Paths of Ballet - Volume 4

Avete scritto in tanti, dopo la pubblicazione dei tre volumi di Paths of Ballet in Ballando sotto la pioggia, chiedendo nuove interviste. E noi ci siamo mossi, per tornare lì dove eravamo stati più di un anno fa: nei corridoi della Fondazione Teatro alla Scala, ormai tornata nella sede storica del Piermarini dopo anni al Teatro degli Arcimboldi, per nuovi incontri esclusivi con gli artisti del suo Corpo di Ballo. Cinque variazioni sul tema dei ritratti che il cinema ha più volte abbozzato (ce lo ricordiamo Due vite, una svolta?), ora centrando il bersaglio, ora no.
Cinque artisti hanno accettato di raccontarsi. Apriamo con il più giovane, Massimo Garon, astro nascente della compagnia milanese; a seguire l’intervento di Lara Montanaro, danzatrice fra le più attive e in vista del Teatro. Al centro le dichiarazioni di Alessandro Grillo, primo ballerino; ci è sfuggito l’anno scorso, ma l’abbiamo incontrato in quest’occasione. Per chiudere, abbiamo scelto la solista Deborah Gismondi, una che in scena ha fatto rivivere sia Schiaccianoci che Giselle, e il gran finale con un étoile del calibro di Massimo Murru.






MASSIMO GARON
“NESSUN RIMPIANTO: SEGUO SOLO I MIEI IDEALI”


Mi presentano Massimo Garon alle sei di sera, alla portineria della Scala. Lui viene da ore intense di prove concluse da poco, e anch’io da una giornata pesante; ha smesso da qualche ora di nevicare abbondantemente; il freddo morde. Ma ci buttiamo in un’intervista tutt’altro che fiacca. E non stoicamente: la prendiamo alla larga, con quasi due ore davanti a una cioccolata per una conversazione in cui si ammicca, si sorride, ci si scambiano pareri sottobanco; e di cui – inevitabilmente – presentiamo di seguito una sintesi, versione lievemente ridotta dell’intervento di uno dei danzatori più giovani e apprezzati del Corpo di Ballo milanese.

Inizio classico: i tuoi studi e l’arrivo in Scala…
Ho iniziato a dieci anni a Padova, la mia città natale, in una scuola privata. Ho vinto il primo concorso a Verona, ottenendo il primo premio; l’anno dopo è arrivato il secondo premio… È seguita l’audizione alla scuola di Amburgo; mi hanno preso, e l’estate prima di iniziare ho seguito un corso al Royal Ballet. Mi sono diplomato ad Amburgo, entrando poi in compagnia e ricevendo un premio da Neumeier come giovane talento. Ho però sempre amato la Russia e il suo stile; seguivo corsi estivi con maestri russi, e dopo un anno sono stato invitato a San Pietroburgo per l’ultimo anno di corso presso l’Accademia Vaganova. I miei maestri sono stati Brigvadze e Dudinskaya. Ho ottenuto quella che lì definiscono una laurea, vincendo il terzo premio in occasione del concorso Vaganova Prix, la cui giuria era presieduta da Natalia Makarova… sono stato il primo italiano nel medagliere del concorso. Nell’estate del 2002 sono tornato in Italia e ho sostenuto l’audizione che mi ha permesso di entrare in Scala. Sono arrivati presto ruoli abbastanza significativi, come Espada nel Don Chisciotte di Nureyev, il passo a sei in Bisbetica domata, uno dei tre gentiluomini in Manon. Roland Petit mi ha scelto per interpretare uno dei tre camerieri nel suo Pipistrello

Quali ricordi con più soddisfazione?
Ballare Espada è stato bellissimo: il mio primo ruolo di rilievo, nel novembre 2003… è seguito il passo a quattro nel Lago dei cigni

…e ovviamente Lenskij in Onegin
Assolutamente. Sono stato scelto da Reid Anderson per questo ruolo; lui è una persona che mette molto a proprio agio, spiega benissimo il ruolo, il significato della musica e della storia… Lavorare con lui è stata un’esperienza incredibile. E il ruolo di Lenskij è veramente fantastico. Più recentemente è arrivato Tema e variazioni di Balanchine: un’emozione indescrivibile. Nel mio debutto, in occasione del Festival di Genova nel luglio 2004, ho ballato con Sabrina Brazzo, prima ballerina della nostra compagnia… Patricia Neary era venuta dal New York City Ballet per scegliere i cast… Ho avuto la sfortuna di rompermi un piede una settimana prima di debuttare nel ruolo principale in Schiaccianoci di Nureyev, nel dicembre 2004. Dopo tre mesi di inattività ho dovuto ricominciare da zero… E il rientro in scena è avvenuto interpretando nuovamente Tema e variazioni nel giugno 2005.

È un balletto che hai danzato anche in occasione della recente tournée spagnola, a Madrid…
Sì. Era la prima volta che rappresentavo la Scala all’estero: è stata una grande responsabilità, ma anche un grande onore. Mi ha reso molto felice. Il teatro di Madrid non ha una compagnia residente… e ballare su un palco così grande è stata una soddisfazione ancora maggiore.

…mentre adesso sei alle prese con il James della Sylphide
…esatto. Pierre Lacotte è venuto a seguirci personalmente: è molto esigente, e la coreografia è davvero difficile. Serve pulizia totale, non puoi sgarrare!

Quali sono state le difficoltà più grandi del tuo percorso artistico?
Ci sono molte malelingue. Cattiva pubblicità… La competizione è fortissima, dai tempi della scuola di ballo; l’ambiente è questo. Devi seguire la tua strada e i tuoi ideali. Certo, può nascere l’amicizia… ma il livello di competizione non rende facile la convivenza.

Vi resta tempo libero?
Non sempre… e non tantissimo! Capita a volte di rinunciare ad uscire la sera per evitare di avere le gambe stanche il giorno dopo. Dipende anche dal periodo e dal balletto che stai affrontando. In periodi particolarmente intensi le prove finiscono alle cinque e mezza, le prove in scena possono prolungarsi anche molto di più.

Che peso hanno i giudizi e le recensioni?
Leggo spesso… e spesso percepisco i giudizi sentendomi parte di un complesso artistico più ampio… Un bravo artista sa accettare le critiche e andare avanti; il nostro lavoro richiede di andare al di là dei limiti fisici, e per migliorarsi a volte le critiche possono servire…

…in ogni caso si vivono in modo diverso anche in base al carattere…
…se una critica è molto brutta non si è contenti, certo… si guarda avanti e si lavora!

Ma in generale quello che pensano gli altri può influenzare il vostro lavoro? E non parlo solo di recensioni, adesso…
Chiedo un giudizio soprattutto alle persone di cui mi fido… Non mi sembra il caso di chiedere pareri a persone con cui non ho nessun tipo di rapporto… Se mi sono dati gratuitamente… beh, non so cosa dire…

…arrivano anche se non richiesti?
Ogni tanto. Alcuni consigli non vogliono davvero essere tali…

…ok, ci siamo capiti.
Credo molto al detto secondo cui chi sa, fa… chi non sa, insegna. È una regola che mi è stata insegnata.

È cambiato parecchio il mondo dello spettacolo - e del balletto in particolare - rispetto a venti o trent’anni fa?
Beh, venti o trent’anni fa c’erano i grandi miti…

…probabilmente persone che ballano oggi saranno i miti di domani…
È vero… bella domanda comunque, faccio fatica a risponderti…

Facciamo una variazione sul tema allora… le tue esperienze all’estero ti hanno portato a osservare serie differenze in un confronto con la realtà italiana?
In molti paesi, come in Russia, andare a teatro è un passatempo come il cinema di sabato… addirittura in televisione ci sono spot pubblicitari. E i maestri mettono parecchio amore in quello che fanno, prendendosi molta cura degli studenti. Mi sono sempre stati impartiti insegnamenti con molta calma e profonda consapevolezza della mia condizione, anche dei miei punti di debolezza… Trovo sia molto bello.

Sogni o rimpianti?
Trovo sia presto per avere rimpianti… Ho sogni e progetti come tutti… ma non li dico! Spero di lavorare sempre molto e di riuscire a mettere amore in quello che faccio…

…e ruoli che speri di ricoprire?
Fra i coreografi cui sono affezionato c’è senza dubbio Neumeier… e poi Balanchine: è stupendo, lo adoro. Anche MacMillan ha fatto lavori bellissimi, così come Ashton. Ma ora desidero davvero ballare nel ruolo di un principe, in qualsiasi balletto… è una figura che spero di incarnare presto, adoro il repertorio classico!


LARA MONTANARO
“LA DANZA SI ANIMA DI TUTTO: DI VITA E DI ESPERIENZE”


Modesta, simpatica, di persona Lara Montanaro trasforma l’allure del palcoscenico in una confidenza mai invadente. Scherza sull’immagine della ballerina algida e secca, smitizza l’universo del balletto con garbo sottile, parla senza vergogna dei problemi che in compagnia si affrontano ogni giorno. Diplomata alla scuola della Scala ed entrata subito in Corpo di Ballo, si trova oggi fra le ballerine che con più frequenza calcano il palcoscenico milanese, impegnatissima (come ci racconta in questa intervista) per un debutto importante in un nuovo ruolo principale…

È una domanda di rito quella sul tuo inizio e il tuo ingresso in Scala…
Ho seguito davvero l’iter classico. Sono entrata alla Scuola della Scala a undici anni, e ho sostenuto gli esami necessari. Con il primo ti guardano e giudicano se sei adatta o meno alla professione di ballerina. Il secondo esame è di tipo più fisico, finalizzato a vedere come sta il tuo cuore, come va la respirazione e così via… Superato anche questo esame ti aspetta un mese di prova: tutti i giorni si viene in Scuola, e gli insegnanti hanno modo di costruire un lavoro su di te studiando la tua capacità di apprendimento. Al termine di questo percorso sono stata ammessa, e ho frequentato gli otto anni di Scuola di ballo… Ogni anno c’è la possibilità d’essere scartata, in base al rendimento; la selezione si basa sulla crescita e sulla capacità d’apprendere. Subito dopo il diploma ho trovato un lavoro brevissimo che mi ha impegnata nei mesi estivi, con il balletto di Venezia di Giuseppe Carbone; a settembre, invece, sono entrata in compagnia alla Scala.

E fino ad oggi è stato un percorso difficile?
Fortunatamente non posso dirti d’aver trovato difficoltà grandissime. Non ho mai avuto problemi di peso, ad esempio… molte mie amiche, nella fase dello sviluppo, hanno avuto problemi di metabolismo; io non ho mai sofferto di variazioni di tipo fisico che mi hanno costretta a diete drastiche o cose simili…

…niente immagine della ballerina che non mangia?
No, non è così… non manco mai di dirlo alle persone che pensano io non mangi niente. Oggi mangio ciò che voglio senza problemi, ma ho una determinata età. C’è stato un momento in cui, con le mie amiche, stavamo attente evitando di mangiare fette di torta e simili… anche se si trattava, più che altro, di una moda. Non mi sono mai sentita costretta… anche se devo dire d’aver avuto la fortuna di possedere un metabolismo che non mi ha mai dato problemi seri. Si tratta di un discorso molto soggettivo. Le difficoltà, poi, sono quotidiane; la danza è una disciplina difficile: il nostro fisico va costretto in posizioni e formazioni non naturali. Le mie difficoltà sono state di volta in volta legate all’apprendimento… in occasione dell’approccio ad un nuovo ruolo.

E lasciando da parte il piano fisico per passare a quello relazionale con i colleghi…?
Non dobbiamo mai dimenticare come il nostro mestiere abbia sempre alla base una passione molto forte, ma resti altamente competitivo. Lo sai: se c’è un ruolo, quel ruolo va a chi sa interpretarlo meglio… se non lo faccio io, lo fai tu. Per questo la rivalità è grande. Ognuno cerca di dare il meglio di sé. La danza è anche competizione, dai tempi della scuola: quando una ragazzina faceva un esercizio meglio delle altre, subito l’insegnante invitava tutte a guardarla e imitarla. È da quando hai undici anni che sei portata a confrontarti con te stessa e con gli altri… siamo sempre alla ricerca di qualcosa che faccia la differenza. L’ambiente non è tutto rose e fiori. Una volta acquisita questa consapevolezza, è comunque possibile trovare un modo sereno per l’approccio quotidiano alla professione; e naturalmente con alcune persone la relazione sa diventare distesa, senza sentire sempre la competizione… con altre invece questa competizione resta; ed è a quel punto che subentra l’intelligenza personale nel comprendere che una persona può essere meglio dell’altra. Si guarda, si impara… Dipende dal carattere, dal modo di essere; alcune persone sanno vivere tutto questo senza problemi, per altre diviene uno stress grandissimo.

E l’incompatibilità caratteriale influenza anche il risultato, magari nel lavoro con il partner…
Certo. Col partner non c’è il confronto, la situazione per cui si fa la stessa cosa e si vede chi la fa meglio. Succede però che talvolta… se qualcosa non riesce, è possibile che si finisca per incolparsi a vicenda, per quanto mai in modo esplicito. Possono insorgere discussioni… soprattutto di fronte a caratteri molto forti. È necessaria grande umiltà, per il mio punto di vista. Soprattutto quando lavoro con un partner, cerco sempre di guardare a me stessa e al mio lavoro, chiedendomi dove posso aver sbagliato. Capita anche che io chieda un giudizio sull’adeguatezza di quello che ho fatto. Ma vedo molto spesso che alcune colleghe insistono… “Dovevi tenermi più su”… o viceversa ragazzi che dicono in faccia “Insomma, tieniti…”. Sono frasi che si sentono, credimi. Se poi le due persone non sono in armonia per motivi non legati al lavoro… tutto peggiora.

E in quel caso le antipatie rischiano di trascinarsi per anni… l’ambiente può diventare soffocante?
Io stessa sono cresciuta, anche in scuola, con un pugno di persone che arrivavano ad essere la mia seconda famiglia, dopo i miei genitori e i miei fratelli. C’è stato un momento in cui ho percepito la mancanza del contatto con la gente esterna… Noi siamo cresciuti a pane e danza; con le tue compagne non fai altro che parlare di danza. Questo è una sorta di buco nella mia crescita. Una volta divenuta adulta, questa sensazione è passata… anche perché mi sono fidanzata con una persona che non lavora in teatro…

Sei una delle poche cui sento dire una cosa del genere!
È una cosa che mi è sempre stata a cuore… la danza ti assorbe tantissimo: cuore, cervello… mi sembrava importante conoscere gente esterna. E ci sono riuscita. La danza è la cosa che mi impegna più di tutto, probabilmente; ma non deve essere l’unica. È facilissimo che nasca l’amore fra persone che si vedono spesso, questo sì: ho colleghe che sono sposate con colleghi, o con tecnici di palcoscenico… stai sempre in teatro, è più facile innamorarsi di qualcuno che lavora lì piuttosto che della persona che incroci in strada e non hai la possibilità di conoscere. Ma la vita fuori dal teatro è importante anche per la danza: se sono stata con persone diverse, ho parlato d’altro, il giorno dopo tornata in Scala posso riuscire a mettere nel ballare qualcosa che le persone mi hanno comunicato… La danza si anima di tutto: di vita e d’esperienze. Il mio fidanzato è un artista a trecentosessanta gradi: è giornalista, ma ha un quartetto jazz, compone musica… e il nostro rapporto è improntato sulla collaborazione reciproca. Se può seguirmi in tournée, lo fa; se posso seguirlo quando suona o leggere i suoi articoli, lo faccio… cerchiamo di renderci il più possibile partecipi.

Mai avuti dubbi sulla professione che avevi scelto?
Forse negli anni della scuola… ho frequentato il liceo serale. Ero in teatro tutto il giorno, la sera correvo a scuola, tornavo tardi… stava diventando massacrante. Ma sono molto ligia al dovere, vada come vada… E nel momento in cui, per caso, sono entrata in Scala, ho iniziato il mio cammino scolastico con serietà e convinzione.

Sei entrata in Scala per caso?
Sì. Nella mia famiglia nessuno si sarebbe mai sognato di vedermi diventare ballerina. La bambina che abitava sopra casa mia, un giorno, venne da me per raccontarmi la sua prima lezione di danza, e mi mostrò la spaccata in cucina. Affascinata da questa spaccata, ho convinto i miei genitori ad iscrivermi a scuola di danza… in palestra, di pomeriggio. Dopo qualche tempo, il padre di una delle mie compagne, avendo visto il bando di concorso in Scala, aveva pensato di far partecipare sua figlia… e chiesto ai miei genitori di iscrivere anche me. Ci saremmo così presentate in due… per provare. E secondo te alla fine com’è andata? Io sono stata presa, l’altra ragazzina no! Devo ringraziare la mia famiglia… mio padre è sempre stato disponibilissimo con me, portandomi in macchina a scuola eccetera… ma un grazie lo devo anche al padre di questa compagna! Nella mia famiglia nessuno aveva l’ambizione di vedermi ballare alla Scala.

Quanto cambia la danza negli anni?
Molto. Chiunque può notarlo… dal fatto che…

…una volta non si alzavano le gambe come si fa oggi?
Anche! E dal fatto che la danza s’è trasformata in qualcosa di più acrobatico… guarda Sylvie Guillem… gambe alte, salti pazzeschi…

…se parli di Sylvie con me sfondi una porta aperta, ti avviso…
Perché ti piace moltissimo, immagino…

Assolutamente sì!
Beh, certo! Prendi solo una foto della Taglioni e una foto della Guillem: è sufficiente guardarle per notare che nessuna posizione è più riconoscibile. L’arabesque era una gamba appena sollevata, una volta; oggi l’arabesque tende quasi a toccare la nuca! È necessaria grande attenzione, però: c’è stato un periodo, in passato, in cui questo aspetto è stato quasi esasperato, a scapito di quello artistico. I virtuosismi acrobatici vanno bene, ma devono essere supportati dal sentimento e dall’atteggiamento giusto. La figura longilinea, il collo del piede… sono importantissimi, ma non sono tutto.

Certo, non bastano le linee a fare una ballerina.
Sono d’accordo.

Anche se capita spesso che il pubblico noti soprattutto quell’aspetto…
…oppure nota la gamba che sfiora l’orecchio!

È vero. Ma se una ballerina parte con una pirouette in un punto e la chiude un metro più in là… non tutti sanno notarlo come un errore.
Hai ragione. Ultimamente, però, ho fatto sempre più mio un concetto ulteriore: divertirmi e cercare di dire qualcosa mentre danzo. Voglio raccontare la storia che so e che sento: è il modo migliore di ballare. Io faccio meno fatica, e il risultato acquista in qualità. È necessario arrivare a quel livello che ti permette di andare oltre un arabesque più o meno alto, raccontando qualcosa e vivendo un personaggio. Lì sta il salto di qualità.

Il cinema, con film come The Company e Billy Elliot, dà secondo te un ritratto veritiero dell’universo della danza?
Sono usciti diversi film su questo argomento negli ultimi anni… un boom di film sulla danza. Per alcuni aspetti rispecchiano la realtà, denunciano fatti veri. Ma altre cose sono davvero esagerate. Prima di iniziare l’intervista, ad esempio, mi ricordavi che la protagonista di The Company è ritratta mentre la sera svolge un secondo lavoro…

…sì, fa la cameriera…
Nella nostra realtà è improponibile. Non so se qualche ragazza, che magari balla in una compagnia meno importante, la sera lavori davvero da qualche altra parte… Nessuna di noi ha un secondo lavoro che la impegna fuori dal teatro.

Come vivi il rapporto con il palcoscenico?
Sembra strano, ma quando c’è il pubblico a guardare io mi sento meglio. Abbiamo la possibilità di ammiccare alla platea, guardandola… Il problema si presenta quando devi affrontare le prove in scena dopo mesi in sala, ma senza un pubblico… la novità. Ma quando la platea si riempie di persone, ti assicuro che riesco a percepire un feeling… mi diverto. Ultimamente, invece, avverto una difficoltà più grande: lo scoglio da superare sono i colleghi. Il loro giudizio fa più paura di quello della platea. Una volta non era così; ogni tanto mi interrogo sul motivo di questo cambiamento. Forse è perché ultimamente mi trovo più spesso nella situazione d’essere sottoposta ad un giudizio… È strano, perché in teoria si sta ancora giocando in casa. Invece senti tutti questi occhi puntati addosso, pronti a giudicare se davvero avevi diritto al ruolo che ti è stato assegnato. Non è bello: fra le facce che ti circondano ci sono quelle contente che tu ricopra questo ruolo, e quelle che non aspettano altro se non vederti sbagliare.

Pesa il giudizio di chi è in compagnia da più anni?
Quando avevo diciotto anni ed ero appena entrata in Corpo di Ballo, capitava che ci fosse la ballerina più esperta che riprendeva le altre con toni aspri; oppure che non aiutava un’eventuale sostituta chiamata in scena. Oggi, invece, devo riconoscere questo: c’è maggiore collaborazione. Diciamo che almeno l’apparenza si salva. E se qualche collega deve sostituirne un’altra in corsa, ci aiutiamo… anche mentre balliamo, ci diamo suggerimenti. Le nostre prime ballerine, ad esempio, sono poche, ma sempre ben predisposte e disponibili… A meno che, ovviamente, due persone non siano in conflitto per i motivi più diversi: in quel caso una delle due sarà zitta e muta e aspetterà che l’altra sbagli.

Ci dici qualcosa dei tuoi impegni attuali? Ad esempio su Sylphide… Prima mi raccontavi di essere stata scelta da Lacotte per il ruolo principale…
Mi trovo davanti questa grande occasione, sì… Lacotte stesso, il coreografo di Sylphide, è venuto per insegnare il suo balletto e assegnare i ruoli principali. È una parte che mi piace molto: giorno dopo giorno scopro e percepisco qualcosa di nuovo.

E i coreografi che arrivano impongono in modo rigido le loro scelte di casting?
Beh, sì. Ma è giusto che sia così… Il direttore dà suggerimenti, è ovvio; ma un coreografo o i suoi assistenti non possono accettare sulla fiducia ballerini che poi rischiano di rivelarsi inadeguati. Oppure che non piacciono… i gusti, si sa, sono terribilmente soggettivi!


ALESSANDRO GRILLO
“È L’INTERPRETAZIONE CHE DÀ SPESSORE ALLA TECNICA”


Mai sentirsi troppo sicuri, quando ci si prepara a un’intervista. Nemmeno quando l’intervistato lo conosci già, come capita a me con Alessandro Grillo. Ci incontriamo a mezzogiorno, da salutisti evitiamo gli alcolici optando per un sanissimo succo d’arancia, attacchiamo con l’intervista come se fosse una chiacchierata. Se non che il mio registratore, brevettato e funzionale dai tempi in cui incontrai Dario Argento, non vuole saperne di partire. Mai sentirsi troppo sicuri, c’è da ripeterselo. Lui, primo ballerino da poco meno di cinque anni, se la ride con pazienza; alla fine non ci resta che ridere in due. Se fosse capitato con un carattere tipo Lauren Bacall sarebbe stato peggio. E poi il vecchio metodo che abbina appunti e buona memoria resta sempre il più valido… così dicono.

Allora, se mi perdo qualcosa ci sentiamo e mi correggi…
Ok, tranquillo…

Direi di partire con qualche parola sui tuoi studi e sul percorso che hai fatto in Scala…
Come artista posso dire di essere nato e cresciuto in Scala. Ho studiato qui e mi sono diplomato nel 1991; nell’autunno dello stesso anno sono entrato in compagnia. Capitava abbastanza spesso, in quel periodo, che i ragazzi della scuola iniziassero a comparire in scena ricoprendo piccoli ruoli e affiancando i professionisti. Così era capitato a me. Nel 1991 la stagione era stata chiusa da Il lago dei cigni di Nureyev, e nell’autunno di quell’anno si riapriva con la ripresa dello stesso spettacolo… il mio diploma è arrivato fra i due eventi, per questo posso dire d’essere entrato in compagnia trovandomi alle prese con un balletto che già conoscevo. I ruoli da solista sono arrivati abbastanza presto; e nel 1996 Elisabetta Terabust mi ha promosso solista. Ho avuto la possibilità di danzare ruoli principali in Schiaccianoci e Vedova allegra, che per me hanno rappresentato occasioni molto importanti. Sono stato nominato primo ballerino da Frédéric Olivieri, nel 2001…

…e sono arrivati nuovi ruoli da protagonista. Me ne citi qualcuno fra i tuoi preferiti?
Ti dico subito che a me piace parecchio tutto il repertorio, soprattutto le produzioni di Nureyev… tu vuoi qualche titolo, vero?

Beh sì, dai…
Il lago dei cigni e Don Chisciotte. Anche La bella addormentata nel bosco. Un balletto cui sono legato è poi Giselle, che ho ballato recentemente in Scala.

Sono tutti ruoli in balletti narrativi, non semplici creazioni astratte …
Sì, il lato interpretativo aggiunge interesse al ruolo. Diversi lavori di Kenneth MacMillan offrono questa possibilità. I ruoli astratti ci sono stati, in ogni caso; ho ballato più di un balletto di Balanchine, come sai…

Che rapporto ha un primo ballerino in Scala con l’arrivo di guest da altre compagnie?
La mia esperienza è quella di un artista che non ha mai incontrato problemi particolari con l’arrivo di ospiti… Certo, posto che l’ospite sia un danzatore di qualità. Se arrivasse qualcuno da fuori per ricoprire un ruolo e fosse meno bravo dei ballerini di casa… non farebbe piacere a nessuno. È una precisazione doverosa. Io ho avuto occasione di lavorare con grandi personalità in occasione di diverse produzioni in Scala…

Nomi…
Nomi, eh?

Beh, non ti sto chiedendo di fare una critica… anzi!
Per farti un esempio, abbiamo avuto la possibilità di lavorare con Julio Bocca e Maximiliano Guerra, due personalità di grande talento.

Quanto alle tue partner, invece, chi puoi citarmi?
Sicuramente Gilda Gelati, con cui ballo molto spesso; ci siamo sempre trovati bene. Insieme abbiamo danzato i ruoli più diversi, lo ricordi anche tu… Rubies di Balanchine, Sogno di una notte di mezza estate, Giselle… Ovviamente Marta Romagna; con lei recentemente ho interpretato balletti come Il lago dei cigni e Tema e variazioni. Conoscere le proprie partner è importantissimo… non è un luogo comune dire che il feeling è indispensabile. Ho visto ballare coppie di étoile che durante i passi a due nemmeno si guardavano in faccia… diciamo che questo non giova al risultato finale.

E se ci si trova davanti ad una partner sconosciuta?
Il feeling si cerca e si costruisce. Io stesso non ho ballato solo con Marta e con Gilda in tutti questi anni… Ho danzato con Alessandra Ferri e Simona Noja, ad esempio, che non sono mie partner abituali; ma abbiamo lavorato in sintonia.

Finisce una prima. Il giorno dopo leggi le recensioni?
No… no non le leggo! Cerco di evitarlo. Certo, qualcuno poi mi fa sapere qualcosa, in certi casi sono io a chiedere a determinate persone… ma non capita spesso.

Ti rimane tempo libero?
Certo. Anche se non posso generalizzare, dipende dal periodo. Se siamo sotto spettacolo e devo ricoprire un ruolo di rilievo, chiaramente il tempo per me stesso diminuisce… Oggi invece non sono troppo impegnato, ad esempio… e siamo qui a chiacchierare!

Con l’occasione, allora, dimmi qualcosa delle vostre recenti tournée
Ci spostiamo parecchio negli ultimi anni… è davvero bello, le tournée sono state tante. Lasciando da parte le recenti recite di Manon a Parma e Torino, siamo stati apprezzati parecchio all’estero… Ricordo molto volentieri i viaggi in Brasile e soprattutto in Messico; lì siamo stati ospitati in un auditorium enorme, il pubblico è stato calorosissimo. Abbiamo addirittura scoperto una compravendita, allestita per l’occasione, di magliette e altri gadget con i nostri visi stampati sopra! Una vera sorpresa…

Un confronto fra ieri e oggi ti porta ad osservare cambiamenti significativi nel mondo del balletto?
Sì, parecchi. E non solo fra i professionisti… anche a scuola. Non farmi sbilanciare, per favore…

…se vuoi cambiamo argomento, non sto dicendo niente!
No, battute a parte… ricordo che quando io ero studente la disciplina era rigidissima. Il peso della gerarchia era incredibilmente forte, da parte dei primi ballerini d’allora sperimentavamo una durezza maggiore rispetto a quella che possiamo avere oggi io o Gilda… Dieci, quindici anni fa ci pensavi due volte prima di permetterti di entrare in una sala e stare a guardare i primi ballerini mentre provavano. Ti parlo di disciplina in questo senso. L’altra faccia della medaglia è però costituita da nuovi stimoli: oggi abbiamo più spettacoli e più tournée, maggiori possibilità… anche per i più giovani che entrano in corpo di ballo.

Ti trovi a rimpiangere qualcosa?
No. Non è stato bello lasciare i miei genitori, che vivevano a Torino, quand’ero ancora giovanissimo per trasferirmi a Milano… questo posso dirlo. Ma non mi pento di nessuna scelta.

Cosa ti aspetta prossimamente?
In queste settimane sono abbastanza tranquillo, dopo un’infinità di recite di Manon, sia a Milano che in tournée… ho interpretato Lescaut, un ruolo bellissimo e complesso. Guardando avanti, credo di poterti dire che fra i miei prossimi impegni ci saranno Cenerentola di Nureyev e Bayadère… nuovi ruoli di repertorio, insomma.


DEBORAH GISMONDI
“È IL PALCOSCENICO IL MOMENTO DELLA VERITÀ”


Anziché un’autoritaria Carmen o una criptica Eletta, tutta fascino ambiguo, mi trovo di fronte una ragazza semplice, minuta, elegante anche nel sistemarsi la borsa sulla spalla. Deborah Gismondi è sempre in movimento fra lavoro e famiglia, riesco a rubarle un po’ di tempo alle due del pomeriggio. Bella e brava, elevata al rango di solista nel 2000 e fortemente voluta da un coreografo esigente come Maurice Béjart, è oggi una delle danzatrici scaligere più impegnate, dalla programmazione milanese alle occasioni fuori casa: ha danzato in coppia con Massimo Murru la prima rappresentazione de La sagra della primavera nella tournée della Scala a Madrid, è ora reduce da quasi una ventina di recite di Manon (interpretava l’amante di Lescaut, il fratello della protagonista), rappresentato in Scala e portato sia a Parma che a Torino. E sono solo pochi esempi.

Come hai scelto e iniziato la professione di ballerina?
Ho iniziato a Genova, in una scuola privata. A dieci anni mi sono trasferita a Milano per frequentare la Scuola di Ballo della Scala… mi sono diplomata e sono entrata in compagnia nel 1992. Sono stata nominata solista nel 2000. Negli anni ho avuto la possibilità di ballare ruoli d’importanza crescente…

Quali sono quelli che ricordi più volentieri?
Ho lavorato benissimo con Sylvie Guillem: mi ha scelta per interpretare il ruolo della protagonista nella sua Giselle. Posso citarti Schiaccianoci di Ronald Hynd, oppure Carmen per la coreografia di Amedeo Amodio, più recentemente… Ma l’esperienza più bella è stata quella con Maurice Béjart, che mi ha voluta per il ruolo dell’Eletta nella sua Sagra della primavera. Per la scelta iniziale sono arrivati in un primo momento i suoi assistenti, mandati a Milano per selezionare le ballerine che, oltre a Sylvie Guillem, avrebbero ballato il personaggio principale del balletto. Dopo essere stata scelta, ho iniziato le prove… ma Béjart è molto geloso delle sue coreografie, vuole sempre vedere come vengono eseguite ed avere la certezza totale sull’adeguatezza di ogni scelta. Così sono stata invitata a Losanna, dove ha sede il Balletto diretto da Maurice Béjart, e lì ho lavorato sul ruolo con lui per perfezionarlo. Sono stati giorni di prove bellissimi… io e Béjart da soli a studiare Sagra. È stata l’esperienza più bella della mia carriera, fino a oggi… e se anche dovessi smettere di ballare domani sarei soddisfatta. Non so se in futuro ci sarà un momento altrettanto interessante. Il lavoro fatto nella preparazione del balletto è stato incredibilmente intelligente. Ogni volta che si riprende Sagra della primavera è un grande momento per me. Di ruoli, comunque, ce ne sarebbero molti altri…

…fra cui, sempre recentemente, la mistress di Lescaut in Manon, un ruolo bello e difficile che mi piace ricordare…
Sì, esatto… quello è uno dei tanti… Hai visto lo spettacolo?

Sì…
…mi hai visto fare la mistress?

Sì, due volte in occasione delle recite con Sylvie Guillem.
Ah, quando ballava Sylvie… Lei è meravigliosa. Ti dicevo d’aver lavorato con lei in occasione della sua Giselle… un’esperienza interessantissima, davvero. Il ruolo di Giselle mi è sempre piaciuto…

E lei è davvero una persona così esigente?
È molto esigente, attentissima al modo di eseguire i passi, all’interpretazione. Ogni gesto, ogni sguardo deve avere un senso. Con la sua Giselle ha fatto un lavoro quasi cinematografico.

E pare sia così precisa anche quando è interprete… confermi?
È precisissima su ogni aspetto. Sceglie anche i cast che balleranno con lei, vuole circondarsi di persone che a suo parere funzionino nei diversi ruoli. Ma resta un’artista molto generosa che sa darti tutto quello che può. È importante lavorare con persone come lei: è bello che una personalità sia grande nel talento e generosa nel rapporto con i colleghi.

Momenti invece più difficili?
L’ambiente è difficile di per sé. A livello fisico ricordo il rientro dopo la gravidanza, che mi ha tenuta ferma più di un anno… ma in quel caso la gioia di riprendere e tornare a lavorare mi ha aiutato a superare gli ostacoli. Fermiamoci a questo…

Leggi critiche e recensioni?
Sì… ma sempre meno. È difficile essere sempre d’accordo con le analisi che si leggono…

…parlando del tuo pubblico, invece?
Mi dà tante piccole soddisfazioni. Molte persone mi fermano, ricordano i miei ruoli… Il palcoscenico è sempre il momento della verità: il lavoro fatto passa in secondo piano, resta solo l’artista che balla, la sua personalità, le sue potenzialità. È questo che mi dà forza: in palcoscenico sto bene, il pubblico sa notarlo e apprezzarlo. Fra i frequentatori più assidui si scoprono i fan, e questi sanno dare grande soddisfazione.

Ti resta tempo per te stessa?
In genere sì. Ma la cosa più pesante è avere solo un giorno e mezzo di pausa: finiamo la domenica pomeriggio e riprendiamo il martedì mattina. Tutto questo rende impossibile staccare, partire, uscire da Milano. Quando siamo sotto spettacolo, poi, lavoriamo ancora di più. Il tempo libero si trova… ma la professione assorbe parecchio in ogni caso. Per la mia esperienza è faticoso avere lavoro e famiglia: chiedono entrambi tanta energia; ma ho passione per entrambi, cerco di sdoppiarmi… a volte mi sembra d’avere il dono dell’ubiquità!

Come vedi oggi il mondo del balletto?
In questo momento, in tutti i campi, a volte manca la ricerca spassionata della qualità, a vantaggio della semplice quantità. Ambienti sensibili come quelli dell’arte possono esserne danneggiati.

Cambieresti qualcuna delle tue scelte?
Forse, tornando indietro, non rifiuterei esperienze all’estero…

…lasciando Milano?
No, rimanendo alla Scala. Magari trascorrendo solo qualche periodo in altre compagnie. Mi erano addirittura stati offerti dei contratti. Per paura o pigrizia non ho colto occasioni di questo tipo… ho rinunciato per problemi personali, avrei potuto superarli. Sarebbe stato interessante, credo mi avrebbe arricchito, e sarei tornata con più esperienza alla Scala, che resta comunque il mio teatro cui devo molto… Oggi avrei molto meno tempo per un’esperienza simile, ho un marito e una figlia…

…mai dire mai!
Sì, mai dire mai… hai ragione. Tutto può sempre succedere…

Come vedi il futuro?
Ora come ora la mia famiglia richiede grande concentrazione… vivo davvero minuto per minuto e faccio fatica a pensare al futuro. Posso dirti che, andando avanti con la carriera, mi trovo a preferire personaggi diversi… non più la principessina in tutu, ma soprattutto ruoli che richiedono interpretazioni più dense, figure che rispecchiano la vita vera.


Finale
MASSIMO MURRU
“INTELLIGENZA E CONSAPEVOLEZZA PER VALUTARE OGNI SITUAZIONE”


Massimo Murru non lo incontri tutti i giorni. Non te lo vedi passare agghindato da divo ogni volta che capiti davanti alla Scala, narcotizzato dai flash. Io, almeno, Massimo Murru non l’avevo mai incontrato. Quando esce dalla stage-door del teatro è da poco passato mezzogiorno. Ce ne andiamo subito per chiuderci in un café della zona, mentre Massimo mi spiega che ha finito da poco la lezione mattutina e che è in partenza per raggiungere a Cagliari l’Hamburg Ballet. Insomma, dispiace quasi tartassarlo di domande uno così, un étoile preso fra un impegno e l’altro con quell’aria serena di chi divo non si sente. Ma le domande non lo inibiscono, per fortuna; se la sua fama d’artista riservato poteva inquietarmi, l’atteggiamento disteso con cui accavalla le gambe e si dichiara pronto a parlare fa scoprire le carte. Attacco prima di ordinare da bere.

Mi parli dei punti e degli snodi significativi del tuo percorso artistico?
L’ingresso in corpo di ballo alla Scala e i primi ruoli sono stati accompagnati da grande fiducia da parte dei direttori che si sono susseguiti. Il mio percorso s’è evoluto per tappe, in modo naturale… ruolo chiama ruolo, diciamo. La nomina a étoile è stata senza dubbio gratificante, non posso negarlo. Devo dire che… non vorrei sembrare poco modesto… è stato comunque qualcosa in più rispetto al lavoro che stavo facendo; il fatto di diventare étoile alla Scala non compromette il fatto che oggi gli spettacoli siano vissuti in maniera diversa…

…tu eri già ospite residente…
Esatto. Il fatto che la nomina non potesse essere fatta prima era un problema essenzialmente burocratico… Il direttore attuale, Olivieri, può aver spinto più di altri perché la nomina arrivasse…

È una decisione che spetta solo al direttore di un corpo di ballo?
Credo di sì. Almeno la proposta penso arrivi da lui…

Ruoli cui ti sei particolarmente affezionato nel tempo…?
Sono obbligato, e lo faccio volentieri, a citare quello di Des Grieux in Manon. Grazie a questo ruolo sono diventato primo ballerino alla Scala, ed è un personaggio che porto con me con grande affetto e grande rispetto. È un ruolo straordinario: permette all’artista di scoprire e proporre lati e sfumature diverse ad ogni nuova occasione. Ho debuttato in questo ruolo a ventidue anni; Des Grieux è un personaggio che ti segue negli anni e matura insieme a te. Credo che sia questo tipo di ruoli il più interessante… non tanto e non solo da proporre al pubblico, anche e soprattutto per l’interprete. Fra gli altri ruoli, c’è quello in Cheri di Roland Petit…

…quella è forse una parte che ti appartiene ancora di più…
… da un certo punto di vista sì, è stata una nuova creazione. E ha coinciso con un momento magico dal punto di vista personale: mi sono trovato in mezzo a due mostri sacri come Petit e Carla Fracci. È stata un’occasione per vedere artisti così grandi in modo più vero e più umano. Si tratta di circostanze che aiutano a maturare, ad affrontare le situazioni nuove senza cadere nel panico, senza avere paura.

Oltre a Petit, altri coreografi contemporanei ti hanno voluto, fra cui Béjart e Neumeier…
Altre belle avventure. Rivedrò Neumeier prestissimo… spero di approfondire la conoscenza con lui. Béjart è un altro grandissimo artista… fra i suoi lavori, più o meno riusciti, ci sono creazioni stupende…

…e ostiche?
Per ora il lavoro con Béjart riguarda Sagra della primavera. Guardandolo, il balletto può sembrare relativamente facile… poi ti rendi conto che non è assolutamente così. Béjart è uno di quei coreografi che non scontano niente, nonostante lavori con gli interpreti e plasmi su di loro le sue creazioni.

Altri nomi fra i coreografi contemporanei?
Mats Ek, massacrante sia sul piano fisico che su quello psicologico. Kylian, con cui spero di lavorare ancora presto. E poi il giovane inglese Russell Maliphant, che si distingue per un linguaggio coreografico definito e peculiare: non assomiglia a nessun altro coreografo. Dopo aver interpretato un suo lavoro, posso dire di essermi trovato alle prese con qualcosa di molto personale. Spero che il pubblico si accorga di questa sua particolarità.

È però raro che il pubblico sappia apprezzare in modo immediato nuove creazioni contemporanee…
Può succedere se il coreografo in questione… non è bello dirlo, forse è eccessivo… se il coreografo è povero di talento. Avviene in tutti i campi. Deve esserci qualcosa che spinge a tornare a teatro e rivedere lo spettacolo; se questo quid manca… beh, non vale la pena di pensarci e ritornare a teatro. Non dimentichiamo però che in origine, nelle loro prime versioni, sia Il lago dei cigni che Giselle furono flop colossali… alcuni coreografi possono essere un po’ avanti rispetto al gusto e alla sensibilità contemporanea. Oggi purtroppo il lavoro di qualità tende ad essere inquinato dalla mediocrità… gli spettacoli faticano ad andare oltre il livello del semplice intrattenimento… è esattamente quello che possiamo vedere oggi in televisione e al cinema. Il lavoro comporta dei doveri anche nei confronti di noi stessi… i cosiddetti artisti insomma, anche se di questi tempi il termine artista è piuttosto abusato, utilizzato per chiunque faccia qualcosa che procuri visibilità. Anche gli artisti del teatro di danza dovrebbero prendere le loro decisioni in modo più consapevole. Il pubblico a volte manda giù quanto viene proposto… ma come in ogni matrimonio la colpa non sta mai da una parte sola; il pubblico, considerato come essere pensante, a volte è costretto a ripiegare su ciò che il convento passa…

…ma i fischi si sentono poi, in qualche occasione…
Considera anche che i biglietti per il teatro non vengono regalati. Con il Teatro degli Arcimboldi siamo riusciti ad avere una nuova fetta di pubblico; mi auguro che si prosegua così anche con la riapertura della Scala, ma credo sarà molto difficile… Il prezzo dei biglietti è aumentato, e gli stessi biglietti non si trovano con facilità. La situazione non è solo rose e fiori. Come artista penso sia necessario distinguere ciò che ci circonda da ciò che si vuole proporre e si vuole dire, senza cercare solo di omologarsi ad un sistema criticato e discusso, ma che raramente si cerca davvero di modificare. Oggi c’è meno credibilità rispetto a qualche decina d’anni fa… si sente dire che la danza nel nostro paese è la Cenerentola delle arti. Forse è vero, ma non possiamo dire che la colpa sia solo del pubblico o delle stelline televisive…

Può dipendere anche da come un prodotto è presentato e proposto forse… sei d’accordo?
Beh, è un discorso in parte diverso. Si cerca di vendere… è il ruolo del marketing. Ci troviamo nella situazione in cui…

…si vende quello che si ha da vendere…
Eh, esatto! Si vende quello che si fa… il prodotto va venduto. Ma non si può vendere un prodotto con uno dei marchi più prestigiosi al mondo, se il prodotto non è all’altezza. Questa può essere definita truffa… Compra del caviale e del foie gras, spendi, torna a casa e assaggialo: se non vale quanto è stato pagato… non sei certo contento. La situazione non è sempre facile… ognuno deve prendere le sue decisioni.

Il successo e la fama hanno portato qualche aspetto negativo?
Bisogna chiarire cosa si intende per successo… io sono stato fortunato ad affermarmi nella mia professione. Auguro la mia fortuna ai ragazzi che iniziano oggi… la fortuna di incontrare persone che diano fiducia e che siano generose, capaci di insegnare qualcosa. Poi chissà, fra dieci o vent’anni, come si sarà trasformata la professione del danzatore… Oggi la tendenza è un po’ quella a far andare tutto bene: tutto è bello, tutto può essere danzato, tutto può essere ballato con chiunque… si balla perché piace stare in scena, anche con un certo egocentrismo. Ma se dietro non ci sono i ventiquattro cigni, i due che stanno davanti dopo un po’…

… stancano?
Sì… dipende anche dai due ballerini. Una persona che va a vedere Il lago dei cigni deve sorbirsi anche la danza spagnola, tutto il secondo atto…

… beh dai, il secondo atto passa tutto sommato…
…passa, ma dipende da molte cose…

Guarda, Il lago dei cigni non è certo uno dei miei balletti preferiti, ma credo ci sia di peggio rispetto a quel secondo atto…
C’è di peggio, ok… Il lago dei cigni è un balletto straordinario in sé, ma oggi è sempre più difficile vedere un Lago dei cigni eseguito in modo straordinario. Le produzioni possono essere fatte in modo veloce, si prova poco per mancanza di tempo… Non voglio parlare di colpe, ma… per alcuni ballerini fare Lago dei cigni e fare Giselle è la stessa cosa. Diventa tutto terribilmente noioso…

… beh, poi non tutte le ballerine possono fare tutti i ruoli…
Ma oggi tutti tendono a fare tutto…

Dai, alcune proprio non ce la fanno a interpretare Il lago dei cigni
Parliamo di ballerini che vediamo e che riescono a interpretare tutto il repertorio… sono sempre quelli. Va bene, ballano benissimo… ma il repertorio andrebbe selezionato con maggiore accuratezza. Lì dovrebbe subentrare anche la figura del direttore, chi ha l’autorità per decidere chi può fare qualcosa, e come.

Ma un primo ballerino – non étoile – può rifiutare di andare in scena?
In teoria no. È anche vero che, essendo persone pensanti e più che maggiorenni, potrebbero cercare di lavorare sul ruolo, aggiustare ciò che può essere aggiustato. Noto in più occasioni la tendenza a nascondersi dietro le decisioni del direttore… “L’ha deciso lui, io lo faccio”. Il problema è che poi, in scena, ci va il danzatore… e, fra tutti gli spettatori che vedono uno spettacolo in Scala, trovami le persone che pensano ad una scelta di cast sbagliata, anziché incolpare il solo ballerino! Saranno in due… Se lo spettatore pagante vede un ballerino inadeguato, tende a incolpare solo lui. Se l’artista sa valutare le situazioni con intelligenza, le cose cambiano… altrimenti… Puoi trovarti la ballerina alta un metro e ottanta e con le spalle larghe come le mie a interpretare sia Manon sia Il lago dei cigni sia La Sylphide

C’è divismo nel mondo del balletto?
No… il divismo è un po’ fasullo. Un po’ si gioca con l’immagine divistica, oggi non è difficile. Il teatro e la televisione si confondono e vedono sfumare i loro confini l’uno nell’altra… E ti trovi poi uno spettacolo con un ballerino fermo per un’ora e mezza esaltato dai critici come un’opera geniale.

Leggi le recensioni?
Sempre meno… Qualche anno fa le leggevo di più; oggi no…

E il cinema, quando ha parlato della danza, ha messo a fuoco la realtà in modo veritiero?
Guarda, ricordo poco di un film come The Company… ma è stato un film che mi ha annoiato, mi aspettavo qualcosa in più da Altman…

Billy Elliot?
Va beh, Billy Elliot va bene, è carino… ma non descrive quella che è la realtà della professione, si limita a ritrarne il sogno. Fra i film validi restano Due vite, una svolta, al di là della presenza di Baryshnikov… gli interpreti sono straordinari, Shirley MacLaine… poi Il sole a mezzanotte, un film non solo sulla danza, ma interessante… per il resto…

… l’immagine della vita di compagnia è falsata?
A volte. Devo però dire che da diversi anni non faccio più vita di compagnia… da artista ospite residente sono passato ad essere étoile… si è meno presenti in teatro, non si fa la vita dei componenti del corpo di ballo, dai ballerini di fila ai primi ballerini. Quando ero agli inizi la compagnia della Scala era composta soprattutto da stanziali, persone che venivano dalla stessa scuola di ballo, sposate, con una vita propria… La vita di una compagnia ai miei occhi è quella che mette a confronto persone che arrivano da ogni dove, e che porta a viaggiare moltissimo. In una situazione come quella della Scala… ognuno ha la sua situazione personale, una famiglia, un fidanzato… la vita di compagnia è diversa in quelle realtà in cui la convivenza è davvero obbligata. Ci sono compagnie che partono per mesi e mesi… Giappone, Corea, Cina e Australia… la loro condizione è completamente differente rispetto a quella di una compagnia in cui ci si vede la mattina, si fanno otto ore di lavoro, e poi la sera ci si saluta…

Così è meno soffocante però… se ci sono attriti in compagnia…
… la situazione diventa a rischio e pericolo della vita! Fuor di metafora, ci sono persone che già si sopportano poco in una situazione come quella scaligera… figurati se dovessero dormire nella stessa camera, viaggiare sullo stesso aereo, salire sullo stesso pullman e ballare insieme… per quattro mesi diventa una situazione ingestibile. È in circostanze del genere che sperimenti e scopri i meccanismi del lavorare in un posto che non è solo un grande dinosauro del teatro. La compagnia della Scala ultimamente viaggia di più rispetto a qualche anno fa… anche se molto meno rispetto ad altre compagnie… pensa solo alle tournée del Royal Ballet…

… di cui tu hai esperienza, essendo stato loro guest in più occasioni…
Sì. Torniamo al discorso che facevamo prima…

… si vende quello che si ha da vendere?
Esatto.

Parliamo delle tue partner…
Le mie partner… Allora, lavorare con Carla Fracci è stato straordinario. Altrettanto straordinaria è Altynai Assylmuratova. E poi ovviamente Sylvie Guillem.

Ok, i nomi vanno bene, ma… dai, come si lavora con Sylvie?
Con Sylvie si lavora come oggi si dovrebbe lavorare sempre, a mio parere… e non lo dico perché ci lavoro io. Può sembrare una persona dal carattere difficile… forse è vero… quest’aura della ballerina francese… Ma è una persona che innanzitutto pensa e che ha il coraggio di dire e di fare ciò che a suo parere è giusto. È ovvio e normale che questa cosa crei antipatie e malintesi… Una persona che si fa andare bene tutto e che dice sempre “Sì” va d’accordo con tutti, non serve che lo dica io. Ma Sylvie non si limita a parlare: è una ballerina che rischia in prima persona. E fra i grandi nomi del balletto, gli artisti veri, non credo d’aver mai visto persone che hanno sollevato pareri contrastanti come lei. Guillem però va avanti per la sua strada, facendo ciò che ritiene valga la pena di fare oggi e cercando di mantenere sempre coerenza. Se questo porta con sé qualche antipatia… va bene, d’accordo. Non è possibile essere sempre belli, straordinari agli occhi di tutti. Dovremmo riuscire a chiamare le cose col loro nome: oggi tutto è superlativo o orribile. Ci sono persone davvero straordinarie, per i motivi più diversi… ma non certo tutti! E in proposito c’è davvero molta confusione.

Poi i gusti restano personali…
Giriamo attorno allo stesso punto. Se vai in un ristorante a tre stelle per mangiare un piatto che paghi uno sproposito, e questo piatto ha lo stesso sapore di quello che puoi cucinarti da solo a casa… non ci torni più. Il ristorante stesso è destinato a fallire. Il problema è che quando vai al ristorante te ne accorgi… a teatro, vedendo un balletto, non se ne accorgono tutti.

Su questo sono più che d’accordo… gli esempi sarebbero tanti…
Gli stessi ballerini a volte pensano che… si fa quello che si può. Va bene? Perfetto. Non va bene? Non posso ammazzarmi se non mi viene una variazione. Sono questi i discorsi che si sentono. E se il protagonista stesso si presenta con un atteggiamento simile… cosa pretendiamo dal pubblico?

Parlando invece della tua esperienza all’estero…?
C’è un approccio al lavoro completamente diverso. Il sistema stesso è diverso. La quantità di spettacoli è impressionante… ho fatto più di una tournée con il Royal Ballet: otto spettacoli alla settimana, un mese e mezzo di tournée. Il sistema in sé permette delle cose… le regole sindacali che esistono in Italia lì mancano. Se le condizioni cambiano… le modifiche seguono a ruota, è inevitabile. Le cose possono essere fatte con più facilità…

… e la qualità dello spettacolo?
A volte ne trae giovamento, a volte no. Può esserci il rischio che, almeno per i ruoli principali, le cose diventino simili ad una catena di montaggio. Mi spiego: nella stessa giornata ci si trova a provare La bella addormentata, Il lago dei cigni, Onegin, Bayadére e Carmen… o sei un super eroe e riesci a dare lo spessore e il colore giusto ad ogni ruolo, oppure… una sera metti il costume di Sigfrido, la sera dopo quello del principe, quella dopo ancora il vestito di Eugenio Onegin… e il resto?

Beh, anche i Principal del Royal Ballet hanno repertori selezionati, non includono tutto e sempre… alcune ballerine non hanno mai fatto Don Chisciotte, oppure…
Non sempre abbastanza selezionati! Anche se in altre compagnie i Principal o étoile sono molti di più… del resto è naturale, con tutti gli spettacoli che hanno…! Devi avere per forza sette, otto Principal, altrimenti…

… alla fine li ricoveri!
Eh sì! C’è alla base una situazione diversa. Una condizione come quella del Royal Ballet in Scala sarebbe ingestibile. Il che non significa che le cose non possano essere migliorate, eliminando quanto non serve ed evitando di commettere gli stessi errori. È più facile raccontarsi favole e immaginare che tutto vada bene… ma non è sempre così. Torno a quanto ho detto prima: occorre fare scelte meditate e ben valutate. Anche in giro per il mondo si rischia di vedere spettacoli terribili… non solo perché la ballerina perde la punta o cade a terra. Il problema a volte è nella testa delle persone, nel loro atteggiamento. Pensare al singolare è deleterio… il ballerino che fa il suo lavoro isolato, che fa quello che riesce a fare; il direttore che ha il potere di mandarti in scena e ti ci manda… le forze in campo sono parecchie…

… idee divergenti e poteri che cozzano…?
Si rischia di delirare! Dirigere una compagnia stabile in un grande teatro italiano è complicatissimo… a volte davvero delirante!

E nel tuo futuro più immediato cosa c’è?
Romeo e Giulietta a Cagliari, con l’Hamburg Ballet di Neumeier. In Scala, invece, prossimamente Cenerentola, Bayadére e la Serata Mozart.



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Ritratti e immagini per gentile concessione del Teatro alla Scala di Milano.
Foto di scena: nell'ordine, Massimo Garon nel passo a quattro del Lago dei cigni (versione Bourmeister); Lara Montanaro in Symphony of Psalms di Kylian; Alessandro Grillo nel ruolo di Lescaut in Manon; Deborah Gismondi nelle vesti dell'Eletta in La sagra della primavera di Béjart; Massimo Murru protagonista di La Bayadére.


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Alessandro Bizzotto


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Settimanale di informazione cinematografica - Direttore responsabile: Ottavia Da Re
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