ludico” arrivando quasi a trovare la propria identità e ragione d’essere nel finale quando, abbandonata paradossalmente la coerenza e l’impianto “cinematografico”, trova una sua dimensione “extrafilmica”, nel momento in cui il protagonista, trasformato da un superpotere, assume l’occhio sbilenco della mdp, per lottare direttamente contro ostacoli e nemici (con tutti gli effetti distorti che questo comporta a livello di movimenti e colpi a non finire…della serie “per ammazzarlo lo devi colpire ininterrottamente per venti volte al centro della testa” e via con i trucchi e le soluzioni per riuscire a passare gli schemi) regalando così attraverso una visione da “monitor” e l’interazione tipica del gioco (nota di merito per il montaggio di Derek G. Brechin, Trappola di cristallo, Paycheck), la cosiddetta prospettiva FPS (“First Person Shooter”, sparatutto in prima persona).
Una perla, un “demo” inaspettato per tutti gli appassionati della consolle.
Peccato che il regista, invece di fermarsi qui, aggiunga una inutile quanto banale scazzottata tra i due protagonisti per porre fine ad una “querelle”, che avrebbe potuto benissimo concludersi prima, con originalità, portando a compimento un’intuizione davvero esaltante. Nonostante questo, un film-game liberatorio quanto catartico, che rimane un onesto e godibile trastullo per “smanettoni” incalliti.


Ottavia Da Re

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