HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL: NOVE ANNI DI STORIA

2006

È entrato in scena cantando “Panic” e scudisciando il palco con il filo del microfono come quando era il leader dei leggendari Smiths. Morrissey è un’autentica icona del rock britannico, eppure durante la sua esibizione il sole splendeva ancora alto sull’autodromo di Imola, segno che altri nomi dovevano ancora nobilitare il cast artistico di venerdì 16 giugno. L’Heineken Jammin’ Festival 2006 nella prima giornata ha riunito 35 mila persone e soprattutto più artisti degni di suonare come headliner: dopo Morrissey, infatti, si sono esibiti i salentini Negramaro e gli headliner designati Depeche Mode.
Morrisey è stato protagonista di una performance poetica e drammatica allo stesso tempo, nella quale ha alternato classici del periodo con gli Smiths come “Girlfriend In A Coma” e “How Soon Is Now” e capolavori del suo repertorio solista come “…Work Of Art”, “You Have Killed Me” e “Irish Blood English Heart”. I suoi fan lo chiamano “Moz” e lo amano anche per il suo talento come intrattenitore: quella teatralità che ha mostrato pure sul palco griffato HJF, magari attraverso gesti apparentemente semplici come il cambio della camicia madida di sudore mentre cantava i brani del nuovo disco “Ringleader Of The Tormentors”.
“Per noi è un grande onore esibirci dopo un mito come l’ex Smiths”, ha detto Giuliano Sangiorgi dei Negramaro prima di salire per il secondo anno consecutivo sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival. Il gruppo rock salentino ha dimostrato di meritare il ruolo di vice-headliner dietro ai Depeche Mode con un set live di grande impatto emotivo, caratterizzato dall’album bestseller “Mentre tutto scorre” e da hit come “Estate” e “Nuvole e lenzuola”. Nella scaletta del loro concerto anche un’incursione nella storia della canzone d’autore italiana con la cover di “L’immensità” di Don Backy.
Al calare della sera sono arrivati gli headliner ufficiali Depeche Mode, che hanno richiamato a Imola una folla eterogenea di adolescenti e ultraquarantenni uniti dalla passione per il nuovo disco “Playing The Angel”. Martin Gore, Andy Fletcher e il ritrovato Dave Gahan (già protagonista in versione solista dell’Heineken Jammin’ Festival del 2003) hanno ripercorso una lunga e prestigiosa carriera come alfieri del pop elettronico attraverso canzoni come “Personal Jesus”, “Enjoy The Silence”, “Never Let Me Down” e “World In My Eyes”, riproposte in uno show sofisticato sul piano scenico con tastiere camuffate da astronavi argentate e tre grandi schermi che hanno permesso anche a chi era lontano dal palco di godere di tutti i dettagli del concerto. I Depeche Mode sono arrivati a Imola dopo aver trascorso l’intera giornata al mare di Rimini. Anche i loro fan sono andati in spiaggia, ma a pochi metri dal main stage dell’Heineken Jammin’ Festival 2006: fra le attività di intrattenimento, infatti, è stata allestita l’area “Beach” con ombrelloni, sdraio e autentica sabbia. Grandi amache e comodi lettini anche nell’area “Relax”, dove è stato possibile fare massaggi e tatuaggi all’hennè; mentre per i più dinamici c’era come sempre lo “Sport Village” con campi di calcetto, basket e volley, oltre ad alcuni calcio-balilla per gli sportivi più “sedentari”. Nell’area “Champions Planet” i ragazzi hanno tirato rigori contro portieri professionisti: i rigoristi più bravi sono stati premiati con biglietti per assistere alle partite delle squadre italiane impegnate in questa Champions League. Ancora musica di qualità sul “Second Stage” con i 12 finalisti dell’Heineken Jammin’ Festival Contest, che per il secondo anno ha offerto visibilita ad artisti e gruppi emergenti, selezionati fra migliaia di iscrfizioni. I primi due classificati, uno per ciascuna giornata, hanno avuto l’onore di aprire le esibizioni sul main stage.
La nona edizione dell’Heineken Jammin’ Festival, dunque, è stata inaugurata dal rock indipendente dei Ramigliete Blonda, vincitori dell’Heineken Contest. Dopo di loro il duo electrodance britannico Goldfrapp guidato dalla magnetica e carismatica Alison, la novità Kill The Young, il rock’n’roll degli inglesi Hard-Fi capitanati da Richard Archer e il punk-pop degli italiani Finley, l’ultima scoperta di Claudio Cecchetto che nel 2006 hanno fatto breccia nel cuore delle teenager.
In nove anni di storia l’Heineken Jammin’ Festival ha più volte dimostrato con i fatti di essere il più grande raduno rock dell’estate italiana. Una ulteriore conferma è arrivata sabato 17 giugno 2006: la sera dei Metallica, ma anche la sera di Italia-Usa ai Mondiali di calcio in Germania. Quando i futuri campioni del mondo hanno iniziato la sfida con gli americani c’erano 50 mila metallari a sventolare i tricolori davanti ai tre maxi schermi (uno dei quali di 50 metri quadri) posizionati ai lati del palco. E dopo aver seguito in diretta il roccambolesco pareggio fra gli azzurri e gli avversari a stelle-e-strisce, hanno accolto con un assordante boato di entusiasmo gli americani James Hetfield e Lars Ulrich, che sono tornati a Imola dopo essere stati headliner dell’Heineken Jammin’ Festival del 2003.
Chiuso il collegamento video con la partita di Kaiserslautern, un’ora prima di mezzanotte lo show dei Metallica è iniziato sulle note della colonna sonora del film “Il Buono Il Brutto Il Cattivo” del neo premio Oscar Ennio Morricone. Dal capolavoro “Master Of Puppets” all’ultimo disco “St. Anger”, la band californiana ha incendiato la notte imolese con un incandescente hard-rock e canzoni come “Creeping Death” e “Fuel”, regalando alla folla anche l’anteprima di un brano inedito, presentato con l’ironico titolo di “New Song”.
Tutta la seconda giornata di questa nona edizione dell’Heineken Jammin’ Festival è stata consacrata al rock più metallico: dopo gli italiani Water In Face, anch’essi vincitori di Heineken Jammin’ Festival Contest, si sono esibiti Amphitrium (pure loro italiani), Living Things (una delle band più provocatorie in circolazione negli States) e gli Avenged Sevenfold, californiani come i Metallica, che hanno proposto un intreccio sonoro fra chitarre ardenti alla Iron Maiden e melodie frenetiche alla Bad Religion. Prima di far trepidare i loro 50 mila cuori per le sorti degli azzurri di Lippi, i metallari di Imola hanno accolto con grande entusiasmo anche i sulfurei Darkness, la band dei fratelli Justin e Dan Hawkins, che hanno conquistato moltitudini di fan in Europa grazie ai primi due dischi “One Way Ticket To Hell” (che ha superato i 2 milioni e mezzo di copie vendute) e il sucessore “One Way Ticket To Hell… And Back”.
Ogni edizione del raduno rock di Imola ha avuto la sua regina: la primadonna dell’Heineken Jammin’ Festival 2006 ha i capelli corvini e la voce squassante di Cristina Scabbia. La vocalist dei milanesi Lacuna Coil, che si sono esibiti a metà pomeriggio sulle note del nuovo album “Karmacode”, è realmente una diva della scena metal internazionale: due anni fa è stata ufficialmente eletta “donna più sexy del rock” dal prestigioso periodico britannico “Kerrang!”. Sul palco Cristina ha sventolato il tricolore, come molti altri artisti compreso il romano d’adozione Morrissey il giorno prima, ma soprattutto ha urlato forte il suo desiderio di essere stimata meno per questo riconoscimento al suo indiscutibile fascino e molto di più per i risultati ottenuti dai Lacuna Coil in dieci anni di attività, soprattutto all’estero dove sono molto considerati e sono famosi anche per la partecipazione a un tour con Robbie Zombie e all’Ozzfest di Ozzy Osbourne.

2005

L’ottava edizione dell’Heineken Jammin’ Festival, il più prestigioso raduno rock all’aperto dell’estate, inizia alle 2.15 del mattino di venerdì 10 giugno, quando vengono spalancati i cancelli dell’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola e le avanguardie della “Combriccola del Blasco” sfrecciano lungo la pista di fronte ai box con una rapidità da “Formula 1 del tifo” per conquistare il loro simbolico podio, cioè le prime file davanti al gigantesco palco. I pretoriani del Blasco hanno atteso l’apertura dei cancelli accucciati contro le inferiate o accampati sulle rive del Santerno dalla notte precedente: nessuno vuole mancare all’appuntamento con Vasco Rossi. Il rocker di Zocca torna per la terza volta a Imola, ma appare subito evidente che anche questa sarà un’esibizione storica e indimenticabile. La prima volta ha il sapore dell’evento: nel 1998 Vasco ha tenuto a battesimo il neonato Heineken Jammin’ Festival con un unico memorabile concerto davanti a 120 mila persone, arrivate da tutta Italia anche grazie a 13 treni speciali targati HJF. La seconda ha il profumo della sfida: nel 2001 Vasco vince la scommessa di riportare 100 mila persone nell’autodromo imolese, nonostante il live non fosse un appuntamento unico bensì una data di un ampio tour italiano.
Questa terza partecipazione di Vasco Rossi ha un doppio aroma: quello della sfida, perché la scommessa dei 100 mila è valida come e più di allora, e quello dell’evento perché il tour 2005 è annunciato come l’ultimo del Blasco prima di un lungo periodo di assenza dai live, quindi la performance all’Heineken Jammin’ Festival 2005 assume i connotati di un evento a cui non si deve mancare. Infatti il flusso di pubblico prosegue incessante tutto il giorno, tanto che vista dall’alto la pista appare come un torrente in piena: la sera, quando il Blasco si congeda dai fan sulle note di “Albachiara”, la mitica curva della Rivazza è rischiarata da 120 mila accendini. L’Heineken Jammin’ Festival è un rito dell’estate che non si consuma solo davanti al palco principale: per i più mattinieri, infatti, ci sono le attività collaterali del Green Village, fra cui campi da basket, pallavolo e calcetto; un angolo di Riviera Romagnola ricreato con tonnellate di sabbia per allestire un’autentica spiaggia dotata di ombrelloni, sdraio e campo da beach-volley; e la Cool Zone dov’è possibile farsi fare massaggi rilassanti e tatuaggi con l’hennè. Inoltre la novità assoluta è il second stage, un palco allestito appositamente per far esibire i finalisti di Heineken Jammin’ Festival Contest, un’iniziativa di Heineken che mira a scoprire nuovi talenti fra giovani gruppi emergenti.
Sono state 1523 la band iscritte al contest nel 2005, fra cui sono stati decretati i 3 vincitori che hanno aperto sul main stage le 3 giornate di Heineken Jammin’ Festival e i 12 finalisti che si sono esibiti (4 al giorno) sul second stage.
Nel primo pomeriggio iniziano le performance dal vivo sul “main stage”: l’improvvisa defezione degli americani Papa Roach, bloccati in autostrada dalla coda e da un guasto al pullman, trasforma la prima giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2005 in un festival rock tutto italiano. L’onore e l’onere di dare fiato ai potenti amplificatori spetta al gruppo barese Dopolavoro Ferroviario, vincitore dell’Heineken Jammin’ Festival Contest (i tre vincitori di questa rassegna, uno per volta, aprono le tre giornate della kermesse imolese). Dopo di loro si susseguono sul palco la rocker melodica Pia (già nota ai fan di Vasco perché autrice della canzone “E” presente nell’album “Buoni o cattivi”), i romani Velvet (galvanizzati dal consenso ottenuto al Festival di Sanremo con il brano “Dovevo dirti molte cose”) e il comasco Simone (reduce dalla partecipazione al reality show “Music Farm” e supporter ufficiale del tour 2005 di Vasco Rossi).

L’attesa per l’esibizione di Vasco si fa sempre più spasmodica: ne sanno qualcosa Le Vibrazioni, il gruppo rock milanese che davanti all’immensa folla dell’Heineken Jammin’ Festival riceve la giusta consacrazione dopo il successo del primo album (“Le Vibrazioni”) e i positivi riscontri del secondo (“Le Vibrazioni II”). La bravura del cantante Francesco Sarcina e il vigore del resto della band riescono a domare la Combriccola del Blasco, storicamente poco accondiscendente con chi anticipa l’esibizione del loro idolo, soprattutto nell’approssimarsi del concerto. Poco prima delle dieci di sera, un boato accoglie sul palco il dottor Rossi, che ha appena ricevuto la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione. E nessuno sa comunicare come lui con la gente, anche con cinque semplici parole: “Ciao Imola. Bentornati… benarrivati…divertitevi!”. Poi le sue canzoni e il suo carisma trasformano il concerto in una grande festa collettiva.
Sabato 11 giugno l’Heineken Jammin’ Festival si riappropria del suo status di festival rock: non più un solo artista che catalizza l’attenzione della folla, bensì più artisti di alto livello che si alternano sul palco. Gli headliner sono i R.E.M. (noblesse oblige), ma il publico si entusiasma anche per le esibizioni dei Garbage e dei Green Day.
La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2005 si apre con i casertani Melon Rouge (vincitori dell’HJF Contest), seguiti dal gruppo power-pop-punk Succo Marcio, dai bresciani Miura (il nucleo fondamentale è costituito dalla sezione ritmica dei Timoria: il batterista Galeri e il bassista Illorca) e dai britannici I Am Kloot, trio di Manchester fra le realtà emergenti del movimento neo acustico.
L’Heineken Jammin’ Festival ha sempre prestato grande attenzione all’universo femminile del rock: la primadonna di questa edizione è la rossa scozzese Shirley Manson, l’affascinante vocalist dei Garbage, che ipnotizza il pubblico con una performance elegante. I Garbage (tutti gli altri membri della band sono americani) sono dei veterani della kermesse imolese griffata HJF: dopo gli acclamati live del 1999 e del 2002, anche questa terza esibizione scorre senza sbavature sulle note di composizioni complesse intrise di elettronica. Più vigorosa è la presenza dei Green Day: il cantante Billy Joe Armstrong riesce a coinvolgere anche chi ha meno dimistichezza con le sonorità pop-punk dell’album “American Idiot”, che spesso sconfinano nei generi country-western, soul e swing grazie alla presenza di un’eclettica sezione fiati. Anche il pubblico dell’Heineken Jammin’ Festival viene coinvolto in un divertente siparietto che caratterizza molti loro concerti: tre ragazzi scelti a caso tra la folla vengono invitati sul palco per suonare gli strumenti del trio punk (chitarra, basso e batteria).
I lampi bluastri di un fantasmagorico impianto luci illuminano il cielo scuro sopra l’autodromo di Imola e segnalano l’inizio dello show dei R.E.M., guidati dall’enigmatico Michael Stipe, che si presenta con una fascia azzurra dipinta sugli occhi e si muove per tutto lo spettacolo con atteggiamento regale e una gestualità mai banale (in due ore di musica non ripete mai due volte lo stesso gesto). Il pubblico si entusiasma ascoltando le canzoni dell’ultimo album”Around The Sun” e hit come “Drive”, “Everybody Hurts” e “Losing My Religion”, unite a cover tipo “Day Tripper” dei Beatles. Come Vasco la sera precedente, anche se con un atteggiamento scenico diverso, anche i R.E.M. mantengono vivo il clima di festa collettiva che anima questa ottava edizione dell’Heineken Jammin’ Festival: a un certo punto del concerto, infatti, la band feseteggia il compleanno del batterista cantando “Happy Birthday” assieme a tutto il pubblico e a sua moglie salita sul palco. Anche il cartellone artistico di domenica 12 offre gruppi emergenti, fra cui i salentini Negramaro, e tre nomi di primissimo livello: l’icona punk Billy Idol, i metallari Velvet Revolver del chitarrista Slash e gli Oasis dei fratelli Gallagher. Prima di loro il pubblico si scalda con la miscela country-blues-rock alternativo della band di Reggio Emilia Stoop (che completano il terzetto di vincitori dell’Heineken Jammin’ Festival Contest), con il noise-blues dei mantovani Super Elastic Bubble Plastic, il rock progressivo degli americani Mercury Rev e il rock d’autore dei salentini Negramaro, che proprio a Imola iniziano la loro estate trionfale.
Il cinquantenne inglese Billy Idol, un autentico guru della generazione punk anni Settanta, debutta sul prestigioso palco dell’Heineken Jammin’ Festival con un live ruggente nel quale convivono le canzoni del suo nuovo album “Devil’s Playground” (pubblicato a dodici anni di distanza dall’ultimo disco d’inediti) e hit storiche come “Flesh For Fantasy”, “Eyes Without Face” e “Rebel Yell”.
Atmosfere metal avvolgono il live dei Velvet Revolver, nati nel 2002 da una costola dei Guns’n’Roses: dai “gunners”, infatti, provengono il carismatico e ribelle Slash (chitarra), Matt Sorum (batteria) e Duff McKagan (basso), affiancati da Scott Weiland, ex frontman degli Stone Temple Pilots. I Velvet Revolver sono alfieri del genere glimmer-metal e sono conosciuti anche per aver partecipato con un brano alla colonna sonora del film “I Fantastici Quattro”.
I “Fantastici Due” di quest’anno, invece, sono i litigiosi fratelli Noel e Liam Gallagher. Il brit-pop degli Oasis chiude l’ottava edizione dell’Heineken Jammin’ Festival sulle note del nuovo album “Don’t Believe The Truth”. Sul palco con loro c’è anche un figlio d’arte: si tratta del talentuoso batterista Zac Starkey, figlio di Ringo Starr dei Beatles, che la band ha ricoperto di sterline pur di strapparlo agli Who. I singoli di grande successo “Don’t Look Back In Anger”, “Wonderwall” e “My Generation” scrivono la parola fine sullo spettacolo dell’Heineken Jammin’ Festival 2005, un weekend all’insegna del rock migliore.
Vasco Rossi… R.E.M. e Oasis… Garbage e Green Day… Billy Idol e Velvet Revolver… Le Vibrazioni e Negramaro… e circa 200 mila persone entusiaste in tre giorni di grande musica! Anche nel 2005 l’Heineken Jammin’ Festival ha dimostrato di essere il raduno rock adatto a chi sta per esplodere e a chi è già esploso… ma non è ancora “scoppiato”.

2004

Un acquazzone biblico e qualche chicco di grandine accolgono i primi spettatori della settima edizione dell’Heineken Jammin’ Festival. La mente torna al 1999, quando gli Skunk Anansie cantarono sotto un rabbioso temporale chiudendo una suggestiva giornata di “fango e rock’n’roll”; però il timore dura pochi minuti: la danza della pioggia al contrario della tribù dell’Heineken Jammin’ Festival, infatti, sortisce il suo effetto e nel cielo tornato sereno si stagliano non uno ma ben due arcobaleni.
Dopo le “Dance Night” delle passate edizioni, quest’anno l’intera prima giornata dell’Heineken Jammin’ Festival è consacrata alla musica elettronica e dance. Beh, non proprio tutta: alle 20.30 tacciono gli amplificatori e l’attenzione dei 15 mila presenti viene calamitata dai tre maxischermi che trasmettono in diretta la partita Italia-Svezia degli Europei di calcio in Portogallo. Ad aprire le danze nel pomeriggio sono il giovane deejay Alex Bianchi (vincitore del concorso Found@Thirst organizzato proprio da Heineken per scovare nuovi talenti) e la Circoloco Crew dell’omonimo locale di Ibiza. La partita dell’Italia è un turbinio di emozioni: purtroppo la gioia per il gol di Cassano è smorzata dal pareggio svedese.
La delusione per la mancata vittoria degli Azzurri dura giusto il tempo di allestire la scena per il concerto dei Massive Attack, che riaccendono l’entusiasmo con basse frequenze “vibrastomaco” (come le definisce Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera) e una performance “giocata sul registro più ipnotico dell’elettronica, con bassi potenti ed echi orientaleggianti” (Gioia Giudici dell’ANSA). Dopo il granitico dj set del tedesco Timo Maas, scende in pista l’inglese Fatboy Slim, che sfoggia una maglietta della nazionale italiana e trasforma l’autodromo di Imola in una gigantesca, dinamica e spumeggiante discoteca a cielo aperto (e sereno!) con una delle esibizioni più spettacolari dell’intero weekend.
Gli eventi collaterali sono il valore aggiunto dell’Heineken Jammin’ Festival, che “molti vengono a vivere a prescindere dalla musica come un’occasione per aprire in compagnia l’estate” (Giò Alajmo su Il Gazzettino). Anche qui ci sono parecchie novità piacevoli, fra cui la “Beach Area”: una spiaggia di 1500 metri quadrati di vera sabbia con sdraio, ombrelloni, campo da beach volley e un chiringuito. È nuova anche la “Cool Zone” attrezzata con cabine olofoniche che diffondono musica new age e che offre la possibilità di farsi tatuaggi all’hennè. Confermati dall’alto gradimento delle passate edizioni, la “Chill Out Area” (con sonorità lounge e ambient) e lo “Sport Village” con campi di calcetto, basket e volley, più l’autentico must sportivo di questa edizione: il calciobalilla.
Il vento caldo del rock (e di un sole splendente) torna a soffiare sull’Heineken Jammin’ Festival sabato 19 giugno. I primi a salire on stage sono i milanesi Delta V con la vocalist Gi Kalweit, seguiti dal duo di Los Angeles The Calling e dagli inglesi Starsailor. Il flusso di folla è incessante con un “iperlavoro dei botteghini e circa 8 mila biglietti venduti all’ora” (Andrea Spinelli su Il Giorno - Il Resto del Carlino – La Nazione): alla fine si contano 40 mila persone, molte con il tipico abbigliamento dark, ad applaudire gli headliner The Cure.
Due cose non mancano mai all’’Heineken Jammin’ Festival: le code in autostrada per smaltire la grande affluenza di gente e la massima attenzione sul piano artistico al rock femminile. Quest’anno tocca a PJ Harvey incarnarle entrambe: bloccata per sette ore nel traffico, infatti, Polly Jean Harvey sale sul palco con mezz’ora di ritardo, però si fa perdonare con una performance che la conferma come una delle regine del punk postmoderno. Altro pezzo forte della seconda giornata è l’unico concerto in Italia dei Pixies, la band di Boston tornata insieme dopo lo scioglimento nel 1991 per dissidi fra il leader Black Francis e la bassista Kim Deal: considerati gli ispiratori dei Nirvana, “per gli amanti del garage-rock erano le stelle più attese” (Silvia Boschero su l’Unità).
Non meno attesi sono gli show di Ben Harper e The Cure. Ben Harper si esibisce accompagnato dagli Innocent Criminals e mette in scena un generoso live di un’ora e mezza, spaziando fra blues, funky, rock, reggae e gospel. La serata si chiude in piena atmosfera dark con il gruppo di Robert Smith e il nuovo disco intitolato semplicemente “The Cure”, che rappresenta il degno coronamento artistico a una carriera lunga ben 25 anni.
In attesa del primo concerto italiano di Lenny Kravitz con il nuovo album “Baptism”, nel pomeriggio di domenica 20 la tribù dell’Heineken Jammin’ Festival si entusiasma per le esibizioni di CapaRezza e degli Articolo 31; preceduti dal brit-pop degli italo-inglesi Addicted, dal pop-punk degli irlandesi Snow Patrol e dal puro pop della canadese con origini portoghesi Nelly Furtado, che assieme alle hit “Like A Bird” e “Turn Off The Light” canta “Força”, inno ufficiale degli Europei di calcio in Portogallo.
Planato a Imola sulle ali dello strepitoso successo del singolo “Fuori dal tunnel”, il rapper di Molfetta Michele Salvemini, alias CapaRezza, dimostra tutte le sue doti artistiche con un live dal forte impatto sonoro e sociale. È trascinante anche il concerto degli Articolo 31: J Ax e DJ Jad mandano in visibilio la folla alternando vecchi e nuovi successi degli Articolo 31.
Protagonista del pomeriggio è anche l’irruente Mary J. Blige, la regina newyorkese del soul-hip hop. Si fa sera e l’Heineken Jammin’ Festival punta i riflettori sulla superstar Lenny Kravitz, che segue l’esempio di Elvis Presley e fa precedere il suo arrivo sul palco dalle note di “Così parlò Zarathustra” di Richard Straus. Accantonate momentaneamente le treccine in favore di una capigliatura liscia come l’olio, Lenny Kravitz conferma di essere un musicista completo alternandosi alla chitarra, al basso e alla batteria.
Si spengono definitivamente i riflettori: “al suo settimo compleanno l’Heineken Jammin’ Festival si conferma come l’appuntamento musicale dell’estate italiana” (Carlo Moretti su la Repubblica). E già si pensa agli headliner del 2005: nell’ultima conferenza stampa gli organizzatori escludono il ritorno di Vasco Rossi. Forse ne sono davvero convinti o forse mentono sapendo di mentire, però in buona fede, per non rovinare la sorpresa. Infatti il Blasco tornerà per la terza volta a calcare il prestigioso palco dell’Heineken Jammin’ Festival!!! Ma questa è una bella storia ancora tutta da scrivere…

2003

Chitarre incandescenti per un rock torrido. Nella sesta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival scende in pista il rock più pesante e l’autodromo di Imola si trasforma in un braciere ardente di passione metallara per i concerti degli headliner Metallica, Iron Maiden e Bon Jovi, che fa da cuscinetto ai due mostri sacri dell’heavy metal con le sue hit da classifica, una variante melodica dell’hard rock. Oltre 100 mila spettatori in tre giorni decretano l’ennesimo successo del festival estivo italiano più amato: a impreziosire il cast artistico contribuiscono Dave Gahan e Keith Flint, in temporanea vacanza rispettivamente da Depeche Mode e Prodigy. E una schiera di giovani band italiane molto apprezzate nel circuito underground dei live.
L’onore d’inaugurare l’Heineken Jammin’ Festival 2003 tocca ai lombardi Karnea, gruppo di Crema che ha iniziato a dodici anni come cover band dei Guns’N Roses e si è evoluto musicalmente sintetizzando Edith Piaff e i Prodigy. Dopo di loro, altri due gruppi nostrani: i milanesi Extrema (che vantano dieci anni di militanza metallica) e i Punkreas (una delle realtà più rappresentative della scena punk italiana), che ritornano per la seconda volta sul prestigioso palco griffato HJF. Dopo il rock grezzo ed emotivo degli Stone Sour, band complementare agli Slipknot, l’atmosfera s’infiamma con l’esibizione dei Flint, il progetto parallelo del leader dei Prodigy. Kilt scozzese alla Axl Rose, giubbotto di pelle strappato e cresta punk, Keith Flint incendia la platea con una performance vocale d’inusitata energia. Le chitarre taglienti dei Placebo (questa è la loro terza partecipazione alla rassegna imolese) chiudono il pomeriggio con il loro rock psichedelico. È venerdì 13, ma nessuna superstizione è riuscita a fermare i 40 mila fans, che assistono in delirio all’unica esibizione italiana dei Metallica. La band formata dai veterani James Hetfield e Lars Ulrich (l’ideatore del nome), da Kirk Hammett e dal neo bassista Rob Trujillo ritrova il proprio posto fra i capostipiti dell’heavy metal con un rockset aspro e possente, che celebra il passato remoto del loro repertorio, lasciando uno spazio marginale al nuovo cd “St. Anger”. Con suoni volutamente estremi e irruenti, i Metallica riconquistano credibilità fra gli appassionati di hard rock, dopo che gli approcci soft degli ultimi dischi avevano oscurato la loro stella. La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2003, sabato 14 giugno, si apre con gli italiani Settevite – che vantano live come supporter di Vasco Rossi e degli U2 – e Zen, che suonano per il secondo anno consecutivo all’ombra (si fa per dire, considerato il gran caldo...) delle due gigantesche piramidi HJF. A metà pomeriggio arriva il turno di Anouk, l’unica artista femminile di questa edizione. La rockeuse olandese sale on stage in dolce attesa del secondo figlio, ma per nulla frenata dall’imminente maternità, sfodera una prestazione grintosa e seducente sulle note dell’ultimo album “Graduated Fool”.
La marcia d’avvicinamento all’esibizione di Bon Jovi prosegue con The Music – quattro diciottenni inglesi messi sotto contratto dall’etichetta discografica di Richard Ashcroft – e i Live, che si presentano a Imola con un biglietto da visita di tutto rispetto: oltre 17 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Quando entra in scena Dave Gahan s’accende la curiosità per il debutto “soulista” del cantante dei Depeche Mode, che ha inciso il primo album solista “Paper Monster”, nel quale dà libero sfogo alla propria vena compositiva con sonorità soul e testi ironici. Non si tratta di una separazione definitiva dai Depeche Mode, ma certamente questa avventura solitaria lo intriga molto: nella performance di Imola, infatti, le uniche tracce dei suoi ventidue anni come frontman della band britannica sono i brani “Walking In My Shoes” e “Personal Jesus”.
Alle otto di sera Jon Bon Jovi atterra con un elicottero privato dietro alla curva della Rivazza. Davanti al palco ci sono 30 mila persone che scandiscono il suo nome e lui le ripaga con il suo rock pompatissimo, aprendo lo show con una cover di Neil Young che è anche un augurio (“Rockin’ In A Free World”) per poi sfoderare i pezzi forti del suo repertorio: “You Give Love A Bad Name”, “Bounce”, “Prayer”, “It’s My Life”... Quarantuno anni, jeans e giacca di pelle attillati, Bon Jovi ha scelto l’Heineken Jammin’ Festival per celebrare nel modo più degno i suoi vent’anni di carriera.
Il trip hop di Tricky, nell’immancabile appuntamento del sabato con la “Late Night”, ci accompagna alla giornata conclusiva, che vede sfilare in scena - in attesa dell’evento Iron Maiden - Domine (alfieri di un metal epico), Vision Divine (band di culto del panorama metallico italiano), Lacuna Coil, Murderdolls (chitarre lancinanti di chiara matrice Sex Pistols) e Cradle Of Filth, il cui repertorio metal-gotico risulta una delle proposte più interessanti di questa sesta edizione. Un’altra piacevolissima sorpresa, per chi non ha grande confidenza con il circuito metallico italiano, si rivelano i milanesi Lacuna Coil, promossi da una prestigiosa etichetta discografica tedesca. Le loro composizioni metal hanno influenze rock e gotiche, accentuate dall’intrigante vocalità di Cristina Scabbia e dalla veemenza dell’altro cantante Andrea Ferro.
L’Heneken Jammin’ Festival 2003 si congeda dal popolo metallaro con l’esaltante show dei leggendari Iron Maiden, che chiamano a raccolta 40 mila seguaci adoranti. La “Vergine di ferro” regala un breve assaggio live del nuovo album “Dance Of Death”, preferendo impostare il concerto sui suoni collaudati dei suoi classici: “The Number Of The Beast”, “Run To The Hills”, “The Trooper”, “Hallowed Be Thy Name”, “Bring Your Daughter To The Slaughter”...
Tracciando un commento finale sull’edizione metallara dell’Heineken Jammin’ Festival, la stampa ha parlato di “annata migliore del festival, eccettuate quelle nel segno di Vasco Rossi”. E Bruce Dickinson, vocalist degli Iron Maiden, saluta la “HJF Tribe” con un doveroso tributo: “In Inghilterra e negli Stati Uniti, il pubblico a volte è tiepido, addirittura freddo. In Italia, invece, troviamo sempre grande calore. E i ragazzi dell’Heineken Jammin’ Festival ci hanno regalato una passione che rasenta quella della Ferrari”.

2002

La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival mescola la nostalgia per l’esibizione del Blasco con l’entusiasmo straripante per gli headliner Red Hot Chili Peppers e Santana. “La due giorni musicale di Imola non ha più bisogno di Vasco Rossi”, scrive Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera. E aggiunge: “È vero, c’era uno striscione con la scritta ‘Vasco ci manchi’, ma il pubblico, che era qui soprattutto per i Red Hot Chili Peppers, quest’anno non ha contestato nessuno. Merito di un cast più omogeneo, ma segno anche di una maturazione del pubblico italiano”.
Oltre ai Red Hot Chili Peppers e a Santana, l’Heineken Jammin’Festival 2002 offre un cast artistico di notevole spessore, caratterizzato dalla massiccia presenza di band italiane che non sfigurano al cospetto di gruppi celebrati come Garbage, Muse, Lostprophets e Manà, soprattutto per merito delle entusiasmanti performance live di Subsonica, Articolo 31 e Afterhours. Raddoppiano le dance night, con i Chemical Brothers (richiamati a furor di popolo dopo l’infuocata esibizione del 2000) e i partenopei Planet Funk, una delle rivelazioni della stagione con i loro ritmi elettromediterranei. “L’Heineken Jammin’ Festival mantiene la promessa originaria: grande musica in uno spazio perfettamente attrezzato e a prezzi contenuti. Il programma è assai appetibile” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero).
A rendere ancora più interessante e variegata la proposta musicale c’è una novità importata direttamente da Ibiza: la Chill Out Zone, una tensostruttura di quasi mille metri quadrati allestita all’interno del Green Village. In questa zona di decompressione sonora e visiva è possibile assistere ai dj set dei più prestigiosi interpreti delle sonorità chill out. Fra gli ospiti internazionali che si alternano alla consolle della Chill Out Zone c’è anche la top model brasiliana Fernanda Lessa, che sperimenta una carriera parallela come deejay.
Heineken Jammin’ Festival - “una festa del rock con un’organizzazione a livello dei più celebrati festival europei” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX) - richiama anche quest’anno più di 110 mila persone all’autodromo di Imola, nonostante un caldo infernale che le 3 cisterne d’acqua riversate sul pubblico riescono appena a mitigare. La canicola stuzzica l’ironia di Mario Ajello su Il Messaggero: “Cinquanta gradi all’ombra. Ma non c’è l’ombra”. I 70 mila accorsi sabato 15 giugno per l’accoppiata rock & dance formata da Red Hot Chili Peppers e Chemical Brothers vengono sferzati dall’acqua fredda delle docce a getto continuo e dai decibel delle prime band che animano l’immenso palco dell’Heineken Jammin’ Festival: File (trio milanese di punk-rock, vincitore nel 2000 di Scorribande), Zen (band romana che attraverso Internet ha venduto 70 mila copie del singolo d’esordio in tutto il mondo), Kane (eletti “miglior gruppo olandese” negli ultimi due Mtv Awards), Sneaker Pimps (inglesi di Birmingham che vantano collaborazioni come producer con Maxim dei Prodigy e come remixer con i Placebo) e i Meganoidi (nome di punta dell’underground punk italiano con la curiosità del percussionista Cisco che è anche uno degli inviati delle “Iene” di Italia 1).
I Meganoidi scandiscono l’attesa per l’evento RHCP con le loro invettive ska: la folla li accompagna con entusiasmo, ignara del fatto che il cantante dei Meganoidi si è liberato dell’ingorgo in autostrada e ha raggiunto Imola pochi minuti prima dell’esibizione. Anche quest’anno, infatti, la circolazione stradale attorno a Bologna è stata congestionata dall’elevato numero di persone che volevano assistere all’Heineken Jammin’ Festival, attirati soprattutto dal concerto dei Red Hot Chili Peppers, che hanno richiamato fans perfino da Zurigo, Bruxelles, Parigi e Francoforte. In autostrada sembrava di essere in pieno esodo estivo: per raggiungere Imola da Milano qualcuno ha impiegato anche sei ore.
Domato il traffico, il pomeriggio scorre liscio come l’asfalto della pista che piano piano diventa meno bollente. In compenso diventa sempre più incandescente l’atmosfera creata dalle band che si alternano on stage. È il turno degli “Afterhours del carismatico Manuel Agnelli, capostipiti del nuovo rock sperimentale italiano, e dei gallesi Lostprophets, alfieri di un punk-metal venato da sonorità infernali e atmosfere inquietanti che piace agli amanti del nu-metal alla Korn e Limp Bizkit” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera). Le prime ombre della sera salutano il ritorno sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival dei Muse, ammirati a Imola già nel 2000: il trio inglese “ha sfondato in Patria, e un po’ anche in Italia, grazie a un rock che tende i muscoli e scalda i cuori con dosi massicce di enfasi e un gioco ricercato di equilibrismi con asprezza e malinconia. Il cantante Matthew Bellamy, un po’ Tom Yorke un po’ Freddie Mercury, con i suoi falsetti imprendibili prende per mano il pubblico offrendosi come appetitoso antipasto ai Peperoncini” (Flavio Brighenti su La Repubblica).
Quando i Red Hot Chili Peppers fanno il loro ingresso in scena, il boato della folla squarcia il cielo di Imola più possente del rombo della Ferrari di Schumacher: ora i 70 mila dell’Heineken Jammin’ Festival hanno orecchie e occhi soltanto per Anthony Kiedis (voce), John Frusciante (chitarra), Flea (basso) e Chad Smith (batteria). Il live della band californiana naviga a vele spiegate, spinto da un vento forza… 12 milioni: le copie vendute nel mondo dall’album “Californication” del 1999. I RHCP hanno scelto un evento europeo prestigioso come l’Heineken Jammin’ Festival per testare in anteprima mondiale il gradimento di alcune canzoni del nuovo disco “By The Way” (nei negozi pochi giorni dopo l’esibizione italiana).
Il festoso delirio che accompagna hit affermate e brani nuovi, perdona benevolmente qualche stecca e decreta il trionfo della band californiana: “Un’ora e mezza di rock puro con John Frusciante, Flea e soprattutto Anthony Kiedis in una forma smagliante” (Luca Dondoni su La Stampa)… “Il massimo dell’energia e della passione rock con il minino (strumentale) dei mezzi” (Marco Mangiarotti su Q.N.)… “Sono loro i vincitori assoluti del megaraduno rock di Imola” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera).
Il sacro fuoco dei live di Kiedis, Frusciante, Flea e Chad viene rinfocolato immediatamente da Ed Simmons e Tom Rowlands: due ex studenti di storia medievale considerati i remixer più geniali della scena dance internazionale. Stiamo parlando, naturalmente, dei Chemical Brothers, che per la seconda volta (erano già stati protagonisti della dance night del 2000) trasformano l’autodromo di Imola in un rave dalle sonorità acide e techno, cavalcando le onde elettroniche del loro nuovo album “Come With Us”.
Il trionfo della band californiana è anche il trionfo dell’Heineken Jammin’ Festival, che ancora una volta ha offerto al suo pubblico il meglio della produzione artistica mondiale. E la conferma arriva puntuale il giorno dopo: domenica 16 giugno rimane immutata la qualità musicale degli artisti che si alternano sul palco fino all’arrivo dello sciamano Santana, che completa il gemellaggio fra l’Heineken Jammin’ Festival e raduni rock leggendari, essendo stato fra i protagonisti assoluti del mitico festival di Woodstock.
Il treno dei concerti di domenica 16 giugno sfreccia sui binari della musica di casa nostra: “Si sono fatti valere gli italiani fin dall’inizio: Rumorerosa, seguiti dai Malfunk, arrabbiati e corrosivi. Poi di nuovo all’estero con Cousteau e Manà, ma alla fine la resa musicale e spettacolare di Articolo 31 e Subsonica, saliti subito dopo, è stata superiore” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera).
Le band italiane giocano il derby dell’entusiasmo: “Sul podio dell’applausometro, dopo Subsonica e Articolo 31, gli Afterhours che si sono esibiti sabato” (Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera). Ampio consenso, comunque, anche per la pattuglia degli stranieri, che manda in avanscoperta i suoni raffinati dei Cousteau (che poi si soffermano in sala stampa per seguire l’epilogo ai rigori del match mondiale fra Irlanda e Spagna) e i messicani Manà (il primo gruppo latino che si aggiudicato un Grammy, nel 1999, come miglior band di rock alternativo latino) che sprizzano “energia positiva” (come la traduzione del loro nome in polinesiano) e duettano con Santana sulle note di “Corazon Espinado”, composta proprio dal vocalist Fher Olvera. I Garbage della sensuale vocalist scozzese Shirley Manson, infine, conquistano il pubblico con il loro inconfondibile rock melodico e numerosi inviti alla non violenza.
Proprio come i Red Hot Chili Peppers la sera precedente, anche Carlos Santana sale sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival forte di un disco plurimilionario nelle vendite e pluripremiato (8 Grammy Awards in un colpo solo: eguagliato il record di Michael Jackson) e con un nuovo album, intitolato “Shaman”, pronto per essere pubblicato. Alle prime note della sua Gibson color arancio-ocra, il talento e il carisma di Santana aleggiano sull’autodromo di Imola come una stella cometa da seguire con gioiosa partecipazione lungo tutto il concerto, che attinge a… “un repertorio da sogno e a una tecnica unica. Una sequela di perle regalateci dalle sei corde stratosferiche della ‘mano santa’ di Autlan, che ha inanellato assoli da fiaba: uno dei pochi ‘re del distorsore’ ancora in circolazione” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero). “Con il suo bagaglio di storia, una band piena di sapienti jazzisti e qualche preghiera, il rock latino di Carlos Santana attualmente è una delle poche ricette sonore che riesce a mettere d’accordo tre generazioni di pubblico” (Valerio Corzani su Il Manifesto). L’ultimo incantesimo dello sciamano messicano, al momento di congedarsi dalla folla dopo un concerto a dir poco entusiasmante, è un messaggio di pace: “Italiani, messicani, ebrei, palestinesi, inglesi, irlandesi: all is one. Tutti sono uguali”. La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival entra nella storia dei grandi eventi rock con un’altra incursione nella musica dance: rinfoderata la mitica chitarra di Santana, infatti, il palco si tramuta in una gigantesca consolle e la festa prosegue con la dance night dei Planet Funk, un ibrido di funk, rock, house e trance. È tempo di bilanci: “Il successo dell’Heineken Jammin’ Festival, con l’astronave musicale dei Red Hot Chili Peppers, con il messaggio di pace del predicatore Carlos Santana, con il rap gucciniano degli Articolo 31, con le piroette post punk dei Muse, e ancora con il faccino imbambolato e le curve conturbanti della top model Fernanda Lessa, è anche un successo di pubblico” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Più di 110 mila persone e picchi d’entusiasmo altissimi sono un patrimonio da non sperperare, così la perfetta macchina organizzativa dell’Heineken Jammin’ Festival si concentra immediatamente sul nuovo raduno di Imola. Fra i sogni proibiti c’è Bon Jovi. E proprio Bon Jovi sarà uno dei tre headliner (assieme a Metallica e Iron Maiden) dell’edizione 2003. Non stupitevi: all’Heineken Jammin’ Festival i sogni rock più belli si avverano sempre.

2001

Flashback… 20 giugno 1998: Vasco Rossi e Heineken Jammin’ Festival hanno appena scritto una pagina leggendaria nella storia dei raduni rock in Italia. I centoventimila della combriccola del Blasco lasciano l’autodromo di Imola senza più voce per urlare il suo nome. Felici. Stremati dalla gioia. Eppure non ancora appagati: vorrebbero riportarlo subito sul palco, ma si accontentano di sognare un bis di questa serata. Non importa quando, purché lo scenario sia ancora quello dell’Heineken Jammin’ Festival, perché nessuno stadio può regalarti l’emozione della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini. Si è stupito pure lui. E li ha ringraziati prima di cantare “Albachiara”. Alla fine del concerto, però, disillude le loro speranze: “Sarà impossibile ripetere un’esperienza simile, nemmeno a gentile richiesta”. Fine del flashback. E fine dei sogni della combriccola. Forse…
A volte i sogni si avverano: il Blasco torna all’Heineken Jammin’ Festival! L’appuntamento è per la sera di sabato 16 giugno 2001, ma i primi camper conquistano i prati attorno all’autodromo con un giorno d’anticipo. È la miglior risposta a quanti temono che una minore affluenza di pubblico possa impoverire il mitico record del 1998. Gli scettici sono pochi, ma tanto convinti dell’impossibilità di riportare a Imola centoventimila persone: quella era un’esibizione unica, argomentano, mentre questo è il primo di nove concerti sparsi per l’Italia intera. Meno di centomila spettatori, parecchi meno, è la loro previsione. Invece sono esattamente centomila. Un risultato pazzesco, perché è vero che l’imminente tour ha bloccato qualcuno a casa: quelli davvero troppo lontani, che nel 1998 avevano faticosamente raggiunto Imola sui tredici treni straordinari targati HJF.
Centomila persone. Qualcuno dice centodiecimila. E sarebbero ancora di più, se la Rivazza non fosse parzialmente inagibile per lavori di ampliamento del circuito. Per governare una massa così imponente di gente, evitando che l’onda umana travolga chi è davanti, viene creato un triplo sbarramento che divide la platea in tre settori separati: un braccialetto di plastica è l’ambito lasciapassare per entrare nella porzione di prato più vicina al palco. Per combattere il caldo ci sono docce a getto continuo su entrambi i lati dell’arena, mentre nella zona del bar c’è un enorme spazio coperto capace di offrire riparo a duemila persone. All’Heineken Jammin’ Festival, insomma, la qualità della vita viene prima anche della qualità della musica: “Imola non è Roskilde, ma se si poteva fare qualcosa di più per la sicurezza, lo si è fatto” (Andrea Spinelli su Il Giorno, La Nazione, il Resto del Carlino).
L’attesa dell’avvento di Vasco si consuma in un’atmosfera pacata: chi apprezza il prestigioso cast artistico (non capita tutti i giorni di avere come “supporter” una certa Alanis Morissette…) segue i concerti; gli altri ingannano il tempo nel Green Village tra sfide sui playground del villaggio sportivo gestito da Radio Deejay (radio ufficiale dell’HJF), sedute di massaggi e un’occhiatina alla mail grazie a tante postazioni Internet. C’è anche chi non apprezza ma resta inchiodato al suo posto, forse deve “presidiare” una buona posizione conquistata a fatica, e manifesta troppo energicamente il proprio dissenso verso i gruppi stranieri: Lifehouse, Feeder e Stereophonics. I quali non gradiscono, naturalmente. Gli Stereophonics meno degli altri, infatti abbandonano la scena a metà esibizione. Niente di grave, niente di nuovo: scene già viste in altri raduni. Per una band che se ne va, un’altra finalmente riesce ad arrivare: i Timoria hanno studiato il manuale delle partenze intelligenti e non si sono fatti fregare dal solito intasamento sulla A14 (nel 1998 non si erano esibiti perché bloccati in una coda di trenta chilometri).
La sorpresa piacevole della giornata è Irene Grandi nell’inedita veste (una veste molto succinta) di rockeuse: una performance grintosa, la canzone scritta per lei da Vasco in persona (“La tua ragazza sempre”) e una cover di Janis Joplin (“Piece Of My Hart”) sono più che sufficenti per farsi adottare dalla combriccola del Blasco. Combriccola che accoglie con i dovuti onori Alanis Morissette, primadonna fra il raffinato e il ribelle dell’Heineken Jammin’ Festival, che in tutte le sue edizioni ha puntato i riflettori sulle diverse anime del rock al femminile. La cantautrice di Ottawa ha carisma e talento (e un set musicale fra i migliori mai ascoltati all’autodromo di Imola): “quando canta ‘Thank You’ persino i pretoriani di Vasco hanno un attimo di smarrimento” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Solo un attimo, però. Subito torna alla mente il sogno di tre anni prima. Il sogno che si è avverato. E l’attesa diventa spasmodica. Come allora, duecentomila mani cominciano ad alzarsi verso il cielo, ma questa volta il Blasco non arriva dal cielo: sbuca all’improvviso sul palco e vorrebbe scendere ad abbracciarli tutti, dalla prima fila fino su alla mitica Rivazza. Perché assieme a loro, e assieme all’Heineken Jammin’ Festival, si è appena garantito un altro pizzico di leggenda. Lo show, ventitre canzoni in perfetto equilibrio fra hit storici e il nuovo album “Stupido hotel”, è un trionfo: “non si è rammollito il rocker di Zocca: il suo sound s’è fatto metropolitano, smaliziato, ironico” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera)… “è bellissima, la voce del Blasco… questa voce capace d’allentarsi nella melanconia, d’arrugginirsi nell’invettiva e d’accendersi nello sberleffo” (Cesare G. Romana su il Giornale)… “Il concerto è eccellente, uno dei migliori della sua carriera” (Ernesto Assante su la Repubblica). Uscendo dall’autodromo, i centomila tornano a sognare una replica, anche fra altri tre anni. E questa volta Vasco non dice nulla. Mai dire mai… Soprattutto quando si parla di Heineken Jammin’ Festival. Domenica 17 giugno si respira un’aria da “the day after”: tutti parlano ancora del ciclone Vasco. La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival, comunque, sa farsi apprezzare per un cast di band tostissime, che graffiano gli amplificatori con un rock ruvido senza fronzoli. Gli inglesi Queens Of The Stone Age, per esempio, dimostrano sul campo di meritare ampiamente il premio assegnato in Patria al loro album “Rated R” come migliore disco heavy-rock del 2000. E chi all’inizio non comprende la presenza degli Apocalyptica, quartetto norvegese di violoncellisti, a un raduno rock internazionale come quello di Imola, si ricrede ascoltando la loro personale rilettura dei brani di gruppi metallici come Sepultura e Faith No More. Brian Molko e i suoi Placebo sono vecchie e sempre gradite conoscenze: nel 1999 avevano fatto da cuscinetto fra le Courtney Love e Marilyn Manson. Questa rassegna ha curiose analogie con quella del 1998: una, positiva, è l’esibizione di Vasco; l’altra, negativa, è l’assenza della band scritturata per chiudere il programma della domenica. Allora vennero a mancare i Verve, sostituiti dai Kula Shaker; in questa occasione bisogna rinunciare ai Guns N’Roses di Axl Roses, messi fuori gioco da un malore del nuovo chitarrista Buckthead. Promossi al rango di headliner, The Offspring scaricano sul palco tutta la potenza devastante del loro repertorio post punk: i fans iniziano a pogare durante l’esecuzione di “Pretty Fly” e non smettono finché non viene spento l’ultimo faro sul palco.
Si chiude l’ultimo cancello e noi riprendiamo a sognare: Carlos Santana… Red Hot Chili Peppers… la Dance Night dei Chemical Brothers e dei Planet Funk… Arrivederci all’Heineken Jammin’ Festival 2002.

2000

Nuovo millennio e nuova anima per l’Heineken Jammin’ Festival. Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera scrive: “un’organizzazione ai limiti della perfezione e una serie di rockband internazionali interessanti, ma spesso ‘cult’, destinate cioè ad orecchie ‘specializzate’ nell’ascolto di suoni ruvidi, arrabbiatissimi”. A quest’ultima categoria appartengono senz’altro i Rage Against The Machine, sulfurei e “politically s-correct” headliner della prima giornata, e gli irruenti Primal Scream, che rischiano di fare la fine dei Timoria l’anno precedente: il vocalist Bobby Gillespie, infatti, perde l’aereo, atterra a Bologna in clamoroso ritardo e arriva sul palco a concerto già abbondantemente iniziato. L’atmosfera da “rockerilla”, una guerriglia rock espressa più nei testi al vetriolo delle canzoni che, fortunatamente, nel comportamento della folla, era stata sapientemente surriscaldata dalle band del pomeriggio, in particolare dai Punkreas, sorprendenti e applauditissimi alfieri della scena punk italiana e i tedeschi Guano Apes della vocalist Sandra Nasic, una forza della natura dai polmoni iperbarici.
Esaurita la parentesi più underground, l’Heineken Jammin’ Festival 2000 propone artisti più vicini all’immaginario collettivo. Piero Pelù vince la sfida degli headliner con gli Oasis soprattutto merito della grande attesa per il suo primo concerto dopo il divorzio dai Litfiba. La nostalgia per i Litfiba, però, si consuma in poche canzoni, lasciando spazio al nuovo med-rock del solista Pelù. Se gli Oasis non soddisfano l’aspettativa dei fans, confezionando comunque un live più che dignitoso, gli altri nomi in cartellone sabato e domenica fanno scrivere a Paolo Zaccagnini su Il Messaggero: “la terza edizione del festival resterà sempre la più forte concentrazione di gruppi e artisti rock dell’estate”.
Lo show più ragguardevole porta la firma degli Eurythmics: Annie Lennox e Dave Stewart si presentano in scena senza band e senza spine da attaccare agli amplificatori. Un concerto acustico, con i ragazzi che aspettano solo di scatenarsi nell’apoteosi rock di Pelù, sembra a molti un azzardo pericoloso. Invece no, non per musicisti con tanto carisma: la chitarra di Stewart e la voce ammaliatrice della Lennox ipnotizzano la folla, che si arrende alla loro classe e aspetta Pelù senza più abbassare le mani. Prima degli Eurythmics, hanno regalato belle emozioni anche Eagle Eye Cherry (figlio del jazzista Don Cherry e fratello della vocalist pop Neneh Cherry) con la sua chitarra elettro-melodica, e i Morcheeba della sinuosa Skye Edwards, che hanno saputo coinvolgere il pubblico nonostante un repertorio molto poco rock-ruggente, fatto di dolci sonorità soul contaminate da un lievissimo trip hop. Senza tregua, invece, la breve apparizione dei punk Prozac+, che hanno aperto le danze con i loro hit-single “Colla” e “Acido Acida”. La Dance Night (non annacquata dalla pioggia come l’anno precedente) trattiene migliaia di persone fino a notte fonda: qualcuno è venuto all’Heineken Jammin’ Festival apposta per ballare il techno big beat dei psichedelici Chemical Brothers, che dispensano sonorità acid-house in quantità per nulla modiche in uno sfavillante show tecnologico.
Arrivano dalla finlandia gli apripista di domenica: si chiamano Him e propongono un pop agrodolce con guizzi heavy. Dopo di loro, i Gomez stupiscono con un audace progressive. Entusiasmante successo per i Subsonica, reduci dal Festival di Sanremo, che portano in scena Morgan dei Bluvertigo e richiamano diecimila persone a ballare sotto il palco, incuranti del gran caldo. Incanta anche Kelis, bella ventenne di Harlem, con voce possente e androgina al servizio di pezzi hip hop forgiati in un crossover gospel, blues e soul, con ritmi funky scolpiti da assoli di chitarra alla Hendrix. Elisa si ostina a cantare in inglese il suo pop elettronico e ambizioso.
Tutti aspettano gli Oasis, ma i Counting Crows non passano inosservati grazie a un country-rock raffinato e orecchiabile: per alcuni critici, la band californiana di Adam Duritz è “una delle liete sorprese di questa kermesse” (Cesare G. Romana su il Giornale). Gino Castaldo su la Repubblica riconosce all’Heineken Jammin’ Festival il merito di aver creato un ottimo clima fra gli artisti: “i Chemical Brothers sono rimasti per tutti e tre i giorni, approfittandone per seguire i concerti, anche degli italiani. Perfino Liam Gallagher, che non è famoso per essere un simpaticone, ha girato per tutto il giorno nell’area ospitalità, conversando con tutti e sorridendo a tutti quelli che andavano a parlargli. Incredibile”. Il titolo dello stesso articolo chiude la rassegna con un verdetto categorico: “vince il rock italiano”. E già circola la voce del ritorno di Vasco…

1999

Consacrato l’anno prima dai centoventimila della combriccola del Blasco, l’Heineken Jammin’ Festival 1999 (tre giorni di “Sounds Good”, uno in più rispetto al ’98) ha avuto un battesimo più canonico: con la pioggia. Tanta acqua. Troppa acqua. Per molti è un segno del destino, l’anello mancante per poter davvero paragonare la rassegna di Imola a Woodstock 1969 (e al suo mitico fango): “Figurarsi se non diluviava. Dai tempi antichi di Woodstock la leggenda vuole che non ci sia raduno rock che si rispetti senza la sua bella dose di pioggia e fango” (Alba Solaro su l’Unità). La pioggia torrenziale ha afflosciato le tende del campeggio ai margini dell’autodromo, ma non l’entusiasmo della gente: suole slick sotto le scarpe, molti ballano e giocano nei playground di basket, volley, calcetto e arrampicata gestiti da Radio Deejay; altri cercano rifugio nel Green Village allestito nell’area della variante bassa: numerosi caffè tematici, postazioni Playstation, mixer e campionatori per improvvisarsi disc jockey, una mostra fotografica sull’edizione precedente, fumetti disegnati in tempo reale, body-painting, magliette dipinte, graffiti, tatuaggi, spazi per il benessere del corpo e della mente… Il maltempo imperversa sull’autodromo di Imola per tutto il weekend: Massimiliano Lussana su il Giornale loda “l’ottima organizzazione degli uomini Heineken”, ironizzando poi sul fatto che “i comunicati che garantivano la distribuzione gratuita di acqua al pubblico sono stati presi troppo alla lettera”. Il titolo dell’articolo, “E i ragazzi restano a cantare sotto l’acquazzone”, è un inno ai temerari con l’impermeabile griffato nettezza urbana (vengono distribuiti migliaia di sacchi della spazzatura bucati da usare come mantelline antipioggia) che hanno risposto al richiamo di “un cast internazionale di qualità e tendenza, ma con una forte caratterizzazione italiana” (Marco Mangiarotti su Il Giorno, La Nazione e il Resto del Carlino). Non sono più gli accendini a illuminare a giorno la Rivazza, ma tuoni e fulmini del temporale che accoglie fragorosamente Subsonica, Max Gazzé, Carmen Consoli, Elio e le Storie Tese. Infiltrate tra i quasi ventimila seguaci del made in Italy, ci sono anche molte innamorate deluse dei Take That: avrebbero affrontato calamità naturali ben peggiori, pur di ammirare da vicino Robbie Williams, unica stella straniera della giornata e impeccabile apripista dello show di Zucchero.
Come se non bastasse la pioggia, trenta chilometri di coda sulla Milano-Bologna eliminano i Timoria dal programma di sabato. È il giorno delle band internazionali di tendenza: Goo Goo Dolls e Bush, ma soprattutto Garbage e gli headliner Skunk Anansie, che sembrano trarre energia dal nuovo acquazzone e regalano un live infuocato e dirompente ai quarantamila fans in ammollo. “Un cartellone di artisti stranieri come quello della rassegna imolese di quest’anno ha pochi rivali in Europa”, scrive Paolo Zaccagnini su Il Messaggero. A far deflagrare la scena sono due primedonne del rock: la conturbante rossa scozzese Shirley Manson (vocalist dei Garbage) e la feroce pantera nera inglese Skin (Skunk Anansie).
“A Imola vince il divertimento” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera): il sound trance-elettronico degli Underworld trasforma l’Heineken Jammin’ Festival in un gigantesco rave e la prima Dance Night offre “una delle più belle fotografie da conservare di questa rassegna: sotto la pioggia battente sono rimasti in quattromila a ballare fino a notte fonda” (Gino Castaldo su la Repubblica).
I cinquantamila di domenica ricevono la loro dose di fulmini e saette da Marilyn Manson, che rinuncia a molte delle strombazzate trasgressioni (concedendosi, però, il capriccio di far recintare la sua zona di backstage per non essere avvicinato dalle altre band, spesso in polemica con lui) e chiude il raduno più bagnato della storia con uno show martellante e scenograficamente chiassoso, in puro stile Armageddon. La giornata viene aperta dagli italiani Verdena e Bluvertigo (che presentano in anteprima il singolo “La crisi”). L’esibizione glam-rock dei Placebo dell’intrigante vocalist Brian Molko entusiasma tutti, perfino il sole che finalmente squarcia il cielo plumbeo. La primadonna di oggi è Courtney Love, leader delle Hole: la vedova di Kurt Cobain non simpatizza (eufemismo) per Marilyn Manson e cerca di rubargli la scena mescolando ammiccamenti e provocazioni di ogni genere con un efficace rock spruzzato di grunge. Missione compiuta: la sua personalità strabordante conquista la platea al primo graffio di chitarra. L’attesa per Marilyn Manson si fa spasmodica, ma i suoi pittoreschi seguaci dispensano generose ovazioni anche ai Blur di Damon Albarn.
L’Heineken Jammin’ Festival 1999 va in archivio con un bilancio più che positivo: centodiecimila spettatori nonostante un diluvio biblico sono un grande risultato. Ernesto Assante su la Repubblica scrive: “un festival ben organizzato e ben riuscito, che ha retto con sicurezza anche alle intemperie e che promette, con l’aiuto di un pubblico disponibile e appassionato, di crescere ancora”.

1998

“E centomila cuori cominciarono a sondare il cielo”… Quando ha scritto “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, Vasco Rossi forse nemmeno sognava di essere lui l’alieno che vent’anni più tardi tutti avrebbero aspettato. Invece oggi è giudizio unanime che non poteva esserci headliner migliore per il neonato Heineken Jammin’ Festival: “un raduno tranquillo e ben organizzato tanto da far invidia ai più eleganti convegni internazionali, che contano meno ospiti”, scrive Ernesto Assante su la Repubblica.
All’imbrunire del 20 giugno 1998, l’extraterrestre sorvola l’autodromo di Imola con il suo disco volante camuffato da elicottero: visti dall’alto, “il prato davanti al palco e la collinetta della Rivazza assumono le sembianze di un unico, gigantesco corpo umano, che pulsa, che vibra, surriscaldato dall’afa e dall’emozione” (Gloria Pozzi sul Corriere della Sera).
La grintosa melodia dei romani Babyra Soul, gli interessanti inglesi Catherine Wheel, la voce sempre in bilico fra rock e soul della provocante olandese Anouk, il feroce rock dei nordirlandesi Ash e lo stordente postpunk dei britannici The Jesus and Mary Chain contribuiscono a creare, come si legge nel commento di Paolo Zaccagnini su Il Messaggero, “l’atmosfera festosa del festival, organizzato che meglio non si poteva”.
Poco dopo le 21.30, Vasco appare sul palco e l’Heineken Jammin’ Festival diventa ufficialmente “il più grande appuntamento rock europeo di questa estate” (Alba Solaro su l’Unità). “E centomila mani cominciarono ad alzarsi verso il cielo”… Quando attacca “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, però, le mani in alto sono più del doppio: duecentoquarantamila! Combriccola del Blasco o tribù dell’Heineken Jammin’ Festival: chiamateli come volete, l’unico fatto rilevante è che sono centoventimila persone!!
Fra loro, anche l’allora ministro dell’Industria Bersani e la scrittrice Fernanda Pivano, che sostiene senza mezzi termini: “quelli che sono qui oggi cresceranno meglio di quanti frequentano soltanto posti istituzionali: ce ne vorrebbero mille di raduni come questo”. Perfino il Blasco, protagonista di altri concerti epocali, si emoziona nel vedere la mitica curva della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini per le sue canzoni più autobiografiche. E promuove l’HJF a pieni voti: “ho inaugurato una nuova era della musica dal vivo”. Più delle belle parole, comunque, contano i fatti: Vasco avrebbe potuto organizzare in proprio un live da oltre centomila persone, però ha preferito tenere a battesimo l’Heineken Jammin’ Festival (“ripagato” dal record di spettatori paganti a un suo concerto) perché conquistato dal progetto di una rassegna rock italiana in grado di competere con i più prestigiosi raduni internazionali. Merito soprattutto della qualità della musica: domenica 21 giugno, pur senza l’enorme richiamo di Vasco e improvvisamente orfani degli headliner The Verve (sostituiti dai Kula Shaker per un’indisposizione del bassista Simon Jones), quarantamila persone si godono “un cartellone di appuntamenti da far invidia perfino ai festival americani” (a.d. su il Resto del Carlino), nel quale, oltre ai Bluvertigo e Ben Harper, spiccano Elisa, Tori Amos e Natalie Imbruglia. Il movimento rock femminile viene tenuto in grandissima considerazione dall’Heineken Jammin’ Festival, che in questi cinque anni ha fatto esibire, fra le altre, Skin (headliner con i suoi Skunk Anansie nel 1999), Annie Lennox (con gli Eurythmics), Alanis Morissette, Shirley Manson dei Garbage (che ritornano quest’anno), Courtney Love delle Hole, Carmen Consoli e Irene Grandi.
La festa non si esaurisce con la musica: oltre a mantenere, grazie al suo investimento pubblicitario, il prezzo del biglietto contenuto per un grande numero di concerti (quarantamila lire; settantamila l’abbonamento per i due giorni), Heineken allestisce un “Green Village” con punti di ristoro, bancarelle d’ogni genere (dalle t-shirt ai tatuaggi), performance dance di alcuni deejay e molte altre attività collaterali, fra cui un incontro con gli scrittori Niccolò Ammaniti, Aldo Nove e Tiziano Scarpa.
Bevanda ufficiale, naturalmente, la birra, ma sempre accostata, in questi cinque anni, alla campagna “Se bevi non guidare”, fortissimamente voluta proprio da Heineken per educare i giovani a un consumo responsabile di alcol. Per questo motivo vengono regalati cinquantamila litri d’acqua e organizzati tredici treni speciali in collaborazione con le Ferrovie dello Stato. Indicato da un sondaggio del mensile Musica & Dischi al secondo posto degli eventi musicali più graditi dell’anno (dopo gli Mtv European Music Award e prima del Concerto del 1° Maggio e del Festival di Sanremo).


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